Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4391 del 24/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 4391 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: BENINI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 15929-2007 proposto da:
IMPRESA LESSIO ROMOLO S.N.C. DI LESSIO PIETRO & C.
(c.f./p.i. 00319380283), già Impresa Lessio Romolo
&

F.11i

S.n.c.,

in

persona

del

legale

Data pubblicazione: 24/02/2014

rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 67, presso
2014
20

l’avvocato BARBIERI ALFREDO, rappresentata e difesa
dall’avvocato TESTA GABRIELE, giusta procura in
calce al ricorso;
– ricorrente –

1

contro

COMUNE DI ROSSANO VENETO (C.F. 00261630248), in
persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA L. SETTEMBRINI 38, presso
l’avvocato BARLATI MARIANNA, che lo rappresenta e

giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –

avverso la sentenza n.

653/2006 della CORTE

D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 14/04/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 08/01/2014 dal Consigliere
Dott. STEFANO BENINI;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato GABRIELE TESTA
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente Comune, l’Avvocato
MARIANNA BARLATI, anche per delega avv. BERTACCHE,
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

difende unitamente all’avvocato BERTACCHE GIOVANNI,

Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del primo motivo del ricorso, per
l’accoglimento per quanto di ragione del secondo
motivo e per il rigetto del terzo motivo.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.

Con atto di citazione notificato il 29.1.1990,

l’impresa Lessio Romolo & f.11i s.n.c. conveniva in
giudizio davanti al Tribunale di Bassano del Grappa il
Comune di Rossano Veneto chiedendone la condanna al

pagamento delle somme corrispondenti a varie voci di
credito relative all’esecuzione di due contratti di
appalto per opere pubbliche, stipulati nel 1981 e nel
1985, particolarmente, per quanto ancora di interesse, a
titolo di risarcimento danni subiti per la sospensione
dei lavori oggetto del primo contratto, illegittimamente
disposta dalla convenuta dal 25.5 al 22.11.1982.
Si costituiva in giudizio il Comune di Rossano,
contestando in fondamento delle pretese e chiedendo il
rigetto delle domande.
2. Una sentenza non definitiva dichiarava cessata la
materia del contendere relativamente al saldo dei lavori
effettuati, alla revisione prezzi e agli interessi
(pagati nelle more), e condannava l’amministrazione al
pagamento degli interessi anatocistici, rigettando la
domanda per danno ulteriore relativo al ritardato
pagamento degli interessi, e la sentenza definitiva
rigettava la domanda risarcitoria per la sospensione dei
lavori,

siccome

addebitabile

all’inadempimento

dell’impresa nell’eseguire le indagini geognostiche per i
calcoli statici. Proponeva appello l’impresa Lessio.

3

3.

Con sentenza depositata il 14.4.2006, la Corte

d’appello

di

Venezia

rigettava

l’appello:

nessun

riscontro probatorio era stato offerto dall’appellante in
ordine al fermo dei macchinari in cantiere, non avendo il
consulente rinvenuto alcuna documentazione attestante il

nolo dei macchinari e il relativo pagamento; neppure per
il preteso danno per la sosta forzosa dei lavori, come
mancato utile per la perdita di occasioni, era stata
fornita prova concreta in merito ad occasioni sfumate a
causa della sospensione, essendo peraltro impossibile una
liquidazione equitativa non avendo l’interessata offerto
il benché minimo elemento, e ciò anche riguardo alla voce
spese generali; per l’esecuzione dei lavori nel periodo
invernale ne escludeva la risarcibilità non essendo
dovuto per legge compenso per sospensioni dovute alle
condizioni climatiche; gli interessi per il mancato
pagamento erano stati già liquidati.
4. Ricorre per cassazione l’impresa Lessio Romolo s.n.c.
di Lessio Pietro & C. (già impresa Lessio Romolo & f.11i
s.n.c.), affidandosi ad una complessa articolazione di
doglianze,

illustrate

da

memoria,

ragionevolmente

sintetizzabili in tre motivi, al cui accoglimento si
oppone con controricorso il Comune di Rossano.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, l’impresa Lessio
Romolo s.n.c. di Lessio Pietro & C., denunciando
violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in
4

