Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4406 del 24/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4406 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: TRIA LUCIA

ORDINANZA
sul ricorso 3221-2011 proposto da:
MOTTOLA LUIGI TTLGU36D27I471E) elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 24/D, presso lo studio
dell’avvocato PULIATTI PLACIDO, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avv. ANGELA DELUIGI, giusta delega a margine del
ricorso;

– ricorrente contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati

Data pubblicazione: 24/02/2014

CLEMENTINA PULLI, ANTONELLA PATTERI, MAURO
RICCI, giusta procura speciale in calce al controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 10176/2009 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
12/12/2013 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA TRIA;
udito per il ricorrente l’Avvocato Angela Deluigi che ha chiesto il
rinvio del ricorso in pubblica udienza;
udito per il controricorrente l’Avvocato Mauro Ricci che ha chiesto il
rigetto del ricorso.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO
VELARDI che si riporta alla relazione scritta.

Ric. 2011 n. 03221 sez. ML – ud. 12-12-2013
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ROMA del 21.12.09, depositata il 18/05/2010;

Sesta sezione — Sotto Sezione Lavoro
Udienza del 12dicembre 2013 – n. 11 del ruolo
RG n. 3221/11
Presidente: Curzio – Relatore: Tria

Ritenuto che la causa è stata chiamata alla adunanza in Camera di consiglio del
3 ottobre 2013 ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ. sulla base della relazione
redatta a norma dell’art. 380-bis cod. proc. civ., avente il seguente tenore:
«1 .— La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello di Luigi
Mottola avverso la sentenza del Tribunale di Roma in data 2 settembre 2008
che ha dichiarato l’inammissibilità della domanda proposta dal Mottola diretta
ad ottenere il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento per ciechi
civili, a causa dell’intervenuta decadenza semestrale di cui all’art. 42, comma 3,
del d.l. n. 269 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 326 del
2003.
2.—La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa: 1) afferma che
il Tribunale ha fatto corretta applicazione della disposizione suindicata; 2)
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
della disposizione stessa, prospettata dal Mottola in riferimento agli artt. 3, 24,
38, 111 Cost.
3.—Per la cassazione della suindicata pronuncia Luigi Motto la propone
ricorso sulla base di tre motivi; l’INPS resiste, con controricorso.
4.—Tutte le censure solo dirette a dimostrare il contrasto dell’art. 42,
comma 3, d.l. n. 269 del 2003 con gli stessi parametri costituzionali già invocati
a sostegno della relativa eccezione di in costituzionalità respinta dalla Corte
d’appello.
5.- Il ricorso appare inammissibile.
Tutti i motivi consistono in una mera critica della sentenza impugnata
nella parte in cui ha escluso che fosse non manifestamente infondata la
sollevata eccezione di incostituzionalità.
5.1.- Al riguardo è sufficiente ribadire quanto già affermato da questa
Corte (vedi, per tutte: Cass. 10 ottobre 1985, n. 4931) secondo cui il motivo di
ricorso per cassazione non può risolversi nella mera critica della pronuncia
impugnata per la ritenuta irrilevanza ovvero manifesta infondatezza della
sollevata eccezione di illegittimità costituzionale giacché la questione di
costituzionalità di una norma, per un verso non può costituire unico e diretto
Ric. 2011 n. 03221 sez. ML – ud. 12-12-2013
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ORDINANZA
FATTO E DIRITTO

Pertanto, considerato che proprio ai sensi dell’art. 24, 2 comma, 1. 11
marzo 1953 n. 87 l’eccezione di incostituzionalità può essere riproposta
all’inizio di ogni grado ulteriore del processo, l’eventuale erroneità della
valutazione del giudice che, nel provvedimento impugnato, la abbia ritenuta
manifestamente irrilevante o infondata, è del tutto irrilevante alla luce della
possibilità che il giudice del gravame sia sollecitato a compiere una nuova
autonoma delibazione della questione, in ipotesi difforme da quella effettuata
dal giudice del precedente grado.
Quindi non possono avere ingresso le censure del ricorrente che si
dolgono del fatto che la Corte d’appello di Roma abbia erroneamente escluso la
non manifesta infondatezza della questione di incostituzionalità dell’art. 42,
comma 3, del d.l. n. 269 del 2003 cit. e che (ri)propongono la relativa
eccezione di illegittimità costituzionale, nella parte in cui prevede la decadenza
semestrale per la proposizione della domanda giudiziale, invocando plurimi
parametri costituzionali (artt. 3, 24, 38, secondo comma, 111 Cost.) e
proponendo plurimi profili di incostituzionalità.
5.2.- Alle predette considerazioni va aggiunto che la Corte costituzionale,
con ordinanza n. 269 del 2009, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 3, del d.l. 30
settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24
novembre 2003, n. 326, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 Cost.
In tale decisione il Giudice delle leggi ha, in particolare, sottolineato che
il remittente prospettava la necessità di prevedere per colui che agisce per il
riconoscimento dell’indennità di accompagnamento un diverso termine di
decadenza al fine di assicurargli, in ragione della gravità delle condizioni
sanitarie di cui è portatore, una adeguata tutela giurisdizionale.
A fronte di tale prospettazione la Corte costituzionale ha rilevato che in
questo modo il rimettente, da un lato, affidava alla Corte stessa il compito di
individuare un termine di decadenza diverso da quello previsto dalla
disposizione censurata sollecitando l’esercizio di un potere discrezionale
riservato al legislatore e, dall’altro, lasciava indeterminato l’ambito del
possibile intervento della Corte omettendo di formulare un petitum specifico.
Ric. 2011 n. 03221 sez. ML – ud. 12-12-2013
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oggetto del giudizio, e per altro verso, può sempre essere proposta, o riproposta,
dalla parte interessata, oltre che rilevata d’ufficio, in ogni stato e grado del
giudizio, purché essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata,
in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali che siano
state ritualmente dedotte nel processo (in senso conforme vedi, più
recentemente, Cass. 18 febbraio 1999 n. 1358; Cass. 22 aprile 1999, n. 3990;
Cass. 29 ottobre 2003, n. 16245).

