Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4397 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. I, 18/02/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 18/02/2021), n.4397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16252/2019 proposto da:

K.L., elettivamente domiciliato in Padova, alla Via

Tommaseo n. 13, presso lo studio dell’Avvocato Vittorio Manfio, che

lo rappresenta e difende in forza di procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE di APPELLO di VENEZIA, depositata il

26/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/10/2020 dal Consigliere Dott. IRENE SCORDAMAGLIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza pubblicata il 26 novembre 2018, ha respinto l’appello proposto da K.L., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza pubblicata il 15 marzo 2017, con la quale il Tribunale di Venezia aveva rigettato la sua domanda di protezione internazionale, già presentata alla competente Commissione territoriale e del pari respinta.

2. A sostegno dell’adottata pronuncia, la Corte di merito ha rilevato come, stante la non verosimiglianza del racconto reso dal richiedente, in quanto sostenuto da allegazioni contraddittorie e intrinsecamente illogiche, in ordine alla vicenda che l’aveva costretto ad allontanarsi dal Mali (segnatamente l’essere stato ingiustamente inserito in una lista di studenti coinvolti in manifestazioni e, perciò, l’essere stato ricercato dalla polizia, la quale aveva cercato di catturarlo al confine con il Burkina Faso, dove sarebbe rimasto ferito), non vi fossero le condizione perchè egli si vedesse riconoscere la protezione internazionale. Quanto alla protezione sussidiaria, in particolare, escluso che ricorressero, alla luce dell’inverosimiglianza della narrazione, le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ha rilevato (in riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)), che il richiedente non aveva mai fatto alcun cenno alla situazione generale del suo Paese quale fonte di effettivo pericolo per la sua incolumità in caso di rimpatrio, ma ha, comunque, accertato che, secondo le fonti, attendibili ed aggiornate, compulsate (delle quali ha dato puntualmente conto), nel sud del Mali, zona di provenienza dell’appellante, non sussisteva nè una situazione di violenza generalizzata, nè di conflitto armato. Ha, infine, escluso che il richiedente vantasse i requisiti per vedersi riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria, posto che nulla aveva allegato in ordine all’esposizione ad uno specifico rischio, ovvero alla durata di esso, ed essendo irrilevanti sia il trattamento subito nel corso del suo transito in Libia sia il dedotto inserimento lavorativo in Italia.

3. Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di K.L. è affidato a cinque motivi.

4. L’intimata Amministrazione dell’Interno non ha presentato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 5), è denunciata la violazione dell’art. 111 Cost., comma 2 e art. 132 c.p.c., n. 4, con conseguente nullità della sentenza per motivazione omessa o solo apparente, in relazione alla richiesta di nuovi mezzi istruttori e nuovi documenti indicati nei motivi ai sensi dell’art. 702-quater c.p.c., in particolare quanto alla testimonianza del Console onorario del Mali (Avv. R.G.) e della responsabile dell’O.I.M. Italia (Dottoressa V.G.) da ritenersi prove decisive in ordine alla situazione di insicurezza e di conflittualità del Mali.

2. Con il secondo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 5), è denunciata la violazione dell’art. 111 Cost., comma 2 e art. 132 c.p.c., n. 4, con conseguente nullità della sentenza per motivazione omessa o solo apparente, nella parte in cui era stato affermato nella sentenza impugnata che la domanda di protezione internazionale sarebbe stata limitata alla protezione sussidiaria e alla protezione umanitaria.

3. Con il terzo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in riferimento ai criteri dettati dalla legge per la valutazione dei fatti posti a sostegno della domanda di protezione internazionale, con peculiare riguardo allo sforzo compiuto dal richiedente per circostanziare la propria domanda e, quindi, al mancato adempimento da parte della Corte veneziana dei propri obblighi di collaborazione istruttoria per colmare le carenze probatorie del richiedente: tanto rilevando con riferimento all’operata valutazione della credibilità di questi.

