Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4403 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/02/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4403

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5867-2017 proposto da:

LATINA AMBIENTE SPA IN LIQUIDAZIONE (Fallimento 99/16 Trip LT), in

persona dei Curatori, elettivamente domiciliata in ROMA P.ZZA DEI

CAPRETTARI 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO MARIANI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO RIDOLFI,

giusta procura in calce;

– ricorrente –

contro

MIAMI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, con

domicilio eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato POSCIA

GIUSEPPE, giusta procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4777/2016 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

LATINA, depositata il 21/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/11/2019 dal Consigliere Dott.ssa BALSAMO MILENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato RIDOLFI che ha chiesto

raccoglimento con compensazione delle spese.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Miami s.r.l. impugnava innanzi alla CTP di Latina gli avvisi di accertamento notificati dalla società Latina Ambiente S.p.A., società cooperativa a responsabilità limitata in liquidazione coatta amministrativa, con cui si richiedeva il pagamento della imposta, a titolo di TIA per gli anni 2006 2009, comminando una sanzione del 100%, per il servizio di smaltimento di rifiuti urbani originati da un complesso industriale sito in Latina.

La contribuente assumeva, inter alia, l’illegittimità della delib. 30 maggio 2006, n. 44 con cui il Consiglio Comunale di Latina aveva adottato la tariffa di igiene ambientale (TIa 1), perchè assunta oltre il termine di vigenza della tassa (abrogata a decorrere dal 29.04.2006), nonchè la decadenza dal potere impositivo per l’annualità 2006 e l’illegittimità delle sanzioni applicate.

L’adita commissione accoglieva in parte il ricorso della contribuente, dichiarando la decadenza dal potere accertativo per l’anno 2006 e annullando le sanzioni applicate per gli anni 2007-2009.

La sentenza veniva appellata innanzi alla CTR del Lazio sia dalla società Latina Ambiente che dalla contribuente, la quale nel corso del giudizio, rinunciava al gravame incidentale con il quale si eccepiva l’illegittimità della Delib. n. 44 del 2006 del Comune di Latina.

I giudici regionali – con sentenza n. 4777/40/2016 – respingevano l’appello principale, senza pronunciarsi su quello incidentale relativo alle ulteriori questioni dedotte a cui la parte non aveva rinunciato, confermando la decadenza della società Latina Ambiente per l’anno 2006 e l’annullamento delle sanzioni.

La società Latina Ambiente ricorre per cassazione svolgendo quattro motivi.

La società contribuente si è costituita con controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso per cassazione.

Il P.G. ha concluso per II P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegnato alla parte il 23 febbraio 2017, a fronte del termine ultimo del 21 febbraio 2017, atteso che la ricorrente risulta aver consegnato il plico all’ufficio postale il 21 febbraio 2017.

In tema di ricorso per cassazione, ai fini dell’osservanza dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, è sufficiente, ove la notifica della sentenza impugnata sia avvenuta a mezzo posta, che il ricorrente depositi, insieme al ricorso, copia autentica della sentenza con la relazione di notificazione, ossia con l’attestazione dell’ufficiale giudiziario della spedizione dell’atto, spettando al resistente l’onere di contestare, attraverso il deposito dell’avviso di ricevimento in suo possesso, il rispetto del termine breve d’impugnazione, atteso che, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata che eviti, in ossequio al principio del giusto processo, oneri tali da rendere eccessivamente difficile la tutela giurisdizionale, deve tenersi conto che solo il resistente, in qualità di notificante, ha la materiale disponibilità dell’avviso di ricevimento.(19750/2014; 6864 del 08/03/2019; S.U. N. 9005 del 2009).

3.Con il primo motivo si lamenta la carenza assoluta di motivazione, nonchè violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, ex art. 360 c.p.c., n. 4), degli art. 24 e 30 del regolamento comunale Tia e dell’art. 12 preleggi, ex art. 360 c.p.c., n. 3), assumendo sotto il primo profilo la carenza motivazionale redatta per relationem senza indicare le argomentazioni del giudice di prime cure poste a fondamento della seconda decisione. Sotto il secondo profilo, si deduce l’erroneità della pronuncia in punto di decadenza, atteso che il regolamento comunale prevede quale obbligo a carico del contribuente quello di predisporre la dichiarazione, di talchè in caso di omessa presentazione della dichiarazione, il regolamento implicherebbe che l’autorità accertativa potrebbe presumere l’occupazione delle aree dal primo gennaio così da sottoporre ad imposizione l’intero anno senza dover accertare l’inizio della data di occupazione, con la conseguenza che la dichiarazione ovvero la sua omissione non riverberebbe alcun effetto sul potere accertativo ovvero in ordine alla individuazione del dies a quo.

4.Con il secondo mezzo, si deduce l’omessa motivazione su un fatto presupposto, violazione dell’art. 115 c.p.c., nonchè abuso di diritto per errore circa la natura sostanziale e procedimentale delle norme da applicare ex art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5).