Come si vede, la questione esaminata con la suddetta ordinanza è
sostanzialmente coincidente con quella prospettata dall’attuale ricorrente.

che sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera
di consiglio;
che il ricorrente ha depositato una memoria nella quale ha richiamato le
precedenti difese ed ha, in particolare, sostenuto che la riproposizione della
questione di legittimità dichiarata manifestamente infondata dalla Corte
d’appello — anche se in ipotesi inammissibile — non potrebbe non considerarsi,
presuntivamente, come una impugnazione, sia pure effettuata in forma ellittica,
del capo o del punto della sentenza nel quale è stata applicata la norma della cui
costituzionalità si dubita;
che, nella memoria stessa, il ricorrente sostiene che l’ipotesi di
inammissibilità del ricorso sarebbe “ingiustificatamente superficiale, rigorosa e
non sensibile né alle esigenze degli utenti della giustizia né al prevalente
orientamento non formalistico della giurisprudenza nella interpretazione di
norme di carattere processuale”.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione — di
rigetto — contenuta nella relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ.;
che le osservazioni avanzate dal ricorrente nella memoria non portano a
discostarsi dalla soluzione proposta nella relazione;
che, infatti, deve essere ulteriormente precisato che poiché il vigente
sistema di sindacato “incidentale” di costituzionalità attribuisce a qualunque
“autorità giurisdizionale”, innanzi a cui sia sollevata la relativa eccezione, il
potere di respingerla “per manifesta irrilevanza o infdndatezza”, è
inammissibile il ricorso per cassazione avverso una sentenza che sia diretto
esclusivamente a censurare il concreto esercizio di un siffatto potere da parte
del Giudice preso in considerazione (Cass. SU 29 marzo 2013, n. 7929);
che, inoltre, va ricordato il costante orientamento della Corte
costituzionale secondo cui l’ammissibilità delle questioni di legittimità
costituzionale in esame, va premesso che, secondo la costante giurisprudenza di
questa Corte, ai fini del controllo di ammissibilità delle questioni di legittimità
costituzionale ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 è necessario
dalla motivazione dell’ordinanza di rimessione emergano in modo chiaro i

Ric. 2011 n. 03221 sez. ML – ud. 12-12-2013
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8.— In conclusione, per le suesposte ragioni, si propone la trattazione del
ricorso in camera di consiglio, in applicazione degli arti. 376, 380 bis e 375 cod.
proc. civ., per esservi rigettato»;

che, d’altra parte, è jus receptum che il ricorso per cassazione non
introduce una terza istanza di giudizio con la quale si può far valere la mera
ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi invece come un rimedio
impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della
denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. 5 giugno 2007, n. 13070;
Cass. 3 luglio 2008, n. 18202: Cass. SU 29 marzo 2013, n. 7931);
che, pertanto, salvo ipotesi particolari, laddove il ricorso, come accade
nella specie, sia diretto esclusivamente a contestare la decisione della Corte
d’appello di dichiarazione della manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale della disposizione da applicare (nel presente giudizio:
art. 42, comma 3, d.l. n. 269 del 2003) richiamando gli stessi parametri
costituzionali già invocati a sostegno della relativa eccezione respinta dalla
Corte territoriale e riproponendo le medesime argomentazioni al riguardo, non
vi è alcuno spazio per considerare presuntivamente impugnato il capo o il punto
della sentenza che ha fatto applicazione della disposizione stessa, date le
suddette caratteristiche del giudizio di cassazione e dato che un’ipotetica
ordinanza di rimessione dovrebbe dare conto dell’esistenza di un autonomo
petitum del presente giudizio di legittimità, separato e distinto dalla questione di
legittimità costituzionale, operazione che certamente questa Corte non potrebbe
effettuare d’ufficio;
che, in ogni caso, nel ricorso impugnato, a proposito della questione di
legittimità costituzionale de qua non si tiene minimamente conto dell’ordinanza
n. 269 del 2009 della Corte costituzionale, che nel dichiarare la manifesta
inammissibilità di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 42,
comma 3, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326, analoga a quella proposta
invano dal ricorrente, contiene delle affermazioni di carattere generale — sui
limiti del sindacato del Giudice delle leggi in merito alla congruità dei termini
di decadenza — che non avrebbero potuto non essere prese in considerazione
nell’ipotesi di una riproposizione della questione stessa;
che, per tutte le suddette ragioni, il ricorso deve essere did1212323) rigettato
perché infondato;

Ric. 2011 n. 03221 sez. ML – ud. 12-12-2013
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«presupposti in base ai quali il giudizio a quo possa dirsi concretamente ed
effettivamente instaurato, con un proprio oggetto, vale a dire un petitum,
separato e distinto dalla questione di legittimità costituzionale, sul quale il
giudice remittente sia chiamato a decidere» (tra le molte, sentenza n. 263 del
1994 e, da ultimo, sentenza n. 1 del 2014);

che ricorrono giusti motivi, data la natura della controversia e delle
questioni oggetto di esame, per compensare tra le parti le spese del presente
giudizio cassazione.
P.Q.M.

r

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile,
il 12 dicembre 2013.

La Corte rigetta il ricorso e compensa, tra le parti, le spese del presente
giudizio di cassazione.

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