relazione all’art. 360, primo comma, n

4 o 3 c.p.c.,

censura la sentenza impugnata per aver completamente
omesso di decidere sui motivi di appello inerenti
l’illegittimità della sospensione disposta dal Comune
appaltante, sia per profili formali (mancanza di

deliberazione della Giunta comunale, quale unico organo
competente), sia per profili sostanziali (mancando i
presupposti di legge per ordinare la sospensione),
virando sulle questioni inerenti l’aspetto quantitativo
della domanda risarcitoria, che non erano stati investiti
da alcun specifico mezzo di gravame.
Con il secondo motivo, la ricorrente, denunciando
violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2056,
2727 e SS., e 2697, 14 1. 10.12.1981 n. 741, in relazione
all’art. 360, primo comma, c.p.c., ed omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto
controverso e decisivo per il giudizio in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., censura la
sentenza impugnata per aver ritenuto non provate le
singole voci di danno, particolarmente inerenti il
mancato utilizzo dei macchinari in cantiere, il mancato
utile per la sosta forzosa dei lavori, il maggior onere
da spese generali.
Riguardo al mancato utilizzo dei macchinari in cantiere,
il materiale probatorio acquisito agli atti, in
particolare

gli

elementi

raccolti

dal

c.t.u.

nell’elaborato del 1991 e le deposizioni di vari testi,
5

convincono con certezza della presenza, nel periodo di
durata della sospensione dei lavori, della gru a torre,
dell’impianto di betonaggio e dell’escavatore gommato.
Una volta accertata la presenza dei macchinari, un
indennizzo era comunque da liquidare, anche

equitatívamente, con ricorso a presunzioni, facendo
riferimento al criterio del mancato ammortamento del
valore dei macchinari, essendo quello del nolo solo uno
dei criteri di determinazione del danno.
Riguardo al mancato utile per la sosta forzosa dei
lavori, come perdita di occasioni, le affermazioni
negative della Corte d’appello sono contraddette dalla
relazione di c.t.u. del 1991, i cui calcoli presuntivi
sulla mancata percezione di utili (importo di L.
55.702.000) sono precisati dal c.t.p. (che stima una
perdita di L. 69.839.763), il quale desume l’effettiva
perdita di fatturato comparando i dati sul volume di
affari di vari anni, che risultano nettamente superiori
al 1982, in cui si è verificata la sospensione. I dati
furono altresì confermati dal collaudatore dell’opera.
L’affermazione del giudice in ordine alla mancanza dì
prova si scontra con la pacifica affermazione della
giurisprudenza arbitrale in ordine all’uso di presunzioni
sia per la determinazione della perdita dell’utile
normalmente ottenibile attraverso altre commesse, sia per
le spese generali, da commisurare proporzionalmente al
prezzo dell’appalto, riconosciute anche dall’art. 20 del
6

d.m. 29.5.1895 per la compilazione dei progetti dello
Stato.
Con il terzo motivo, la ricorrente, denunciando omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto
controverso e decisivo per il giudizio in relazione

all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., censura la
sentenza impugnata riguardo al mancato riconoscimento del
danno per lo svolgimento dei lavori nel periodo
invernale, giustificato dall’esclusione normativa di
compensi aggiuntivi a causa delle condizioni climatiche,
mirando viceversa la pretesa dell’appaltatore a vedersi
riconosciuti gli oneri conseguiti allo slittamento
dell’esecuzione dei lavori nel periodo invernale, a causa
dell’illegittima sospensione, riguardo alle opere di
fondazione e nei seminterrati, e nel rendimento del
personale. Riguardo al ritardato pagamento delle opere
già eseguite, il giudice ha confuso l’aggravio per la
ritardata contabilizzazione dei lavori già eseguiti al
momento della sospensione, che era oggetto di richiesta,
con gli interessi sul ritardato pagamento dei lavori una
volta contabilizzati.
2.

