Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 440 del 10/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 440 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

c

ORDINANZA
sul ricorso 25866-2010 proposto da:
ALOISIO FLORA LSAFLR25B56E212Q, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA INNOCENZO XI 8, presso lo studio dell’avvocato
GALATI ALBERTO, rappresentata e difesa dall’avvocato VAITI
VINCENZO giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro
ENI SPA DIVISIONE GAS E POWER;
– intimataavverso la sentenza n. 328/2009 del TRIBUNALE di CATANZARO
SEZIONE DISTACCATA di CHIARAVALLE CENTRALE,
depositata il 14/07/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

g’ktt,

05/12/2013 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;

L

Data pubblicazione: 10/01/2014

è presente il P.G. in persona del Dott. TOMMASO BASILE.

Ric. 2010 n. 25866 sez. M3 – ud. 05-12-2013
-2-

R.g.n. 25886-12 (c.c. 5.12.2013)

Ritenuto quanto segue:
§1. Con atto di citazione notificato in data 6 ottobre 2003 Flora Aloisio (Flora titolare
di contratto stipulato con Italgas Più s.p.a. per la fornitura di gas, richiedeva la restituzione
della somma di E 308,84, in quanto indebitamente pagata, convenendo la predetta società
davanti al Giudice di pace di Davoli, il quale con sentenza n. 1428/2003, depositata il 30
dicembre 2003, accoglieva la domanda attorea. Tale sentenza veniva notificata alla
controparte in data 1° aprile 2005.

Con provvedimento del 21 giugno 2006, depositato il 28 successivo, il Giudice di
Pace disponeva la correzione della suddetta sentenza nel modo seguente “che la sentenza n.
1428/03 debba intendersi nel senso che là dove la sentenza reca scritto ITALGAS S.p.A.
deve invece intendersi e ritenersi per scritto ITALGAS PIÙ S.p.A.”.
La sentenza veniva quindi rinotificata alla controparte assieme al provvedimento di
correzione in data 11 luglio 2006.
A seguito di tale notifica l’Eni s.p.a. Divisione Gas & Power, società incorporante
l’Italgas Più s.p.a., proponeva appello davanti al Tribunale di Catanzaro — Sezione
distaccata di Chiaravalle Centrale con atto di citazione notificato il 12 dicembre 2006. Si
costituiva in giudizio la Aloisio eccependo, in via preliminare l’improponibilità ed
inammissibilità dell’appello per intervenuta decadenza del termine per impugnare e per
nullità della procura ad litem.
Il Tribunale di Catanzaro — Sezione distaccata di Chiaravalle con sentenza depositata
il 14 luglio 2009 accoglieva l’appello.
§2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di due
motivi la Aloisio.
Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata, per violazione degli
artt. 288 e 327 c.p.c. e per omessa pronuncia, là dove essa non ha dichiarato l’appello
inammissibile per essere stato proposto quando il termine per impugnare di cui all’art. 327
c.p.c. era già decorso. A tale proposito la ricorrente sostiene che la notificazione della
sentenza con l’ordinanza di correzione effettuata in data 11 luglio 2006 non valeva a
riaprire i termini per impugnare.
Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per non avere dichiarato
l’inammissibilità dell’appello per nullità del mandato alle liti del difensore dell’appellante,
derivante dal fatto che esso era stato conferito da un rappresentante della società nominato
con procura notarile senza che la stessa fosse prodotta in sede di costituzione
dell’appellante medesimo.
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Est. Cons. R ffaele Frasca

R.g.n. 25886-12 (c.c. 5.12.2013)

§3. L’intimata non ha resistito.
§4. Prestandosi il ricorso ad essere deciso con il procedimento di cui all’art. 380-bis
c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di detta norma, che è stata notificata all’avvocato
della ricorrente e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.
Considerato quanto segue:
§1. La relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. ha avuto il seguente tenore:
«[…] §3. Il ricorso può essere deciso con il procedimento di cui all’art. 380-bis

c.p.c.
§4. Il primo motivo appare, infatti, manifestamente fondato quanto alla deduzione
dell’omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per tardività.
Va detto anzi che proprio la deduzione dell’omessa pronuncia è l’unica censura che è
ammissibile in questa sede di legittimità.
Infatti, ancorché l’omessa pronuncia abbia riguardato un’eccezione sollevata dalla
parte qui ricorrente nella veste di appellata, alla quale era certamente da riconoscere
rilevabilità d’ufficio, afferendo al passaggio in giudicato della sentenza appellata e, quindi,
alla tardività dell’appello, la circostanza che su di essa il giudice dell’impugnata sentenza
abbia omesso di pronunciare, come si evince dalla lettura della decisione, obbligava la
ricorrente a far valere l’omessa pronuncia, restando altrimenti l’eccezione non più
esaminabile e rilevabile d’ufficio.
Invero, quando venga proposta in appello un’eccezione relativa a questione
rilevabile d’ufficio anche dal giudice, come quella relativa alla tardività dell’esercizio
del diritto di impugnazione con l’appello, tale questione diventa punto controverso,
con la conseguenza che, se il giudice d’appello ometta di pronunciarsi su di essa, la
parte interessata, per impedire che si formi un giudicato interno processuale
sull’omessa decisione e la conseguente espunzione della questione dal novero di quelle
esaminabili in sede di legittimità nonostante il suo regime di rilevabilità d’ufficio, è
tenuta a censurare l’omissione di pronuncia con il ricorso per cassazione e non può,
nel presupposto che la questione era rilevabile d’ufficio riproporla direttamente come
motivo di cassazione della sentenza.
E’ stato, infatti, già deciso che «le questioni esaminabili di ufficio che abbiano
formato oggetto, nel corso del giudizio di primo grado, di una ben precisa domanda
(od eccezione) non possono più esser riproposte nei gradi successivi del giudizio (sia pur
sotto il profilo della sollecitazione dell’organo giudicante ad esercitare il proprio potere di
rilevazione “ex officio”) qualora la decisione (o l’omessa decisione) di tali questioni da
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Est. Cons. Raffaele Frasca

