Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4396 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. I, 18/02/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 18/02/2021), n.4396

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16251/2019 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in Padova, alla Via Tommaseo

n. 13, presso lo studio dell’Avvocato Vittorio Manfio, che lo

rappresenta e difende in forza di procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro

pro-tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE di APPELLO di VENEZIA, depositata il

15/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/10/2020 dal Consigliere Dott. IRENE SCORDAMAGLIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza pubblicata il 15 novembre 2018, ha respinto l’appello proposto da B.S., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza notificatagli il 1 settembre 2017, con la quale il Tribunale di Venezia aveva rigettato la sua domanda di protezione internazionale, già presentata, quanto alle tre forme (riconoscimento dello status di rifugiato; protezione sussidiaria; protezione umanitaria), alla competente Commissione territoriale e del pari respinta.

2. A sostegno dell’adottata pronuncia, la Corte di merito ha rilevato come, stante la non verosimiglianza del racconto reso dal richiedente in ordine alla vicenda in ragione della quale si era dovuto allontanare dal Gambia (l’essere rimasto coinvolto in scontri politici nel 2013, militando egli nel partito indipendentista capeggiato dal cugino, e l’essere stato ingiustamente accusato di avere cagionato, nel frangente, la morte di un ragazzo) non era necessario procedere ad approfondimenti istruttori officiosi in ordine al trattamento giudiziario e penitenziario riservato in Gambia a chi si macchi di un omicidio (rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e come, in ogni caso, la vicenda narrata non fosse riconducibile ad una persecuzione proveniente dallo Stato o da forze governative. Ha, poi, rilevato come dalle fonti attendibili ed aggiornate compulsate (delle quali ha dato puntualmente conto) non emergesse l’esistenza in Gambia di una situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato, ciò tanto più dopo l’insediamento del nuovo Presidente A.B., che aveva inaugurato una stagione di normalizzazione politica e sociale. Ha, infine, escluso che il richiedente vantasse i requisiti per vedersi riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria, posto che nulla aveva allegato in ordine ad una sua specifica situazione di vulnerabilità, che aveva conservato validi rapporti con i familiari rimasti in Gambia, che era irrilevante il dedotto inserimento lavorativo in Italia in assenza di alcun elemento che potesse far ritenere che egli, se rimpatriato, potesse subire la violazione di diritti umani fondamentali.

3. Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di B.S. è affidato a quattro motivi.

4. L’intimata Amministrazione dell’Interno ha presentato “Atto di costituzione” ma non si è difesa con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, va dichiarata l’inammissibilità della costituzione dell’intimato Ministero dell’Interno, tardivamente effettuata con un atto denominato “atto di costituzione”, non qualificabile come controricorso, sostanziandosi il relativo contenuto nella mera dichiarazione di costituirsi in giudizio “con il presente atto al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1”. Risulta, infatti, in tal modo, violato il combinato disposto di cui all’art. 370 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in base ai quali il controricorso deve, a pena di inammissibilità, contenere l’esposizione dei motivi di diritto su cui si fonda, costituendone requisito essenziale (v. Sez. 2, Sentenza n. 5400 del 13/03/2006). Anche nell’ambito del procedimento camerale di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c. (introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 196 del 2016), alla parte contro cui è diretto il ricorso, che abbia depositato – come nel caso di specie – un atto non qualificabile come controricorso, in quanto privo dei requisiti essenziali previsti dagli artt. 370 e 366 c.p.c., nel periodo che va dalla scadenza del termine per il deposito del controricorso alla data fissata per la discussione del ricorso per cassazione, è preclusa, pertanto, qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 378 c.p.c. (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 10813 del 18/04/2019; Sez. 3, Sentenza n. 16261 del 25/09/2012; Sez. 5, Sentenza n. 5586 del 9/03/2011).

2. Con il primo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, è denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè la violazione dell’art. 111 Cost., comma 2 e art. 132 c.p.c., n. 4, con conseguente nullità della sentenza per motivazione omessa o solo apparente. Tanto è dedotto con riferimento alla valutazione che la Corte territoriale aveva fatto della credibilità del ricorrente, apprezzata come non esistente senza assegnare alcun rilievo all’articolo denominato: “articolo sui fatti raccontati da B.S.”, che avrebbe fornito uno straordinario riscontro ai fatti narrati, come tale essendo espressivo del ragionevole sforzo compiuto dal richiedente asilo per provare i fatti allegati, e che avrebbe dovuto indurre il giudice a verificare il racconto del richiedente alla luce delle notizie a sua disposizione circa la situazione politica, sociale ed ordinamentale del Paese di origine.

Il motivo è infondato.

2.1. Nella sentenza impugnata sono state puntualmente indicate ed illustrate le ragioni per le quali B.S. non è stato ritenuto credibile e non è stato stimato attendibile il racconto della vicenda che l’aveva costretto all’espatrio. Si è, peraltro, affermato che il suo coinvolgimento negli scontri politici del 2013 e l’accusa mossagli di avere cagionato, nel corso di questi, la morte di un ragazzo non rivelavano gli estremi degli atti di persecuzione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8.