4. Con il quarto motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, si denuncia l’omesso esame di fatti decisivi in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c) e al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4, quali quelli desumibili dalle dichiarazioni del richiedente in sede di audizione e di interrogatorio e dai documenti depositati con l’atto di citazione in appello e con il deposito telematico del 20/12/2017, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e l’omesso esame dei documenti prodotti e delle fonti Amnesty aggiornate. Si assume che la Corte territoriale avrebbe sottovalutato la situazione politica, sociale e ordinamentale del Paese di origine, essendo venuta meno al proprio obbligo di cooperazione istruttoria officiosa che le avrebbe imposto di esaminare le fonti di informazione qualificata più aggiornate sulla situazione del Mali (ad esempio il rapporto ECOI).

5. Con il quinto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, la motivazione mancante o apparente in relazione ai presupposti della protezione umanitaria, siccome stabiliti del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi suscettibili attestare la ricorrenza in capo al richiedente dei requisiti per ottenere la protezione umanitaria; ciò tanto con riferimento agli articoli di stampa e alle fonti informative prodotte (Rapporto di Amnesty International) attestanti l’esistenza in Mali di una situazione di mancato rispetto dei diritti umani fondamentali, soprattutto con riguardo al trattamento carcerario, sia con riguardo ai documenti comprovanti lo svolgimento di attività lavorativa in Italia da parte di K..

6. Meritano prioritaria e congiunta trattazione il secondo e il terzo motivo di ricorso, con i quali sono articolate doglianze in punto di delimitazione dell’oggetto della domanda e di operata valutazione delle prove disponibili, soprattutto con riferimento all’apprezzamento della credibilità del richiedente.

Va, al riguardo, ribadito quel che da tempo ha insegnato la giurisprudenza di questa Corte, ossia che: ” In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5″ (Sez., n. 15794 del 12/06/2019, Rv. 654624); sicchè si è affermato che: “L’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361).

Il principio da ultimo richiamato vale, in particolare per l’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); forme di protezione internazionale, queste, in relazione alle quali è stato affermato che, ove le dichiarazioni dello straniero siano inattendibili, non è necessario un approfondimento istruttorio officioso (Sez. 1, n. 10286 del 29/05/2020, Rv. 657711). D’altro canto, come già evidenziato, il tema della valutazione sulla credibilità del richiedente protezione internazionale, fatta oggetto del sindacato in cassazione attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dal giudice di merito, si sottrae allo scrutinio proprio del giudizio di legittimità (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

E’ evidente, allora, che il motivo di gravame in ordine al riconoscimento dello “status” di rifugiato, quand’anche non specificamente esaminato dalla Corte di appello non sarebbe idoneo a determinare la nullità della sentenza impugnata, essendosi escluso che ricorresse il presupposto per concedere tale forma di protezione, vale a dire l’affidabile allegazione dei fatti costitutivi del diritto essendosi esclusa la credibilità del ricorrente.

Da ciò deriva l’infondatezza dei motivi esaminati.

7. Meritano trattazione congiunta anche il primo e il quarto motivo di ricorso, sviluppando entrambi deduzioni che si riferiscono al tema della prova della situazione generale del Mali e della valutazione di essa ai fini del riconoscimento quantomeno della protezione sussidiaria.

I motivi sono inammissibili.

7.1. Quanto al profilo dell’immotivato diniego di ammissione dei mezzi istruttori richiesti con l’atto di citazione in appello, occorre ricordare che, per la giurisprudenza di questa Corte, la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio di motivazione della sentenza, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quando il vizio emerga dal ragionamento posto alla base della decisione (che risulti incompleto o illogico o contraddittorio) ed il ricorrente indichi specificamente le circostanze di fatto oggetto della prova ed il nesso di causalità tra la mancata ammissione e la decisione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo sulla decisività della prova non ammessa (Sez. L, Sentenza n. 13730 del 22/07/2004, Rv. 574849), di modo che: “Il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento” (Sez. 6, Ordinanza n. 16214 del 17/06/2019, Rv. 654713).

