Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4398 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/02/2020, (ud. 11/07/2019, dep. 20/02/2020), n.4398

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13667-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO EUROPA DISTRIBUZIONE in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in MESSINA VIA TOMMASO CAPRA

IS. 301-BIS, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI FIANNACCA, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA TODARO

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 51/2011 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST: di

MESSINA, depositatà il 08/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/07/2019 dal Consigliere Dott. NAPOLITANO LUCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEDICINI ETTORE che ha concluso per il rigetto e/o

l’inammissibilità del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PALATIELLO che ha chiesto

l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’allora Agenzia delle Entrate, Ufficio di Milazzo, notificò il 13 novembre 2006 al Consorzio Europa Distribuzione avviso di accertamento, col quale, sul presupposto dell’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2003 (UNICO 2004), facendo propri i rilievi di cui a processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza accertò induttivamente un maggior reddito d’impresa per Euro 2.061.152,00 ed un valore della produzione netta di Euro 2.367.485,00, recuperando, rispettivamente a tassazione, IRPEG per Euro 700.792,00 ed IRAP per Euro 100.618,00.

Quanto all’IVA, aveva contestato l’omessa fatturazione e registrazione di operazioni intracomunitarie imponibili per Euro 350.244,44, con la relativa maggiore pretesa di Euro 70.048,90, nonchè, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, l’omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA con l’imposta ritenuta dovuta per complessivi Euro 4.903.178,90.

Avverso il succitato avviso di accertamento il Consorzio proponeva rituale impugnazione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Messina. Per quanto ancora in questa sede rileva, il Consorzio impugnò l’atto impositivo deducendo l’infondatezza del recupero d’imponibile limitatamente all’importo di Euro 2.055.369,97, la non imponibilità delle fatture emesse nei confronti di cessionaria intracomunitaria, assumendo l’irrilevanza dell’erronea indicazione dell’identificativo internazionale e lamentando il mancato riconoscimento del credito IVA di Euro 384.163,00.

La CTP di Messina, nel contraddittorio con l’Ufficio che sostenne la piena legittimità del proprio operato, accolse parzialmente il ricorso della contribuente quanto al riconoscimento del credito IVA vantato dal Consorzio stabilito nell’importo di Euro 384.163,00 in luogo di Euro 153.625,00 accertato dall’Amministrazione.

Avverso la sentenza della CTP la contribuente propose appello principale e l’Ufficio appello incidentale relativamente ai capi di sentenza ad essi rispettivamente sfavorevoli.

La Commissione tributaria regionale della Sicilia – sezione staccata di Messina – espletata ulteriore istruttoria a mezzo di CTU contabile, con sentenza n. 51/27/2011, depositata l’8 aprile 2011, non notificata, accolse l’appello principale della contribuente, salvo che in ordine alla ritenuta legittimità del recupero a tassazione per IVA sull’imponibile di Euro 4.652,00 per il quale risultava omessa la registrazione, rigettando l’appello incidentale dell’Ufficio.

Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

Il Consorzio, del quale, in pendenza del giudizio di legittimità, è sopravvenuto, come da nota del difensore pervenuta il 3 luglio 2019, il fallimento, ininfluente in questa sede, resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Amministrazione finanziaria denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), art. 75, comma 1, nella formulazione, ante riforma del 2004, applicabile ratione temporis, dell’art. 2423 bis c.c., dei Principi Contabili Internazionali IAS (International Accounting Standards), n. 10, contenuti nel Regolamento CE n. 1606/2002 del Parlamento e del Consiglio del 19 luglio 2002, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Deduce al riguardo la ricorrente l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui non ha riconosciuto la legittimità della ripresa a tassazione ai fini delle imposte dirette dell’importo di Euro 2.055.369,97 in violazione delle norme indicate in rubrica, ripresa che, viceversa, nasceva in relazione a fatto incontroverso, la delibera di esclusione adottata il 15 ottobre 2003, per inadempienze degli obblighi statutari, nei confronti di tre società consorziate, Europa Group Service S.r.l., Punto S.r.l. e Boom 5 S.r.l., ciò che avrebbe dovuto comportare, ai fini di bilancio e fiscali, la necessità di considerare come sopravvenienze attive i premi dovuti nei confronti delle società predette deliberati per Euro 1.015.659,87 nell’anno precedente e non ancora corrisposti, legittimando altresì il disconoscimento, tra i costi, per l’anno 2003, dell’importo di Euro 1.040.110,10 per la stessa causale, che non aveva più ragione di essere in considerazione della deliberata esclusione delle società stesse dalla compagine consortile.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 46, comma 2, e art. 50, comma 1, convertito con modificazioni nella L. 29 ottobre 1993, n. 427, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, rappresentando come, riguardo alla ripresa IVA, l’erronea indicazione del numero identificativo attribuito al cessionario comunitario dello Stato membro di destinazione dei beni non potesse essere qualificata alla stregua di un mero errore formale, costituendo l’indicazione dell’esatto numero identificativo del cessionario comunitario la condicio sine qua non per accedere al regime di non imponibilità, previsto per le cessioni comunitarie.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, rilevando come la sentenza impugnata, nel limitare il recupero ai fin IVA sull’imponibile di Euro 4.652,00, avesse violato la norma di cui in rubrica che, in caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale, autorizza l’Ufficio a determinare induttivamente l’ammontare imponibile complessivo e la relativa aliquota applicabile, sulla base di dati e notizie comunque raccolti o dei quali sia venuto a conoscenza, computando in detrazione soltanto i versamenti eseguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell’art. 19, risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33 in materia di IVA.

4. Infine, con il quarto motivo, la ricorrente lamenta omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 369 c.p.c. (recte art. 360) comma 1, n. 5, nonchè nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 2, 3 e 4, assumendo che la sentenza sarebbe priva di motivazione idonea ad esplicitare il percorso logico – giuridico seguito dalla CTR per pervenire alla decisione assunta, rendendo impossibile il controllo sulla ratio decidendi.

5. Va esaminato in ordine logico prioritariamente l’ultimo motivo, che, peraltro, per connessione, può essere trattato congiuntamente con il terzo, ove è dedotta specificamente la questione sulla quale la decisione della CTR sarebbe stata, secondo l’assunto di parte ricorrente, inficiata da difetto assoluto di motivazione.

5.1. I motivi sono infondati.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 7 aprile 2017, n. 9105; si vedano anche Cass. SU 3 novembre 2016, n. 22232 e Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053), ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento.

5.2. Nella fattispecie in esame è certamente da escludersi che ricorra siffatta evenienza.

La CTR ha, infatti, anche mostrando adesione non meramente acritica alle risultanze della disposta CTU contabile, illustrato adeguatamente le ragioni addotte a fondamento della decisione assunta.

5.2.1. Segnatamente, con riferimento ai limiti in relazione ai quali, in misura sensibilmente inferiore all’avviso di accertamento impugnato dal Consorzio, ha confermato la legittimità della ripresa a tassazione dell’IVA, la sentenza impugnata ha ben tenuto presente, diversamente da quanto dedotto dall’Ufficio, che l’accertamento era da intendere come induttivo “puro” in relazione al fatto che la dichiarazione trasmessa telematicamente dell’UNICO 2004 per i redditi del 2003 era avvenuta per errore sul modello UNICO 2003 relativo ai redditi dell’anno precedente, ma che ciononostante, dal riscontro della contabilità comunque effettuato dall’Ufficio ed oggetto di ulteriore verifica in sede di espletamento della CTU, sono emersi indiscutibilmente, sulla base delle regolari fatture registrate e contabilizzate, sia dal libro acquisti e dall’esame dei registri corrispettivi in cui sono riportate correttamente le liquidazioni mensili, sia il diritto alla detrazione per Euro 4.903.178,90 sugli acquisti, sia l’entità del credito IVA riportato a nuovo. In presenza di detta situazione fattuale è quindi legittima la sentenza impugnata anche in relazione al denunciato vizio di violazione di legge di cui al terzo motivo di ricorso.