Un simile argomentare non può essere certo considerato come manifestazione di motivazione inesistente o apparente, stando all’insegnamento impartito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830) secondo cui tali anomalie si esauriscono nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” ovvero nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

2.2.Lo stesso motivo è poi generico nella parte in cui omette di illustrare quando e come l'” articolo sui fatti raccontati da B.S.” sarebbe stato prodotto e quale ne sarebbe stata la decisività in rapporto agli altri elementi di prova raccolti. Secondo il diritto vivente (Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), infatti, avendo l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, siccome riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, il ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

2.3. Va, quindi, ribadito il principio secondo il quale, ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ove le dichiarazioni dello straniero siano inattendibili non è necessario un approfondimento istruttorio officioso (Sez. 1, n. 10286 del 29/05/2020, Rv. 657711); d’altro canto, il tema della valutazione sulla credibilità del richiedente protezione internazionale, fatta oggetto del sindacato in cassazione attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dal giudice di merito, si sottrae allo scrutinio proprio del giudizio di legittimità (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

3. Con il secondo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, si denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, lett. a), b) e c), nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4 e l’omesso esame dei documenti prodotti e delle fonti Amnesty. Si assume che la Corte territoriale avrebbe sottovalutato la situazione politica, sociale e ordinamentale del Paese di origine, essendo venuta meno al proprio obbligo di cooperazione istruttoria officiosa che le avrebbe imposto di esaminare le fonti di informazione qualificata più aggiornate sulla situazione del Gambia (ad esempio il rapporto ECOI).

Il motivo è inammissibile.

3.1. Ripetuto quanto dianzi esposto circa la mancanza di un obbligo in capo al giudice di merito di dar corso ad accertamenti istruttori officiosi, nell’ipotesi di domanda di protezione sussidiaria avanzata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ove la credibilità del richiedente non sia positivamente apprezzata, in relazione alla domanda di protezione sussidiaria formulata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), occorre ribadire che, se è pur vero che una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente, tuttavia il detto obbligo può ritenersi adempiuto ove il giudice stesso abbia indicato specificatamente, come nel caso di specie, le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Sez. 6 – 1, n. 11312 del 26/04/2019, Rv. 653608), discendendone che l’accertamento sulla situazione generale del Paese di origine del richiedente costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Sez. 6 – 1, n. 32064 del 12/12/2018, Rv. 652087).

4. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, quanto alla mancato riconoscimento in capo al richiedente dei requisiti per ottenere la protezione umanitaria e all’omesso esame di fatti decisivi, con riferimento a quelli desumibili dall'”Articolo sui fatti raccontati da B.S.” e dalle fonti informative prodotte (Rapporto di Amnesty International 2016/2017), attestanti la previsione, nell’ordinamento penale del Gambia, della pena capitale per il delitto di omicidio volontario.

5. Con il quarto motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, segnatamente degli attestati di conoscenza della lingua italiana, di frequenza di corsi della scuola media inferiore, di corsi di volontariato, nonchè di ulteriori fonti informative circa la situazione generale del Gambia, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; nonchè la violazione dell’art. 111 Cost., comma 2 e art. 132 c.p.c., n. 4, con conseguente nullità della sentenza per motivazione omessa o solo apparente.

I motivi sopra enunciati devono essere trattati congiuntamente, investendo il capo della sentenza che si riferisce al diniego della domanda di protezione umanitaria, e sono entrambi infondati.

Integralmente riprodotte le argomentazioni sviluppate con riguardo al tema della credibilità del richiedente, il cui apprezzamento negativo da parte di entrambi i giudici di merito era stato tale da precludere ogni ulteriore approfondimento circa la previsione nell’ordinamento del Gambia di pene contrarie al senso di umanità per il delitto di omicidio volontario ovvero la sottoposizione a torture di chi se ne fosse reso responsabile, va preso atto che i rilievi articolati dal ricorrente mancano di qualsivoglia confronto con l’interpretazione che della norma di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ha offerto questa Corte regolatrice (Sez. 1 -, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01; Sez. 6 – 1, n. 17072 del 28/06/2018, Rv. 649648 01) e che, di recente, ha ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite, con la sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062; interpretazione secondo la quale, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbiano rilievo, quindi, il livello di integrazione raggiunto in Italia o l’eventuale condizione di vulnerabilità allegata, quali elementi isolatamente ed astrattamente considerati. Poichè, infatti, il fine dell’indagine da compiersi è quello di verificare se il rimpatrio possa determinare per il richiedente la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in riferimento alla concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatri.

Il ricorrente non ha, per contro, dedotto in ricorso di avere allegato nel giudizio di merito situazioni di vulnerabilità ulteriori, oltre quelle motivatamente escluse della Corte d’appello.

6. Il ricorso deve essere, quindi, rigettato. Nulla è dovuto per le spese per le ragioni in precedenza illustrate. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, dovrà essere versato dal ricorrente se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Dà atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1- quater del D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

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