Dalla formulazione del primo motivo emerge che il ricorrente di tali indicazioni direttive non ha tenuto conto, non solo perchè non ha riprodotto nel ricorso il capitolato di prova, nel rispetto del principio di autosufficienza, ma anche perchè non ha correlato le doglianze in punto di mancata ammissione delle testimonianze richieste, con le quali si sarebbe voluta provare situazione di insicurezza e di conflittualità del Mali, con l’affermazione, contenuta in sentenza, secondo la quale il richiedente, nelle audizioni innanzi alla Commissione territoriale e al giudice di primo grado, non aveva mai fatto alcun cenno alla situazione generale del suo Paese quale fonte di effettivo pericolo per la sua incolumità in caso di rimpatrio: affermazione, questa, in nessun modo specificamente contrastata con l’impugnativa.

Nè il giudice di merito avrebbe potuto sopperire al difetto di allegazione in ordine alla situazione generale del Paese di origine del richiedente, posto che, come dianzi sottolineato: “La domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio” (Sez. 6, n. 27336 del 29/10/2018, Rv. 651146; Sez. 6, n. 19197 del 28/09/2015, Rv. 637125); principio, questo, che vale anche in tema di protezione internazionale sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ove si è affermato che: “Laddove il richiedente invochi l’esistenza di uno stato di diffusa e indiscriminata violenza nel Paese d’origine tale da attingerlo qualora debba farvi rientro, e quindi senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato, l’attenuazione del principio dispositivo, cui si correla l’attivazione dei poteri officiosi integrativi del giudice del merito, opera esclusivamente sul versante della prova, non su quello dell’allegazione” (Sez. 1, n. 13403 del 17/05/2019, Rv. 654166; conf. Sez. 1, n. 10286 del 29/05/2020, Rv. 657711).

7.2. Quanto alle deduzioni sviluppate con il quarto motivo, ripetuto, in relazione alla domanda di protezione sussidiaria avanzata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), quanto dianzi esposto circa la mancanza di un obbligo in capo al giudice di merito di dar corso ad accertamenti istruttori officiosi, ove la credibilità del richiedente non sia positivamente apprezzata, in relazione alla domanda di protezione sussidiaria formulata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), occorre ribadire, in aggiunta al già rilevato difetto di allegazione, che il dovere di cooperazione istruttoria che incombe sul giudice di merito, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in ordine all’accertamento della situazione reale del paese di provenienza del richiedente, può, comunque, ritenersi adempiuto ove il giudice stesso abbia indicato specificatamente, come nel caso di specie, le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Sez. 6 – 1, n. 11312 del 26/04/2019, Rv. 653608), discendendone che il detto accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Sez. 6 – 1, n. 32064 del 12/12/2018, Rv. 652087).

8. Il quinto motivo di ricorso, che investe il capo della sentenza impugnata che si riferisce al diniego della domanda di protezione umanitaria, è infondato.

Integralmente riprodotte le argomentazioni sviluppate con riguardo al tema della credibilità del richiedente, il cui apprezzamento negativo da parte di entrambi i giudici di merito era stato tale da precludere ogni ulteriore approfondimento circa la situazione generale del Mali e circa specifici aspetti del trattamento carcerario riservato a chi sia indiziato di fatti astrattamente riconducibili a fattispecie di reato, va preso atto che i rilievi articolati dal ricorrente mancano di qualsivoglia confronto con l’interpretazione che della norma di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ha offerto questa Corte regolatrice (Sez. 1 -, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01; Sez. 6 – 1, n. 17072 del 28/06/2018, Rv. 649648 – 01) e che, di recente, ha ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite, con la sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062; interpretazione secondo la quale, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbiano rilievo, quindi, il livello di integrazione raggiunto in Italia o l’eventuale condizione di vulnerabilità allegata, quali elementi isolatamente ed astrattamente considerati. Poichè, infatti, il fine dell’indagine da compiersi è quello di verificare se il rimpatrio possa determinare per il richiedente la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in riferimento alla concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio.

Il ricorrente non ha, per contro, dedotto in ricorso di avere allegato nel giudizio di merito situazioni di vulnerabilità ulteriori, oltre quelle motivatamente escluse della Corte d’appello.

9. Il ricorso deve essere, quindi, rigettato. Nulla è dovuto per le spese perchè l’Amministrazione intimata è rimasta tale. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, dovrà essere versato dal ricorrente se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

 

 

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