Argomenta la società che la contribuente non aveva contestato per l’annualità 2006 la debenza della pretesa tributaria, opponendo mere eccezioni formali. 5.Con la terza censura, che deduce omessa motivazione su un punto essenziale della controversia, nonchè violazione dell’art. 2946 c.c., la società Latina Ambiente lamenta che erroneamente i giudici regionali hanno applicato il termine quinquennale anzichè quello decennale, individuandone la decorrenza nel momento della scadenza del giorno in cui presentare la dichiarazione; sostenendo al contrario che il dies a quo coincide con la data in cui avrebbe dovuto essere effettuato il versamento del tributo.

5.Con il quarto motivo, si lamenta omessa motivazione su un punto essenziale della controversia, nonchè violazione della gerarchia delle fonti, per non aver disapplicato l’art. 32 del regolamento comunale TiIA dell’anno 2010, in quanto discordante con la norma di rango superiore, vale a dire con il D.Lgs. n. 417 del 1997, art. 1; denunciando altresì l’errata interpretazione circa la natura delle sanzioni amministrative in luogo di quelle tributarie ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Argomenta la società che troverebbe applicazione al caso di specie la previsione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1 che per l’infedele dichiarazione commina la sanzione tra il 100 ed il 200% del tributo evaso.

La CTR avrebbe dunque erroneamente deciso applicando il D.Lgs. n. 267 del 200, art. 7 bis, il quale prevede che la misura sanzionatoria sia applicabile nel caso di violazione di regolamenti comunali e provinciali emanati dagli enti locali, salvo che una diversa disposizione di legge non preveda una differente misura sanzionatoria, disposizione nella specie vigente.

6. Il Collegio, nonostante la rinuncia parziale in sede di appello incidentale della eccezione di illegittimità della Delib. n. 44 del 2006, rileva la necessità di valutare, quale questione pregiudiziale ed assorbente, la questione della legittimità di detta delibera, relativa alla istituzione della TIA. Secondo l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimità: “Il potere del giudice tributario di disapplicare gli atti amministrativi costituenti il presupposto per l’imposizione è espressione del principio generale dell’ordinamento, contenuto nella L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, allegato E, e dettato nell’interesse, di rilevanza pubblicistica, all’applicazione di tali atti in giudizio solo se legittimi. Ne consegue che detto potere può essere esercitato anche di ufficio purchè gli atti in questione siano stati, investiti dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente in relazione all’atto impositivo impugnato”(v, tra le tante, Cass. n. 9631 del 2012).

Quindi, il giudice tributario, nell’ambito della valutazione dei motivi di impugnazione contro l’atto impositivo, ha il potere -dovere di disapplicare, anche d’ufficio, la delibera comunale presupposta, qualora sia illegittima, in applicazione del principio generale di cui alla L. n. 2248 del 1865, art. 5, All. E, con l’unico limite dell’eventuale giudicato amministrativo che abbia affermato la legittimità della delibera (Cass. n. 1952 del 2019).

Sicchè non poteva la commissione tributaria regionale sottrarsi al compito di valutare incidentalmente la fondatezza nel merito di tali profili, così da accertare se sussistessero in effetti i presupposti della invocata disapplicazione ex art. 7, comma 5, citato. (S.U. n. 20455/2018; Cass. n. 4963/2018; Cass. nn. 1952 e 1953 del 2019).

Ne consegue che questa Corte, a fronte delle specifiche censure espresse dal contribuente in ordine alla legittimità della pretesa impositiva, può esercitare, anche d’ufficio, il potere di disapplicazione della Delib. n. 44 del 2006, rappresentando il presupposto della legittimità degli atti impositivi sulla cui validità convergono, come nella specie, tutte le censure proposte con il ricorso. Ciò premesso, questa Corte ritiene che la Delib. n. 44 del 2006 vada disapplicata, in quanto illegittima, per le considerazioni che seguono.

7.E’ utile procedere ad una ricognizione normativa della fattispecie.

Per quel che qui interessa, il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 citato, disponeva la soppressione della TARSU (istituita dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 58 e s.s.) “a decorrere dai termini previsti dal regime transitorio, disciplinato dal regolamento di cui al comma 5” (art. 49, comma 1); e prevedeva, al comma 5 cit., che il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato (sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano) avrebbe dovuto elaborare “un metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento, prevedendo disposizioni transitorie per garantire la graduale applicazione del metodo normalizzato e della tariffa, ed il graduale raggiungimento dell’integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani da parte dei comuni.”.

L’atto regolamentare in questione è stato, quindi, adottato col D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, il cui art. 11, ha previsto un regime transitorio (anche per effetto di successive modifiche normative) così articolato: “Gli enti locali sono tenuti a raggiungere la piena copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa entro la fine della fase di transizione della durata massima cosi articolata: a) sette anni per i comuni che abbiano raggiunto nell’anno 1999 un grado di copertura dei costi superiore all’85%; b) sette anni per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi tra il 55 e l’85%; c) otto anni per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi inferiore al 55%; d) otto anni per i comuni che abbiano un numero di abitanti fino a 5000, qualunque sia il grado di copertura dei costi raggiunto nel 1999.”.