R.g.n. 25886-12 (c.c. 5.12.2013)

parte del primo giudice non abbia formato oggetto di specifica impugnazione, per essersi
ormai verificata una preclusione processuale (derivante da giudicato cosiddetto “interno”)
che il giudice dei gradi successivi deve indefettibilmente rilevare.» (Cass. n. 2388 del
1988).
Bene, dunque, la ricorrente ha lamentato l’omessa pronuncia.
§4.1. Tanto premesso, si rileva che effettivamente la ricorrente aveva eccepito
l’inammissibilità dell’appello per tardività, nel presupposto che la correzione non fosse

stata idonea a giustificare un decorso del termine per appellare solo da essa: lo si rileva dal
contenuto della comparsa di costituzione di appello, depositata in questa sede.
La sentenza impugnata dovrebbe essere cassata, dunque, in ragione dell’omessa
pronuncia sulla detta eccezione.
§4.2. A questo punto dovrebbe rilevarsi che l’oggetto dell’omissione di pronuncia è
tale da poter essere direttamente apprezzato dalla Corte con decisione nel merito
sull’appello, non occorrendo accertamenti di fatto, in quanto il tenore della correzione
rende palese che il diritto di appello è stato esercitato ben oltre il termine lungo entro il
quale avrebbe dovuto esercitarsi, che decorreva dalla pubblicazione della sentenza di primo
grado e, dunque, anteriormente alla correzione.
Queste le ragioni.
Si rileva, innanzitutto, che la correzione di una sentenza, a norma dell’art. 288,
quarto comma, c.p.c., consente l’impugnazione della sentenza corretta nel termine
ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, ma solo
“relativamente alle parti corrette”. Si veda in tal senso Cass. 19668 del 2009 secondo cui
“Il disposto di cui all’art. 288, quarto comma, cod. proc. civ. – secondo il quale le sentenze
assoggettate alla procedura di correzione possono essere impugnate, relativamente alle
parti corrette, nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata
l’ordinanza di correzione – è legittimamente riferibile alla sola ipotesi in cui l’errore
corretto sia tale da determinare un qualche obbiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della
decisione e non già quando l’errore stesso, consistendo in una discordanza chiaramente
percepibile tra il giudizio e la sua espressione, possa essere agevolmente eliminato in sede
di interpretazione del testo della sentenza, poiché, in tale ultima ipotesi, un’eventuale
correzione dell’errore non sarebbe idonea a riaprire i termini dell’impugnazione”.
Nel caso di specie risulta chiaramente che la correzione disposta dal Giudice di pace
con l’ordinanza del 21 giugno 2006 che risulta in calce alla sentenza era di contenuto

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Est. Cons. Ra aele Frasca

R.g.n. 25886-12 (c.c. 5.12.2013)

meramente formale e quindi inidonea a riaprire i termini per l’impugnazione della
sentenza.
Da ciò discende che il Tribunale di Catanzaro — Sezione distaccata di Chiaravalle
avrebbe dovuto dichiarare l’appello dell’Eni inammissibile, per essere stato proposto
quando il termine per impugnare di cui all’art. 327 c.p.c., il cui dies a quo coincideva con
la data di deposito in cancelleria della sentenza (30.12.2003), era ormai ampiamente
scaduto.

La controversia potrà, dunque, essere decisa nel merito con la declaratoria
dell’inammissibilità dell’appello senza rinvio.
Resta assorbita la questione di cui al secondo motivo.».
§2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle
quali, del resto, non sono stati mossi rilievi.
La sentenza impugnata è cassata in accoglimento del primo motivo, mentre il
secondo resta assorbito.
Il Collegio rileva che condividendo la relazione intende dare dignità di principio di
diritto alla parte di essa sopra riportata in carattere neretto.
Ricorrono, come ha osservato la relazione, le condizioni per decidere nel merito,
sicché la cassazione può disporsi senza rinvio, essendo possibile pronunciare sul merito
dell’appello con la declaratoria della sua inammissibilità per tardività.
Le spese del giudizio di appello possono compensarsi per giusti motivi ravvisabili
nella circostanza che l’apprezzamento della idoneità di una correzione a giustificare
l’accesso all’impugnazione è questione che ha sempre un margine di incertezza per la parte
che deve interrogarsi su di essa.
Le spese del giudizio di cassazione seguono, invece, la soccombenza e si liquidano
in dispositivo ai sensi del d.m. n. 140 del 2012.
Giusta la richiesta formulata nel ricorso, se ne dispone la distrazione a norma dell’art.
93 c.p.c. a favore del difensore della ricorrente, Avvocato Vincenzo Vaiti.

P. Q. M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e cassa la sentenza impugnata in
relazione, Dichiara assorbito il secondo motivo. Pronunciando sul merito dell’appello
proposto da Eni s.p.a. avverso la sentenza del Giudice di pace di Davoli n. 1428 del 30
dicembre 2003 lo dichiara inammissibile. Compensa le spese del giudizio di appello.
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Est. Cons. Raffaele Frasca

R.g.n. 25886-12 (c.c. 5.12.2013)

Condanna l’Eni s.p.a. alla rifusione alla ricorrente delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in euro milleduecento, di cui duecento per esborsi, oltre accessori come per legge.
Distrae le spese così liquidate, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., a favore dell’Avvocato Vincenzo
Vaiti. .
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 5

dicembre 2013.

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