Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4402 del 21/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 21/02/2017, (ud. 14/12/2016, dep.21/02/2017),  n. 4402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23658/2010 proposto da:

SOC. COOP. CO.RE A R.L., (C.F. (OMISSIS)), in persona del Presidente

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI BOCCHERINI

3, presso l’avvocato FEDERICO DE ANGELIS, che la rappresenta e

difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.L., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA TOMACELLI 103, presso l’avvocato VINCENZO MONTONE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BRUNELLA CAIAZZA,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2705/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato il 20 marzo 2000, S.L. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la Cooperativa Edilizia CO.RE a r.l., chiedendo annullarsi la Delib. di esclusione del medesima da socio di detta cooperativa, comunicatagli in data 5 febbraio 2000. Il Tribunale adito, con sentenza n. 26347/2004, dichiarava inammissibile la domanda, poichè proposta oltre il termine di trenta giorni previsto dell’art. 2527 c.c. (nel testo applicabile ratione temporis).

2. L’appello proposto dallo S. veniva, peraltro accolto dalla Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 2705/2009, depositata il 2 luglio 2009, con la quale il giudice del gravame reputava tempestiva l’opposizione del socio, essendo stato l’atto di citazione consegnato all’ufficiale giudiziario il 6 marzo 2000, ossia nei trenta giorni dalla comunicazione della Delib. avvenuta il 5 febbraio 2000, e riteneva pienamente fondata l’opposizione nel merito.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso la Cooperativa Edilizia CO.RE a r.l. nei confronti di S.L., affidato a cinque motivi. Il resistente ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva la Corte che il quarto motivo di ricorso riveste carattere pregiudiziale rispetto agli altri, poichè con esso la società ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, adito dallo S., a pronunciarsi sulla Delib. di esclusione del medesimo dalla Cooperativa Edilizia CO.RE a r.l. Tanto premesso, va rilevato che, con la censura in esame, la predetta società denuncia la violazione degli artt. 1218, 2527, 2697, 2699, 2700, 2727 c.c. e artt. 113-116 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

1.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte di Appello non abbia dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sebbene la Delib. di esclusione da socio di una cooperativa a contribuzione pubblica involgerebbe valutazioni relative ai “rapporti sociali” che, in quanto tali, sarebbero demandate alla giurisdizione del giudice amministrativo.

1.2. Il motivo è infondato.

1.2.1. Deve anzitutto ritenersi che la causa, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 1, non debba essere rimessa alle Sezioni Unite, essendosi le medesime già pronunciate più volte sulla questione oggetto della censura in esame.

1.2.2. Si è, invero, osservato, al riguardo, che, in tema di cooperative edilizie, anche fruenti di contributi pubblici, il riparto di giurisdizione è fondato sulle comuni regole correlate alla posizione giuridica soggettiva prospettata, sicchè nella fase pubblicistica, caratterizzata dall’esercizio di poteri tesi al perseguimento di interessi pubblici e corrispondentemente da posizioni di interesse legittimo del privato, le controversie, relative a pretesi vizi di legittimità dei provvedimenti, sono devolute al giudice amministrativo. Per converso, nella fase privatistica sono riconducibili alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative alle vicende del rapporto, sorto per effetto del provvedimento di assegnazione, come quella – ricorrente nella specie – tendente a far valere, tramite la contestazione della deliberazione di esclusione, i diritti inerenti alla qualità di socio (cfr., ex plurimis, Cass. S.U. 13688/2006; Cass. 22917/2013). Per cui è evidente che, nel caso concreto, la giurisdizione in ordine all’impugnativa della delibera di esclusione proposta da S.L. non può che essere attribuita al giudice ordinario.

1.3. La censura in esame va, pertanto, disattesa.

2. Con il primo motivo di ricorso, la Cooperativa CO.RE. a r.l. denuncia la violazione degli artt. 1218, 2527, 2697, 2699, 2700, 2727 c.c. e artt. 113-116 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

2.1. Deduce la ricorrente che la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto valido il timbro, apposto sulla relata di notifica, recante la data del 6 marzo 2000, senza considerare che il medesimo non era in alcun modo collegato alla notifica dell’atto di opposizione dello S., laddove si sarebbe dovuto considerare, da parte del giudice di appello, il diverso timbro recante la data effettiva di consegna di tale atto all’ufficiale giudiziario, avvenuta solo il 16 marzo 2000, ossia oltre i trenta giorni dalla comunicazione della delibera di esclusione dello S. da socio della Cooperativa, effettuata il 5 febbraio 2000.