Preliminarmente,

va

disattesa

l’eccezione

del

controricorrente in ordine ad una pretesa mancanza di
indicazione degli atti processuali e dei documenti da
parte della ricorrente, in ottemperanza all’art. 366, n.
6, c.p.c.: il ricorso, al contrario, appare fin troppo
diffuso nella narrativa dell’antefatto e nell’indicazione
7

dei fatti processuali e documenti prodotti in causa, su
cui intende fondare le proprie doglianze davanti a questa
Corte. Per quanto concerne, poi, la lamentata mancata
trascrizione dell’ordinanza di sospensione dei lavori da
parte del Sindaco di Rossano, non si tratta di documento

indispensabile alla decisione,per le ragioni che si
espongono di seguito, nell’esame del primo motivo di
ricorso.
3. Non è censurabile la decisione della Corte d’appello
riguardo alla pretesa omessa pronuncia sullo specifico
motivo di appello, concernente l’illegittimità della
sospensione dei lavori.
E’ appena il caso di smentire, preliminarmente, quanto
eccepito dall’amministrazione controricorrente, che la
connotazione in termini di illegittimità della
sospensione non fosse nella domanda dell’appaltatrice,
che in sede di precisazione conclusioni si sarebbe
limitata a richiedere il danno senza specifica richiesta
di accertamento dell’illegittimità. L’assunto è smentito
dalla stessa letteralità nella formulazione delle
conclusioni in appello, in cui si chiedeva la condanna di
controparte al pagamento di una somma “per i danni subiti
in conseguenza dell’illegittima sospensione dal 25.5.1982
al 22.11.1982”, laddove l’antigiuridicità del
comportamento dannoso (che era stata disconosciuta in
prima grado, con conseguente rigetto della domanda), è il
presupposto logico per il riscontro del fatto ingiusto.
8

La sentenza impugnata muove dall’assunto per cui “la
pretesa

risarcitoria

è

connessa

all’illegittimità

originaria o sopravvenuta del provvedimento di
sospensione dei lavori. Ed alla prova dei danni subiti in
relazione alla sosta forzosa imposta in assenza dei

presupposti previsti dalla legge, sicché ove difetti uno
degli elementi di cui si compone la domanda, la richiesta
non potrà essere che rigettata”.
In coerenza con la premessa, il giudice d’appello rigetta
la domanda, procedendo all’analisi dei singoli profili
risarcitori per i quali era richiesta la rifusione, e non
ritenendo provata, in relazione alle varie voci, la
sussistenza stessa del danno asseritamente conseguito
alla sospensione dei lavori. Non viene minimamente
trattata la questione circa la legittimità della
sospensione, che viceversa il giudice di primo grado
aveva risolto in senso negativo, consequenzialmente
negando il risarcimento.
L’omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, può
essere utilmente prospettata solo con riguardo alla
mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine
ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente
proposta, richiede una pronuncia di accoglimento o di
rigetto; tale vizio, pertanto, deve esser escluso in
relazione ad una questione esplicitamente o anche solo
implicitamente assorbita in altre statuizioni della
sentenza e che, quindi, è suscettibile di riesame nella
9

successiva fase del giudizio (Cass. 19.3.2004, n. 5562).
In particolare, il vizio di omessa pronuncia da parte del
giudice d’appello è configurabile allorché manchi
completamente l’esame di una censura mossa al giudice di
primo grado; la violazione non ricorre nel caso in cui il

giudice d’appello fondi la decisione su un argomento che
totalmente prescinda dalla censura o necessariamente ne
presupponga l’accoglimento o il rigetto: infatti nel
primo caso l’esame della censura è inutile, mentre nel
secondo essa è stata implicitamente considerata (Cass.
19.5.2006, n. 11756).
In

tema

di

responsabilità

da

fatto

illecito,

l’accertamento del giudice procede normalmente dalla
verifica della potenzialità dannosa del fatto (che può
indurre a una pronuncia di condanna generica), per poi
passare, in successione logica, alla quantificazione del
danno: il che non esclude che in questa sede l’esistenza
stessa del danno possa venire in radice negata (Cass.
14.7.2006, n. 16123; 13.9.2012, n. 15335).
Posto che la prova dell’esistenza e dell’ammontare del
danno è a carico del danneggiato, il quale è tenuto a
fornirla indipendentemente da ogni valutazione in ordine
all’esistenza dell’illecito (Cass. 28.7.2005, n. 15808),
il giudice può rigettare la domanda, con inversione
dell’ordine logico delle questioni, ove manchi
completamente la prova del danno, ritenendo superflua la

