Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4393 del 21/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/02/2017, (ud. 13/12/2016, dep.21/02/2017),  n. 4393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5132/2016 proposto da:

B.A.M., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Cavour,

presso la Corte Suprema di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARTINA BOATO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI VENEZIA, (C.F. P.I. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma VIA BARNABA TORTOLINI 34,

presso Io studio dell’Avvocato NICOLO’ PAOLETTI che lo rappresenta e

difende, unitamente agli avvocati IANNOTTA ANTONIO, NICOLETTA ONGARO

e BALLARIN MAURIZIO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

G.F., AULSS (OMISSIS) VENEZIANA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1589/2014 del TRIBUNALE di VENEZIA, emessa e

depositata il 16/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LINA RUBINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“Il relatore, Cons. Dott. Lina Rubino, esaminati gli atti, osserva:

B.A.M. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado n. 1589/2014 depositata dal Tribunale di Venezia in data 16.7.2014, che la vede soccombente nei confronti del Comune di Venezia nonchè del Dott. G.F., della AUSSL (OMISSIS) Venezia e del Ministero della Salute, in causa di risarcimento danni per essere stata oggetto di accertamento sanitario obbligatorio in assenza dei presupposti di legge avendo proposto appello avverso la predetta sentenza avanti alla Corte d’Appello di Venezia, appello dichiarato inammissibile dalla corte d’appello con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., del 16.7.2015, comunicata telematicamente in pari data.

Il ricorso è stato notificato alla controparte in data 15.2.2016.

Il Comune di Venezia si è costituito con controricorso.

G.F., la AUSSL (OMISSIS) Venezia, il Ministero della Salute, intimati, non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., apparendo destinato ad essere dichiarato inammissibile, per un duplice ordine di ragioni.

1. Tardività. In primo luogo, conformemente ad un principio di diritto già affermato da questa Corte, nella ipotesi di ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c., comma 1, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, deve essere proposto nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza (o dalla notificazione della stessa, se anteriore), senza che sia applicabile il termine “lungo” previsto dall’art. 327 c.p.c. (Cass. n. 15235 del 2015), purchè la comunicazione ricevuta sia stata sufficientemente esaustiva, ovvero abbia permesso alla parte destinataria di conoscere la natura del provvedimento adottato, implicante lo speciale regime d’impugnazione previsto (Cass. n. 18024 del 2015).

Nella specie, tra la data di pubblicazione della ordinanza impugnata (16.7.2015) e la data di notificazione del ricorso per cassazione (15.2.2016) decorrono ben più dei sessanta giorni perentoriamente previsti dalla legge.

2. Necessità della indicazione dei motivi di appello. Nel caso eccezionale disciplinato dagli artt. 348 bis e ter c.p.c., si sostituisce, quale oggetto del giudizio di legittimità, al provvedimento di secondo grado quello originario di primo grado. Mantiene però pienamente vigore la regola generale dell’art. 329 c.p.c., comma 2, secondo la quale l’impugnazione parziale comporta acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata, e la definitività delle medesime statuizioni, visto che il processo si è comunque sviluppato secondo le ordinarie sue regole e, solo, il grado di appello ha avuto uno svolgimento compresso e sommario. Il conseguimento della definitività della pronuncia di primo grado comporta quindi il consolidamento del giudicato e la preclusione di ogni ulteriore mezzo di impugnazione, rilevabile anche di ufficio dalla corte di legittimità. Analogamente, oggetto del ricorso per cassazione ex art. 348-ter c.p.c., non possono essere questioni che siano già precluse al momento della proposizione dell’appello dichiarato inammissibile ex art. 348-bis c.p.c.: in particolare, il giudicato interno, anche implicito, formatosi in ragione della mancata impugnazione di uno o più capi della sentenza di primo grado comporta la preclusione, nel corso del medesimo processo, delle relative questioni.

Se tanto è vero, costituendo l’atto di appello poi dichiarato inammissibile e l’ordinanza che a tanto abbia proceduto i medesimi requisiti processuali speciali di ammissibilità del ricorso diretto per cassazione avverso il provvedimento di primo grado, è allora indispensabile – ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3 (su cui, tra le moltissime, per tutte e per una ricostruzione del principio sotteso, v. Cass., ord. 25 marzo 2013, n. 7455 e Cass., ord. 16 marzo 2012, n. 4220) – che nel ricorso per cassazione formulato ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, sia fatta espressa menzione sia della motivazione dell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c. e art. 348-ter c.p.c., comma 1, sia dei motivi di appello, affinchè sia evidente che sulle questioni rese oggetto del giudizio di legittimità non si sia formato alcun giudicato interno, essendo esse state ancora prospettate adeguatamente al giudice dell’appello. Inoltre, sia l’atto di appello che l’ordinanza dovranno poi essere prodotti, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., nn. 4 e 6.

Nel caso di specie, la ricorrente non segnala quale fosse il contenuto dei motivi di appello. E’ pertanto impossibile verificare la sussistenza dei presupposti di ammissibilità tipici dello speciale ricorso per cassazione azionato dalla ricorrente. Si aggiunga che la possibile trasfusione del contenuto dei motivi di appello all’interno dei motivi di ricorso per cassazione (ipotizzabile dal tenore del ricorso), è comunque una mera congettura, un dato equivoco non idoneo a supplire alla mancanza di una specifica indicazione dei motivi di appello, da un lato, e alla redazione con il tecnicismo richiesto dal particolare oggetto del giudizio dei motivi di ricorso per cassazione.

Si propone pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso”.

Il Collegio, riunito in Camera di consiglio, ritiene di condividere il contenuto della relazione, salva la precisazione che anche il Ministero della salute risulta costituito in atti.

Il ricorso proposto va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza del ricorrente, la Corte, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile. Liquida le spese del giudizio di cassazione in Euro 4.300,00 ciascuno in favore dei costituiti Comune di Venezia e Ministero della Salute, di cui Euro 200,00 per esborso, oltre accessori e contributo spese generali.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 13 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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