5.2.2. La decisione della CTR, correttamente, aveva richiamato sul punto la stessa Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 74 del 19 aprile 2007, che, recependo sul punto l’orientamento a suo tempo espresso da questa Corte (Cass. sez. 1, 20 gennaio 1997, n. 544), aveva chiarito che “Dalla lettura congiunta del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, infatti, è possibile desumere che la decadenza del diritto alla detrazione ricorre soltanto nel caso in cui il medesimo non è esercitato “al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo”, precisando altresì il documento di prassi che “il diritto alla detrazione è ammesso purchè l’esistenza del credito IVA sia accertata dall’ufficio a seguito dell’attività di controllo del’annualità per la quale la dichiarazione è stata omessa”.

5.2.3. La decisione in esame è altresì conforme ai successivi approdi della giurisprudenza di questa Corte, avendo le Sezioni Unite (cfr. Cass. 8 settembre 2016, n. 17757, cui si è uniformata la successiva giurisprudenza: cfr. Cass. sez. 5, 23 febbraio 2018, n. 4392; Cass. sez. 6-5, ord. 3 aprile 2018, n. 8131; Cass. sez. 5, ord. 13 giugno 2018, n. 15149), nel contesto della giurisprudenza di riferimento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (tra le altre, cfr. Corte di Giustizia 11 dicembre 2014, in causa C-590/13, Idexx Laboratories Italia s.r.l., resa in sede di rinvio pregiudiziale proprio in relazione ad acquisizioni intracomunitarie: v. paragrafo successivo, nonchè Corte di Giustizia 8 maggio 2008, in cause riunite C- 95/07 e C-96/07, Ecotrade), affermato che “La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta – risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto – sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la dichiarazione”.

6. Per concludere l’esame dei motivi di ricorso riferiti alla decisione impugnata nella parte in cui si riferisce alla ripresa a tassazione dell’IVA, conviene soffermarsi sul secondo motivo, che è pur esso infondato.

6.1. Con riferimento alle operazioni di cessioni intracomunitarie l’Amministrazione ha disconosciuto il diritto all’esenzione in relazione al D.L. n. 331 del 1993, art. 46 e art. 50, commi 1 e 2, come convertito, con modificazioni, in L. n. 427 del 1993, in conseguenza dell’errore nel riporto dell’identificativo dell’operatore comunitario, sostenendo che per poter usufruire della deroga al normale regime impositivo, l’art. 50 citato pone a carico del contribuente l’onere di dare impulso ad apposita procedura di verifica, richiedendo al Ministero la conferma della validità del numero d’identificazione attribuito al cessionario, sicchè, in assenza del soddisfacimento di detto onere, troverebbe applicazione il regime impositivo ordinario.

L’Amministrazione ha citato a conforto del proprio assunto le pronunce di questa Corte Cass. sez. 5, 13 febbraio 2009, n. 3603 e Cass. sez. 5, 7 ottobre 2010, n. 20575.

6.2. In realtà dette pronunce, che sono riferite a fattispecie in relazione alle quali era controversa la stessa esistenza delle operazioni, fanno pur sempre salvo, così come la successiva Cass. sez. 5, 29 luglio 2016, n. 15871, l’onere per il contribuente di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo.

6.3. Orbene la sentenza impugnata, con accertamento non oggetto di censura in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella sua formulazione applicabile, ratione temporis, al presente giudizio, ha ritenuto sussistenti detti presupposti di fatto, rilevando che, in relazione alla verifica delle partite IVA comunitarie indicate nei modelli INTRA – 1, sulla base dell’espletata CTU, solo un identificativo è risultato formalmente errato, restando tuttavia accertata l’esistenza della relativa operazione con l’operatore comunitario correttamente identificato, mentre è risultata omessa la registrazione limitatamente all’importo di Euro 4.652,00, restando così confermato essere dovuta VIVA limitatamente al predetto importo.

