Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4391 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/02/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4391

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14060/2014 proposto da:

S.R., domiciliata ex lege in ROMA alla PIAZZA CAVOUR, presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dagli avvocati IOLANDA DE FRANCESCO e BIAGIO DE FRANCESCO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE DI LECCE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COSSERIA n. 2, presso ALFREDO PLACIDI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNA CORRENTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3997/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 08/11/2013 R.G.N. 3084/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Lecce ha respinto l’appello di S.R. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale di Lecce, volta ad ottenere il riconoscimento, con effetto retroattivo, a fini giuridici, economici e previdenziali, dell’anzianità di servizio maturata presso il SERT di (OMISSIS) in regime di convenzionamento con il Servizio Sanitario Nazionale e con la qualifica di assistente sociale;

2. la Corte territoriale ha evidenziato che il legislatore regionale con la L.R. Puglia n. 10 del 2007, art. 24, aveva inteso equiparare i dipendenti immessi in ruolo ai sensi della L. n. 45 del 1999, a quelli già assunti sulla base di altri procedimenti ed a tal fine aveva riconosciuto l’anzianità pregressa, ricorrendo ad una fictio iuris che comportava la parificazione del rapporto in convenzione al lavoro subordinato a tempo indeterminato;

3. ha precisato il giudice d’appello che la retroattività stabilita dalla legge regionale riguardava la posizione pensionistica e previdenziale, ma non consentiva di rivedere il trattamento economico corrisposto nel periodo antecedente all’assunzione, perchè il legislatore regionale aveva perseguito l’unico obiettivo di “far partire il nuovo inquadramento come se il rapporto fosse iniziato ex ante con i requisiti di quello subordinato”;

4. ha aggiunto che non essendo in discussione l’intrinseca natura dell’attività pregressa, la richiesta delle differenze retributive risultava priva di giuridico fondamento, tanto più che l’appellante non aveva precisato l’ammontare delle differenze nè aveva allegato la “sussistenza di uno sbilancio economico a danno del lavoratore su cui fondare l’interesse alla pronuncia”;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S.R. sulla base di un unico motivo, al quale ha resistito con controricorso l’Azienda Sanitaria Locale di Lecce.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il ricorso denuncia con un unico motivo “violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla L.R. Puglia n. 26 del 2006, come modificata dalla L.R. Puglia n. 10 del 2007, art. 24; violazione dell’art. 3 Cost.; violazione dell’art. 14 e dell’art. 1 Prot. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo” ed assume che ha errato la Corte territoriale a limitare l’effetto retroattivo alle conseguenze giuridiche e previdenziali dell’inquadramento perchè, al contrario, il fine perseguito dal legislatore regionale era quello di realizzare una parificazione tra il personale ex convenzionato e quello in ruolo non a partire dalla data di inquadramento, bensì dal momento di instaurazione del rapporto convenzionale;

1.1. sostiene la ricorrente che i dipendenti immessi in ruolo ai sensi della L. n. 45 del 1999, debbono percepire “per tutto il periodo di lavoro, quindi anche per quello antecedente all’immissione in ruolo la stessa retribuzione di chi era legato alla amministrazione da un rapporto di pubblico impiego” ed aggiunge che la norma, diversamente interpretata, si esporrebbe a censure di incostituzionalità per disparità di trattamento tra lavoratori appartenenti al medesimo comparto e per manifesta irragionevolezza;

2. il ricorso è infondato, perchè il giudice d’appello, nel respingere la domanda della S., ha deciso la controversia conformemente al principio di diritto già affermato da questa Corte secondo cui “la L.R. Puglia n. 26 del 2006, art. 6, comma 5 (nel testo vigente ratione temporis, come novellato dalla L.R. Puglia n. 10 del 2007, art. 24), si interpreta nel senso che, per i dipendenti inquadrati nei ruoli del SSN ai sensi della L. n. 45 del 1999, il servizio prestato in regime convenzionale presso i SERT prima dell’inquadramento rileva, con efficacia retroattiva, limitatamente all’anzianità di servizio, quale base per la gestione del rapporto di lavoro, ma non anche ai fini retributivi” (Cass. n. 22614/2015);

3. con la richiamata pronuncia, alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c., si è ricostruito il quadro normativo e, valorizzata anche la norma di interpretazione autentica dettata dalla L.R. n. 45 del 2008, art. 17, si è evidenziato che l’anzianità pregressa spiega effetti a fini giuridici, economici e previdenziali dal momento dell’instaurazione del rapporto, quale maturato entrato nel patrimonio del dipendente, ma l’omogeneità di trattamento perseguita dal legislatore regionale resta circoscritta al periodo successivo all’inquadramento nei ruoli del S.S.N., posto che una diversa interpretazione, renderebbe la disposizione del tutto irrazionale ed arbitraria “in quanto andrebbe a parificare due prestazioni – quella offerta dal personale convenzionato e quella offerta dal personale con rapporto di lavoro subordinato – disomogenee e basate su regime giuridico diverso”;

4. il ricorso non prospetta argomenti che possano indurre a rimeditare l’orientamento già espresso, condiviso dal Collegio ed al quale va data continuità, sicchè lo stesso deve essere rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

5. sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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