10

soluzione della questione in merito alla legittimità
della condotta, che ne sarebbe logico presupposto.
Nella specie, la pronunzia di rigetto risulta adottata
sulla base di quella che al giudice è sembrata la
“ragione più liquida”, che ha comportato la soluzione di

una questione assorbente, senza che sia stato necessario
esaminare previamente tutte le altre. Ricorre nella
specie un’ipotesi di “assorbimento improprio”, come in
ogni caso in cui la decisione c.d. assorbente esclude la
necessità o la possibilità di provvedere sulle altre
questioni (Cass. 16.5.2012, n. 7663), senza che della
questione che ne costituisce il presupposto logicogiuridico, che non abbia costituito oggetto di specifica
disamina e valutazione da parte del giudice, possa dirsi
formato il giudicato implicito, con efficacia vincolante
nei futuri giudizi (Cass. 16.5.2006, n. 11356).
Nel giudizio di cassazione non trova applicazione il
disposto dell’art. 346 c.p.c., relativo alla rinuncia
alle domande ed eccezioni non accolte in primo grado;
pertanto, sulle questioni esplicitamente o implicitamente
dichiarate assorbite dal giudice di merito, e non
riproposte in sede di legittimità all’esito di tale
declaratoria, non si forma il giudicato implicito, ben
potendo le suddette questioni, in caso di accoglimento
del ricorso, essere riproposte e decise nell’eventuale
giudizio di rinvio (Cass. 24.1.2011, n. 1566). In tal
caso non grava sul soccombente l’onere di formulare sulla
11

questione assorbita alcun motivo di impugnazione, essendo
sufficiente, per evitare il giudicato interno, censurare
o la sola decisione sulla questione giudicata di
carattere assorbente o la stessa statuizione di
assorbimento, contestando i presupposti applicativi e la

ricaduta sulla effettiva decisione della causa (Cass.
9.10.2012, n. 17219).
Nella specie la ricorrente, con il secondo e terzo
motivo, ha censurato la sentenza nell’unica statuizione
in essa contenuta, in cui ha negato l’esistenza del
danno. Ove tali doglianze venissero accolte, la questione
dell’illegittimità della condotta, produttiva di danno,
dovrà essere esaminata dal giudice di appello, quale
ulteriore fatto costitutivo della responsabilità. In
questa sede, dunque, la censura di cui il ricorrente ha
fatto oggetto del primo motivo, è inammissibile.
4. Si passa al secondo motivo, concernente la sussistenza
del lamentato danno da sospensione dei lavori appaltati,
articolato dalla ricorrente nelle sub-censure
concernenti, da un lato, il mancato utilizzo dei
macchinari in cantiere, e dall’altro, il mancato utile
per la sosta forzosa dei lavori e il maggior onere da
spese generali.
Riguardo al fermo dei macchinari, la ricorrente si duole
che la Corte d’appello abbia ritenuto tali voci di danno
come non provate o non spettanti. Sul punto
l’impugnazione invoca la violazione delle norme in tema
12

di liquidazione del danno e di assunzione delle prove,
lamentando, in ultima analisi, il mancato ricorso del
giudice a criteri di liquidazione dell’indennizzo diversi
dal prezzo del nolo dei macchinari inutilizzati.
La Corte d’appello ha esaminato la domanda, per come

proposta dall’appaltatrice, di indennizzo per il mancato
utilizzo dei macchinari, per l’importo corrispondente al
prezzo dei noli. In proposito ha osservato che nessun
riscontro probatorio è stato fornito dalla richiedente.
Nel ricorso per cassazione l’appaltatrice trascrive passi
della