7. Viceversa è fondato il primo motivo quanto alla ripresa riguardante le imposte dirette.

7.1. Il modus operandi del Consorzio si pone, oggettivamente, in contrasto con il carattere inderogabile del principio di competenza, in relazione al disposto dell’art. 75 TUIR, comma 1, nel testo ante riforma del 2004, applicabile ratione temporis al presente giudizio, e dei principi civilistici di redazione del bilancio di cui all’art. 2423 bis c.c., comma 1, nn. 2 e 3, secondo i quali, rispettivamente, “si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio” e “si deve tener conto dei proventi e degli oneri competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento”.

Tra le pronunce che hanno affermato la natura inderogabile del principio di competenza giova qui in particolare ricordare Cass. sez. 5, 21 ottobre 2013, n. 23725, resa proprio in tema di sopravvenienze attive, che ha chiarito come a ciò non possa trovare ostacolo la circostanza che detti componenti di reddito siano stati dichiarati in diverso esercizio.

7.2. Ciò premesso, risulta incontroverso, in fatto, che la delibera di esclusione dal Consorzio delle società sopra menzionate è del 15 ottobre 2003.

Ciò comporta che i premi dovuti in favore delle anzidette società quali risultanti dal bilancio dell’annualità dell’anno precedente e non ancora materialmente corrisposti alle società medesime “tornano” come sopravvenienze attive, in relazione all’art. 55 TUIR, comma 1, quale applicabile ratione temporis, (ora art. 88 TUIR), mentre, al contempo, non possono essere riconosciuti come costi deducibili i nuovi premi che sarebbero spettati alle società anzidette per l’anno 2003 se non ne fosse stata deliberata l’esclusione, donde la legittimità della contestazione al Consorzio, relativamente a questi ultimi, di maggiori ricavi.

7.3. Le considerazioni della CTR al riguardo, che ha inteso recepire anche in parte qua le risultanze dell’esperita CTU, non possono trovare condivisione.

In realtà, a prescindere dal fatto che, pur sulla base della stessa simulazione espletata dal CTU, l’avere appostato al bilancio successivo dette causali in relazione ai relativi importi non è comunque del tutto privo di conseguenze sul piano dell’IRPEG e dell’IRAP dovute (cfr. pag. 6 della stessa sentenza che richiama, in parte qua, il relativo passaggio della relazione peritale), risulta ineludibile l’applicazione, nella fattispecie de qua, dell’art. 75 TUIR, comma 1, primo periodo, secondo cui, per quanto qui rileva, i ricavi e gli altri componenti positivi per i quali le precedenti norme della stessa sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nel’esercizio di competenza, a ciò non potendo derogare – ove anche sia dato per pacifico – il fatto che anteriormente all’adozione della delibera di esclusione fossero in corso tra Consorzio e società trattative per una definizione transattiva poi sottoscritta il 10 giugno 2014.

7.4. Si deve, infatti, rilevare che, in ogni caso, quand’anche, in ragione della pendenza delle anzidette trattative, non fosse stata ritenuta possibile la determinabilità in modo obiettivo del relativo ammontare di detti componenti, la correttezza nella tecnica di redazione del bilancio avrebbe richiesto, ai fini della deroga ai principi di cui ai numeri 2 e 3 dell’art. 2423 bis c.c., la redazione di apposita nota integrativa motivata, costituente parte inscindibile del bilancio stesso (cfr. Cass. sez. 5, 12 maggio 2004, n. 8989; Cass. sez. 5, 29 settembre 2005, n. 19097; Cass. sez. 5, 11 settembre 2009, n. 19649; sull’illiceità del bilancio di esercizio di società di capitali che violi i precetti di chiarezza e precisione cfr. Cass. SU 21 febbraio 2000, n. 27).

8. La sentenza impugnata va pertanto cassata in accoglimento del primo motivo, rigettati gli altri, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sicilia – sezione staccata di Messina – in diversa composizione, che, nell’uniformarsi al principio di diritto sopra esposto, provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, rigettati gli altri.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia – sezione staccata di Messina – in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 20 febbraio 2020

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