2.2. Il mezzo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.

2.2.1. Va anzitutto rilevato che la istante ha omesso di formulare, in relazione al motivo in esame, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis), sia il relativo quesito di diritto, in relazione alle dedotte violazioni di legge, sia l’omologo momento di sintesi, con riferimento al denunciato vizio di motivazione. Ebbene, va osservato, al riguardo, che la norma succitata – introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione – si applica “ratione temporis” ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore del menzionato decreto), e fino al 4 luglio 2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma, disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 (Cass. 7119/2010; 20323/2010; 25058/2013; 24597/2014).

Nel caso concreto, pertanto, essendo stata la sentenza di appello pubblicata il 2 luglio 2009, la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve ritenersi applicabile al ricorso in esame. Nè risulta che il quesito di diritto ed il momento di sintesi siano stati apposti a conclusione del secondo motivo di ricorso, come affermato dalla ricorrente (p. 3), atteso che il quesito ivi formulato concerne esclusivamente la pretesa violazione del diritto di difesa, oggetto di detta censura, e non anche la questione relativa alla dedotta tardività della opposizione alla Delib. di esclusione, oggetto del primo motivo di ricorso.

2.2.2. In ogni caso, la censura difetta di autosufficienza, non essendo stato allegata nè riprodotta nel ricorso – a fronte dell’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza, secondo cui l’atto di opposizione sarebbe stato consegnato dallo S. all’ufficiale giudiziario il 6 marzo 2000, ossia nei di trenta giorni per l’impugnazione della delibera di esclusione del socio previsto dall’art. 2527 c.c., comma 3, nel testo applicabile ratione temporis (antecedente alla modifica introdotta dal D.Lgs. n. 6 del 2003, art. 8) – la relata di notifica in discussione, onde consentire alla Corte di valutare, sulla base del solo ricorso, l’eventuale fondatezza della doglianza (cfr. Cass. 17424/2005).

2.3. La censura, poichè inammissibile, non può, pertanto, essere accolta.

3. Con il secondo e terzo motivo di ricorso, la Cooperativa CO.RE. a r.l. denuncia la violazione dell’art. 24 Cost., artt. 2527, 2697, 2727, 2697, 2699 e 2700 c.c., artt. 113-116 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

3.1. Si duole la ricorrente del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto fondata, nel merito, l’opposizione dello S., senza assegnare termine alle parti per l’articolazione dei mezzi istruttori e senza decidere su quelli richiesti in prime cure, e segnatamente sull’interrogatorio formale dello S., volto a dimostrare che il medesimo, in quanto sindaco della Cooperativa, era a conoscenza della previsione statutaria posta a fondamento della Delib. di esclusione, e che – di certo – era consapevole della propria morosità.

3.2. Le censure sono infondate.

3.2.1. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, infatti, nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di una società cooperativa, incombe sulla società – che, pur se formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore – l’onere di provare i fatti posti a fondamento dell’atto impugnato (cfr. Cass. 8096/1993; 3342/2003; 22087/2013; 16617/2016). Va osservato, infatti, che, nel giudizio d’opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio, resa dai competenti organi collegiali per inosservanza del socio medesimo a determinate previsioni dello statuto, mentre resta preclusa un’indagine sull’opportunità della sanzione, essendo le relative valutazioni riservate ai predetti organi, deve ritenersi consentita l’interpretazione di quelle previsioni statutarie, anche alla luce dell’interesse sociale perseguito, al fine del controllo sulla riconducibilità in esse del fatto contestato a motivo dell’esclusione. Il giudice del merito deve, pertanto, valutare la riconducibilità in concreto dei comportamenti del socio escluso alla previsione statutaria che giustifica il provvedimento di esclusione, tenendo conto a tal fine – soprattutto quando la previsione statutaria si riferisca a comportamenti solo genericamente o sinteticamente indicati come contrari all’interesse sociale, senza enunciare una casistica specifica – della rilevanza della lesione eventualmente inferta dal socio all’interesse della società, atteso che la regola negoziale contenuta nello statuto sottintende un criterio di proporzionalità tra gli effetti del comportamento addebitato al socio e la risoluzione del rapporto sociale a lui facente capo (cfr. Cass. 5767/1990; 19414/2004).

Nell’interpretazione della clausola dello statuto di una società cooperativa, la quale preveda l’esclusione del socio per l’inadempimento degli obblighi su di lui gravanti, al fine di valutare la gravità dell’inadempimento il giudice è tenuto, pertanto, ad esaminare l’oggetto sociale e la relativa clausola statutaria, secondo il principio dell’interpretazione complessiva delle clausole del contratto, posto dall’art. 1363 c.c. (Cass. 14901/2009).