relazione del c.t.u.,

richiama attestazioni

documentali, riporta le dichiarazioni di alcuni testi, al
fine di evidenziare gli elementi dai quali risulterebbe
la presenza nel cantiere, durante la sospensione, dei tre
._

macchinari

(gru a torre,

impianto di betonaggio,

escavatore gommato), che il c.t.u. stesso aveva
considerato in modo dubitativo, con una stima ipotetica
delle perdite.
L’insistenza della ricorrente sulla dimostrazione della
presenza dei macchinari in cantiere al tempo della
sospensione, mira chiaramente a contraddire
l’affermazione del giudice riguardo alla mancanza di
prova sul danno per mancato utilizzo dei beni stessi. La
motivazione della Corte d’appello è sul punto carente,
oltre che illogica.
La formulazione della domanda dell’appaltatrice, di
,

essere indennizzata per il mancato utilizzo dei beni, “in
13

misura corrispondente ai noli”, viene interpretata dal
giudice come richiesta di commisurazione della perdita ad
una spesa effettiva affrontata dalla stessa, per il nolo
dei macchinari, che non risulta provata mancando ogni
documentazione contrattuale e solutoria.

L’interpretazione della domanda rientra nella valutazione
del giudice di merito e non è censurabile in sede di
legittimità ove motivata in modo sufficiente e non
contraddittorio (Cass. 14.11.2011, n. 23794; 24.7.2012,
n. 12944).
Nella specie, in realtà, il passaggio logico che ha
indotto il giudice a qualificare la domanda come rimborso
di spese sostenute per il nolo dei macchinari, non appare
giustificato dato che, dallo svolgimento del processo,
desumibile dalle trascrizioni riportate nel ricorso per
cassazione e dalla stessa sentenza, non risulta che
l’appaltatrice abbia mai specificato il titolo della
propria disponibilità sugli strumenti di lavoro in
cantiere. Risulta al contrario che nell’atto di citazione
in appello l’appaltatrice giustifica la richiesta di
risarcimento, confermando la domanda proposta in primo
grado, invocando per i macchinari giacenti in cantiere il
“criterio d’indennizzo del tutto conforme alla prassi e
cioè quello corrispondente ai noli che l’impresa deve
pagare per disporre, anche se inutilmente, di analoghi
impianti e macchinari”.

14

Il c.t.u., sempre con la riserva dell’effettiva presenza
in cantiere dei macchinari, quantifica l’onere “per la
messa a disposizione delle attrezzature fisse”, con
riferimento ai prezzi di mercato; il c.t.p., di rimando,
eccepisce che “il criterio normalmente adottato prende

come riferimento i coefficienti di ammortamento di mezzi
e materiali impiegati con decreto del Ministero delle
finanze”; il collaudatore assume che la presenza di detti
macchinari è consustanziale al funzionamento del
cantiere, e riconosce dovuto l’indennizzo “per canoni e
consequenziali”.
Agli atti, dunque, risultano con certezza gli elementi
per procedere al liquidazione del danno per il fermo dei
macchinari, indipendentemente dalla prova della
stipulazione di contratti di nolo e dell’avvenuto
pagamento dei canoni. Il presupposto fattuale per la
quantificazione del danno, qualunque essa sia, è
l’effettiva presenza in cantiere dei macchinari, che, se
posta in via dubitativa dal c.t.u., risulterebbe da vari
altri elementi (trascurati dalla Corte d’appello), come
dichiarazioni scritte di tecnici e deposizioni
testimoniali (di cui la ricorrente trascrive la
verbalizzazione alle pagg. 86-89 del ricorso).
In conclusione, pur essendo vero che il giudice di
merito, nella valutazione delle prove, non incontra altro
limite che quello di indicare le ragioni del proprio
convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni
15

singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni
difensive (Cass. 21.7.2010, n. 17097), la trascuranza di
fatti decisivi per il giudizio può inficiare la
valutazione del giudice di merito (Cass. 17.6.2011, n.
13327).

