Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4390 del 23/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2011, (ud. 25/01/2011, dep. 23/02/2011), n.4390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.F.V. residente a (OMISSIS), rappresentato e

difeso, giusta delega a margine del ricorso, dall’Avv. Liccardo

Gaetano, elettivamente domiciliato in Roma, Via Pinerolo n. 43,

presso l’Avv. Stefano Latella;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

nei cui uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12 è domiciliata;

– controricorrente –

AVVERSO la sentenza n. 160 della Commissione Tributaria Regionale di

Napoli – Sezione n. 07, in data 21/04/2008, depositata il 30 maggio

2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

25 gennaio 2011 dal Relatore Dott. Antonino Di Blasi;

Udito, altresì, l’Avv. Gaetano Liccardo, per il contribuente;

Sentito il Procuratore Generale dott. Umberto Apice, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.F.V., procuratore sportivo, impugnava in sede giurisdizionale l’avviso, con cui l’Ufficio accertava redditi non dichiarati, per l’anno 1998 ai fini IRPEF ed IRAP, contestando la legittimità dell’accertamento e la fondatezza della pretesa fiscale.

L’adita Commissione Tributaria Provinciale di Napoli accoglieva il ricorso, rilevando che il maggior accertamento non risultava sorretto da concreti elementi probatori.

Pronunciando sull’appello dell’Agenzia Entrate, la CTR, con la decisione in epigrafe indicata ed in questa sede impugnata, lo accoglieva, opinando, per un verso, che il contribuente era stato informato delle fonti dell’accertamento e che, quindi, era nelle condizioni di difendersi adeguatamente e, rilevando, sotto altro aspetto, che la pretesa fiscale non risultava fondata su presunzioni, bensì su dati desunti dalla documentazione relativa agli incarichi ricevuti dai calciatori, e che le emergenze di detti atti non trovavano smentita in elementi probatori contrari, offerti dal contribuente.

Il contribuente ha gravato di ricorso tale ultima decisione.

L’Agenzia Entrate, giusto controricorso e note del 13.01.2011, ha chiesto il rigetto dell’impugnazione, perchè inammissibile e, comunque, infondata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I Giudici di secondo grado, hanno giustificato l’adottata decisione, opinando, anzitutto, per la legittimità dell’atto impositivo, sia in considerazione del fatto che il p.v.c., posto a base dell’accertamento, risultava essere conosciuto dal contribuente, che con dichiarazione in calce, dallo stesso sottoscritta, lo aveva contestato, sia pure perchè la documentazione oggetto del verbale di constatazione, era stata esaminata in contraddittorio e lasciata nella disponibilità del contribuente, per la custodia, sia, infine, perchè il carattere di “provocatio ad opponendum”, pacificamente riconosciuto all’avviso di accertamento, giusto consolidato orientamento giurisprudenziale, rende legittimo l’atto all’unica condizione che il contribuente venga messo in grado di conoscere gli elementi essenziali della pretesa tributaria, il che nel caso, come detto, era avvenuto.

Nel merito, i medesimi Giudici, hanno ritenuto che la documentazione valorizzata, dalla quale si evinceva la pattuizione di un compenso nella misura percentuale del 5%, costituisse prova della relativa percezione, e che non fosse verisimile il diverso assunto della percezione di un compenso inferiore, che, peraltro, era rimasto sfornito di prova.

Rilevavano, al riguardo, i Giudici di appello, che non era stata prodotta alcuna nuova pattuizione in deroga, che le dichiarazioni verbali rese dai calciatori non erano idonee a superare e vincere la prova scritta in atti e che, ove rispondente al vero, il contribuente avrebbe ben potuto provare le nuove pattuizioni, esibendo i “contratti sottoscritti dai calciatori e depositati presso le squadre di calcio e nella lega”.

A fronte di tale ratio della decisione impugnata, il F. prospetta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 42, comma 2, della L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3 deducendo, essenzialmente, il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento e formulando quesito del seguente tenore:

“Integra il difetto di motivazione, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 42, comma 2, della L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 1 dell’art. 3 l’avviso di accertamento che opera un mero richiamo al p.v.c. senza che ne riproduca il contenuto essenziale e senza che non renda edotto il contribuente degli atti e dei documenti posti a base della verifica?”.

Ciò posto, il Collegio è dell’avviso che la formulazione del quesito non sia conferente. In vero, al ricorso di che trattasi, proposto contro sentenza depositata il 30 maggio 2008, si applicano le disposizioni introdotte dal D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione, e segnatamente, quelle dettate nello stesso decreto al capo 1. Secondo l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo ivi descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Per giurisprudenza di questa Corte deve, d’altronde, ritenersi sia che il quesito di diritto deve rispondere al requisito di circoscrivere la pronunzia del giudice nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito formulato dalla parte (Cass. SS.UU. n. 23732/2007, n. 20360/2007), sia pure che unico oggetto del giudizio di legittimità è la sentenza di appello (Cass. n. 5714/1996, n. 7851/1997, n. 5083/1998, n. 2607/1999), ragion per cui le censure proponibili con il ricorso per cassazione devono investire direttamente l’errore commesso dai Giudici in tale sentenza e non già, la sentenza di primo grado o, addirittura, come nel caso, l’avviso di accertamento.

Avuto riguardo al tenore del quesito, in base ai richiamati principi, ritiene il Collegio che la risposta allo stesso non sarebbe idonea a definire il giudizio, tenuto conto che ove pure la stessa risultasse positiva, egualmente non sarebbe in grado di incrinare il decisum ed il tessuto argomentativo dell’impugnata decisione, i quali non risultano aggrediti direttamente dalle censure formulate con il ricorso.

Le formulate doglianze sono, comunque, infondate. Infatti, costituisce consolidato principio giurisprudenziale quello secondo cui “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento – previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 esige l’indicazione degli elementi in tesi costitutivi della pretesa fatta valere dall’ufficio finanziario, e può essere assolto anche “per relationem”, tramite il rinvio a rapporto della polizia tributaria, che sia conosciuto o conoscibile dal contribuente” (Cass. n. 7487/2002, n. 8960/2002, n. 12394/2002).

L’impugnata decisione risulta avere fatto corretta applicazione di tale principio, avendo, per un verso, argomentato che l’avviso di accertamento riportava, sia pur sinteticamente, il contenuto del processo verbale di che trattasi, esponendo con chiarezza i termini e le modalità della ricostruzione, e riportando i maggiori compensi verosimilmente attribuiti al procuratore sportivo, da ciascun calciatore nominativamente indicato e, sotto altro profilo, rilevato che il contribuente aveva piena conoscenza del verbale di verifica e degli altri atti, posti a base e richiamati nell’accertamento, quanto al primo, per averlo ricevuto a proprie mani, all’atto della conclusione della verifica ed averlo sottoscritto in calce, in una alla dichiarazione di contestazione dei rilievi mossi e, quanto agli altri, per averli esaminati in contraddittorio ed averli ricevuti in consegna, per la relativa custodia.

I motivi del ricorso, come rilevato, non aggrediscono criticamente le argomentazioni, utilizzate dai Giudici di secondo grado, per accogliere l’appello dell’Agenzia e, pertanto, l’impugnata sentenza va, anche per tali ragioni, confermata.

Conclusivamente, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di cassazione, avuto riguardo alle alterne vicende processuali, vanno compensate.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 25 Gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2011

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