3.2.2. Non può revocarsi in dubbio, pertanto, che l’onere della prova a carico della cooperativa si sostanzi anzitutto nel comunicare al socio escluso le specifiche ragioni dell’esclusione, ossia gli addebiti mossi nei suoi confronti in forza delle previsioni statutarie violate, dipoi nel consentire al giudice di merito – chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della delibera di esclusione, operando un bilanciamento dei due interessi summenzionati: quello del socio a permanere nell’ente; quello di quest’ultimo a risolvere il rapporto sociale le ragioni dell’esclusione del socio medesimo, alla stregua della specifica norma statutaria che si assuma violata ed alla luce delle considerazioni operate al riguardo nella delibera di esclusione.

3.2.3. Tanto premesso in via di principio, va rilevato che, nel caso di specie, dall’esame dell’impugnata sentenza e degli atti difensivi delle parti si evince che la Cooperativa CO.RE a r.l. si era limitata ad inviare allo S. una missiva nella quale gli si comunicava che, “ai sensi dell’art. 7 dello Statuto sociale”, il consiglio di amministrazione aveva deliberato la sua esclusione dalla cooperativa “con effetto immediato”, senza riferimento alcuno allo specifico inadempimento che sarebbe stato posto in essere dal socio escluso. Ne discende che deve reputarsi corretta la decisione di appello, laddove rileva che la mancata produzione della delibera di esclusione e dello steso Statuto sociale “non consente neppure di avere certezza di quali siano stati gli addebiti a carico dello S.”, non essendo sufficiente a tal fine il rinvio all’art. 7 dello Statuto “disposizione il cui contenuto è rimasto ignoto” (p. 5). Nè rileva – di qui l’irrilevanza anche del mezzo di prova articolato al riguardo – il fatto che lo S. fosse sindaco della società e, come tale a conoscenza delle previsioni statutarie, in assenza, nella comunicazione della delibera di esclusione, della formulazione di un qualsiasi addebito nei suoi confronti, ed essendo stata impedita al giudice chiamato a pronunciarsi sulla medesima perfino l’esame della clausola statutaria posta a fondamento di detta delibera.

Sicchè deve ritenersi che la cooperativa non abbia, nella specie, adempiuto l’onere probatorio sulla medesima incombente di dimostrare la legittimità della Delib. di esclusione del socio, rendendo ostensive le ragioni di tale esclusione, anzitutto al socio medesimo, con l’indicazione dello specifico addebito posto a fondamento della delibera, poi al giudice di merito, tenuto a valutare il fondamento giuridico di tale decisione con riferimento all’addebito mosso al socio ed alla previsione statutaria – in ipotesi – violata.

3.3. Le doglianza vanno, pertanto, rigettate.

4. Con il quinto motivo di ricorso, la Cooperativa CO.RE. a r.l. denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.pc.., comma 1, nn. 3 e 5.

4.1. Nel regolare le spese dei due gradi del giudizio, ponendole a carico della Cooperativa, la Corte di Appello non avrebbe, invero, tenuto conto del fatto che l’evoluzione giurisprudenziale in materia di perfezionamento della notifica, per il notificante, alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, sarebbe successiva all’introduzione del giudizio di primo grado ed alle relative difese della Cooperativa. Per il che la Corte di merito avrebbe dovuto valutare, quanto meno, la possibilità di compensare tali spese.

4.2. Il motivo è infondato.

4.2.1. Nel sistema di regolamento delle spese processuali previgente alla sostituzione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, ad opera della L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2 (applicabile, per effetto della proroga, disposta dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39-quater, convertito nella L. 23 febbraio 2006, n. 51, ai procedimenti instaurati successivamente alla data del 1 marzo 2006), e che trova applicazione alla fattispecie concreta ratione temporis (essendo stato il presente giudizio incardinato il 6 marzo 2000), la relativa statuizione del giudice del merito è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge. Il che si verifica nella sola ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 c.p.c., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa. La valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra, per contro, nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella della sussistenza di giusti motivi (Cass. 24495/2006; 21841/2007; 2397/2008; 20457/2011).

4.2.2. Ebbene, nel caso di specie, la Cooperativa è risultata totalmente soccombente, sia con riferimento alla questione preliminare relativa alla tempestività dell’opposizione dello S., sia nel merito. Non può revocarsi in dubbio, infatti, che il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte, poi definitivamente soccombente, abbia conseguito un esito ad essa favorevole (cfr., ex plurimis, Cass. 4778/2004; 18353/2005; 19880/2011; 6369/2013). Ne consegue – alla stregua dei principi suesposti – che la decisione della Corte di Appello di porre le spese dei due gradi di merito a carico della Cooperativa non può essere censurata in questa sede.

4.3. La doglianza non può, pertanto, essere accolta.

5. Il ricorso proposto dalla Cooperativa CO.RE. a r.l. deve essere, di conseguenza, integralmente rigettato.

6. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione;

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 6.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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