Trattandosi dunque di applicare criteri presuntivi
nell’accertamento del danno, il giudice di rinvio,
all’esito della cassazione della sentenza, dovrà farsi
carico di una nuova valutazione delle risultanze
probatorie, motivando correttamente l’incidenza, nel
processo logico che ne ingenera il convincimento, degli
elementi probatori a sua disposizione, ivi compresi
quelli (deposizioni testimoniali, risultanze documentali)
che appaiono potenzialmente decisivi per i giudizio, sia
in merito alla presenza dei macchinari nel cantiere, sia
riguardo alla conseguente liquidazione del danno.
L’ulteriore precisazione della Corte d’appello, in ordine
all’impossibilità
equitat ivi,

di

ammissibile

una

valutazione

so lo

se

in

termini

la parte provi

l’esistenza ontologica del danno e l’impossibilità di
provarlo nel suo preciso ammontare, oltre agli elementi
probatori e di fatto che ne consentano la determinazione,
rivela i suoi limiti in quanto oltre a non considerare,
da un lato, le risultanze fattuali da cui può inferirsi
l’esistenza del danno, dall’altro, disconosce le modalità
di liquidazione del danno comunemente osservate in

16

materia, di cui lo stesso c.t.u. fa applicazione (sia
pure ipotetica) nel proprio elaborato.
5. Analoga argomentazione va riservata al mancato
riconoscimento delle spese generali.
La ritenuta carenza probatoria su tale voce di danno è

efficacemente contraddetta dalla ricorrente con
riferimento alla inerenza all’azienda e allo stesso
impianto del cantiere, tanto che il relativo rimborso
costituisce componente ineluttabile del risarcimento in
caso di allungamento dei tempi di lavorazione conseguente
alla sospensione illegittima dell’appalto (Cass.
2.3.2009, n. 5010). Del resto, fin dall’entrata in vigore
del d.m. 29.5.1895 n. 257 (art. 20), e poi, in epoca
recente, successivamente all’accadimento dei fatti di
causa, la normativa (artt. 34, comma 2, lett.
21.12.1999 n. 554; 25, comma 2, lett.

a,

b,

d.p.r.

d.m. 19.5.2000,

n. 145; 32, comma 2, lett. b, d.p.r. 5.10.2010 n. 207) ha
fornito analitica disciplina di determinazione di tale
voce di spesa, prevedendo un ammontare percentuale
rispetto al prezzo dell’appalto, inducendo una
presunzione di danno, a tale titolo, per l’illegittimo
protrarsi dei lavori: come del resto, in precedenza, la
giurisprudenza.
Dagli atti di causa, peraltro, risulta il riconoscimento
di tale voce di spesa da parte del collaudatore (ricorso
pag. 62), che il giudice aveva quantomeno l’obbligo di
.

contraddire ove la presunzione di lesività fosse
17

contraddetta da specifici elementi escludenti il danno in
.
relazione all’organizzazione dell’impresa. Anche su tale
punto il giudice di rinvio è chiamato ad una nuova
valutazione.
6. Appare infondata la doglianza in merito al mancato

riconoscimento dell’utile, per il quale la decisione
della Corte d’appello appare indenne da censure nella sua
motivazione, o comunque conforme a giustizia nel suo
risultato ultimo. La perdita dell’utile è invocata
dall’appaltatrice con riferimento al 1982, anno
all’interno del quale è interamente compresa la
sospensione, nel quale si sarebbe verificata una
contrazione del fatturato, come risulterebbe dalle
dichiarazioni Iva. In realtà, l’appaltatrice non può
I
,

invocare la perdita del fatturato nel 1982 per i lavori
oggetto di appalto, posto che gli stessi sono stati
retribuiti, sia pure in ritardo, ma con pagamento di
interessi e rivalutazione. La perdita di ulteriori
occasioni di lavoro dovrebbe essere logicamente
collocata, in un lasso di tempo pari alla durata della
sospensione (sei mesi), che decorre dalla data di
programmata fine lavori, che invece, a causa della
sospensione, sia stato necessariamente superato. Tale
data è localizzata in ricorso (pag. 3) al 22.3.1985. Non
risulta che l’appaltatrice abbia dimostrato occasioni di
lavoro perdute nei sei mesi precedenti, e nemmeno la