La soppressione della TARSU, quindi, non ha comportato l’immediata abrogazione della relativa disciplina istitutiva ma, – secondo il cennato regime transitorio, – detta imposta rimaneva in vigore (con la conseguente disciplina regolamentare adottata dai Comuni; D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68) almeno sino al 19 giugno 2006 (il D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale n. 129 del 4 giugno 1999 e, come appena sopra ricordato, il termine più breve istituito dal regime transitorio prevedeva una durata di almeno 7 anni).

Detto regime transitorio, peraltro, non verrà a compimento, in quanto col D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (pubblicato in Gaz. Uff. il 14 aprile 2006) il legislatore interveniva nuovamente sulla materia disponendo la soppressione della TIA 1 istituita col D.Lgs. n. 22 del 1997.

Ha previsto, in particolare, il D.Lgs. n. 152 del 2006, che:

– “La tariffa di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11.” (art. 238, comma 1);

– “Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti” (art. 238, comma 11);

– è abrogato “il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 citato, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto” (art. 264, comma 1, lett. i)).

8. In relazione ad analoghe controversie, la Corte ha avuto modo di rilevare che, – alla stregua della sopra ripercorsa sequenza normativa, – “il Regolamento adottato con la Delib. cons.com. 30 maggio 2006, istitutiva della TIA 1 “in via sperimentale” nel Comune di Latina, si colloca temporalmente in una fase della trasformazione della disciplina fiscale in cui, stante la mancata adozione del regolamento attuativo di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, comma 6, i Comuni che già erano passati dalla TARSO alla TIA 1 potevano continuare ad applicarla, essendo tale sistema tariffario destinato ad operare sino alla adozione della disciplina attuativa prevista dal Codice dell’Ambiente, così come i Comuni che tale opzione non avevano effettuato, potevano continuare ad applicare la TARSU – i cui criteri di determinazione sono stati peraltro estesi alla TIA – ma era loro precluso di passare alla “tariffa” prevista dal Decreto Ronchi, ormai destinata ad essere sostituita dalla “tariffa” del Codice dell’Ambiente, intesa come “corrispettivo” del servizio prestato e, pertanto, necessitante di un’apposta regolamentazione (mai intervenuta)”; e che, pertanto, detta delibera (adottata in data 30 maggio 2006) “con cui è stata istituita la tariffa di igiene ambientale prevista dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, così determinandosi il passaggio dalla Tarsu alla Tia, è illegittima in quanto sin dal 29 aprile 2006 non era più in vigore la tariffa ambientale e sino alla emanazione delle norme attuative del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, istitutivo della Tia 2, era consentito ai Comuni di continuare ad applicare le discipline regolamentari vigenti, da intendersi quali fonti secondarie di determinazione della tariffa stessa, tra le quali le delibere che gli enti locali avessero già adottato ai sensi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, comma 6” (v. Cass., 28 marzo 2019, n. 8650; Cass., 4 dicembre 2018, n. 31286; Cass., 1 ottobre 2018, n. 23820; Cass., 13 luglio 2017, n. 17271).

Ritiene, quindi, il collegio di dare continuità alla soluzione interpretativa in discorso che, – contrariamente alla diversa opzione interpretativa (pur) emersa (minoritariamente) nella giurisprudenza della Corte (v. Cass., 24 gennaio 2019, n. 1999; Cass., 27 dicembre 2018, n. 33424), – condivisibilmente correla, alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006 (29 aprile 2006), la cessazione dello stesso regime transitorio delineato dal D.P.R. n. 158 del 1999, art. 11, posto che, con la soppressione della tariffa di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, le clausole di salvaguardia avevano ad oggetto (solo) le discipline regolamentari “vigenti” (art. 238, comma 11, citato), ed i “provvedimenti attuativi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22” (art. 264, comma 1, lett. i), citato; laddove, allora, – ed in difetto di una chiara voluntas legis di segno contrario (id est nel segno della ultrattività), alcun regime transitorio (qual correlato all’istituzione della TIA 1; D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49) poteva residuare (oltre, dunque i regolamenti già “vigenti” ed i “provvedimenti attuativi” già adottati) all’indomani della soppressione di quella stessa tassa (la TIA 1).

Da siffatti rilievi consegue che il Comune di Latina non ha tempestivamente esercitato la facoltà di adottare il passaggio da TARSU a TIA 1, con conseguente illegittimità della Delib. n. 44 del 2006, la quale va disapplicata ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, u.c..

9. In conclusione, pronunciando sul ricorso, va cassata la sentenza impugnata, con la conseguenza che, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va accolto il ricorso introduttivo proposto dal contribuente

10. Le spese del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, avuto riguardo alle obiettive incertezze indotte dal quadro normativo di riferimento, alle antinomie, ed oscillazioni, emerse negli orientamenti giurisprudenziali di merito ed allo stesso consolidarsi della giurisprudenza di legittimità in momento successivo alla proposizione del ricorso in trattazione.

P.Q.M.

La Corte

– pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso proposto dal contribuente – compensa integralmente, tra le parti, le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 20 febbraio 2020

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