.

dedotta perdita è dimostrabile in via presuntiva, non
18

avendo la ricorrente dedotto di aver esibito le
4
registrazioni Iva per gli anni1984-1985. Ove invece si
tenga conto del termine di durata programmato dei lavori,
che, ricomprendendovi i sei mesi di sospensione, sarebbe
slittato dalla fine di febbraio alla fine di agosto 1983,

proprio il 1983, risulta l’anno con maggiore fatturato,
desumibile dalle dichiarazioni Iva (ricorso pag. 60).
7. Il terzo motivo attiene, in primo luogo, al mancato
riconoscimento

dei

maggiori

oneri

nell’esecuzione

dell’opera, derivanti dallo slittamento del tempo
necessario, in periodo invernale, con riferimento alle
opere di fondazione e nei seminterrati, e nel rendimento
del personale.
Pur essendo vero quanto riportato in sentenza, che l’art.
30, terzo comma, del capitolato generale per le opere
pubbliche, approvato con d.p.r. 16.7.1962 n. 1063,
stabilisce non spettare alcun compenso o indennizzo
all’appaltatore per sospensioni derivanti da cause di
forza maggiore (tra queste comprese le condizioni
climatiche), ciò non vale per lo slittamento dei lavori
nel periodo invernale, a causa della sospensione disposta
per motivi non consentiti.
Nella specie, tuttavia, il c.t.u. ha argomentato (ricorso
pagg. 114-5) che i lavori, anche senza sospensione, si
sarebbero svolti in periodo invernale. La pretesa della
ricorrente che, sulla scorta delle osservazioni del
c.t.p., nel periodo invernale si sarebbe dato corso ai
19

lavori di fondazione (che più risentono del maltempo),

non è assistita dalla deduzione di aver fornito od
offerto la relativa prova, a smentita della ricostruzione
del c.t.u.
La sentenza impugnata, nel suo risultato ultimo, va

quindi esente dalla prima censura contenuta nel terzo
motivo.
8. La seconda censura è inammissibile.
La sentenza rigetta la domanda relativa al “ritardato
pagamento delle opere già eseguite, per le quali
l’impresa ha ottenuto gli interessi nella misura
normativamente prevista”. La ricorrente insiste nella
pretesa di ulteriore risarcimento, censurando la sentenza
per aver confuso la pretesa di risarcimento conseguente
all’aggravio per la ritardata contabilizzazione dei
lavori già eseguiti al momento della sospensione
illegittima, con gli interessi sul ritardato pagamento
dei lavori una volta contabilizzati.
La pretesa non è riferita con la dovuta chiarezza, in
rapporto all’onere di autosufficienza, giacché, nel
riportare le conclusioni in appello (pag. 66 del ricorso)
– che il giudice avrebbe erroneamente disatteso – non è
dato rinvenire la relativa domanda, che per il vero non
risulta neppure delineata con certezza nella sopra
riportata critica spiegata nel ricorso, non essendo
altrimenti rinvenibile il riferimento ai lavori cui
a

l’ulteriore pretesa si riferirebbe, all’importo del
20

,.

credito e al tempo di maturazione in relazione
all’avanzamento dell’esecuzione dell’appalto.
9. Conclusivamente, il ricorso è da accogliere per quanto
di ragione (secondo motivo, limitatamente al risarcimento

generali), ferma restando la condizione posta all’inizio,
di una illegittimità della sospensione, che il giudice di
rinvio, designato in altra sezione della Corte d’appello
di Venezia, all’esito della cassazione della sentenza
impugnata, è comunque chiamato a verificare, oltre alla
regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il secondo motivo
di ricorso, rigetta il terzo e dichiara inammissibile il
primo. In relazione alle censure accolte cassa la
sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese di
questo giudizio di cassazione, ad altra sezione della
Corte d’appello di Venezia.
Così deciso in Roma 1’8.1.2014

per fermo macchinari ed al rimborso quota spese

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