Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4388 del 24/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 4388 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: CRISTIANO MAGDA

SENTENZA

R.G.N. 13973/2008

sul ricorso 13973-2008 proposto da:
FONTI DI VINADIO S.P.A.

Data pubblicazione: 24/02/2014

R.G.N. 17472/2008

(c.f. 10002460151), in Cran.

persona del legale rappresentante pro tempore, Rep.
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIEMONTE,

61-

Ud. 19/11/2013

39, presso l’avvocato GIOVANNETTI ALESSANDRA, che ru
la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
2013
1764

LANCIANI ANDREA, WEIGMANN MARCO, BERNARDINI ANDREA,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

1

OSELLA DARIO, OSELLA GINO, CARLOTTI ANNA;
– intimati –

sul ricorso 17472-2008 proposto da:
OSELLA DARIO (c.f. SLLDRA31L07B720K), OSELLA GINO
(c.f.

SLLGNI59D16B885R),

CARLOTTI

ANNA

(c.f.

ROMA, VIA LAZIO 20-C, presso l’avvocato COGGIATTI
CLAUDIO, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato DINDO STEFANO, giusta procura a
margine del controricorso e ricorso incidentale
condizionato;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali contro

FONTI DI VINADIO S.P.A.;
– intimata –

Nonché da:
FONTI DI VINADIO S.P.A.

(c.f. 10002460151), in

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIEMONTE,

CRLNNA34M58E094F), elettivamente domiciliati in

39, presso l’avvocato GIOVANNETTI ALESSANDRA, che
la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
LANCIANI ANDREA, WEIGMANN MARCO, BERNARDINI ANDREA,
giusta procura a margine del ricorso principale;
– controri corrente e ricorrente incidentale contro

2

CARLOTTI ANNA, OSELLA GINO, OSELLA DARIO;
– intimati –

Nonché da:
OSELLA DARIO (c.f. SLLDRA31L07B720K), OSELLA GINO
(c.f.

SLLGNI59D16B885R),

ANNA

CARLOTTI

(c.f.

ROMA, VIA LAZIO 20-C, presso l’avvocato COGGIATTI
CLAUDIO, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato DINDO STEFANO, giusta procura a
margine del controricorso e ricorso incidentale
condizionato;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali contro

FONTI DI VINADIO S.P.A.;
– intimata .

avverso la sentenza n. 1771/2007 della CORTE
D’APPELLO di TORINO, depositata il 21/11/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 19/11/2013 dal Consigliere

CRLNNA34M58E094F), elettivamente domiciliati in

Dott. MAGDA CRISTIANO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato A. LANCIANI
che si riporta ai motivi;
udito,

per

i

controricorrenti

e

ricorrenti

incidentali, l’Avvocato S. DINDO che si riporta ai
motivi;

3

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il
rigetto

del

ricorso

principale,

assorbito

il

ricorso incidentale.

4

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’assemblea straordinaria della Terme di Vinadio s.r.l. tenutasi il 29.9.04 deliberò, a
maggioranza assoluta, di trasformare la società da s.r.l. in s.p.a., con assunzione
della nuova denominazione di Fonti di Vinadio e di approvare il nuovo statuto
sociale, che prevedeva modifiche sostanziali degli artt. 6 ed 11, attraverso le quali,

rispettivamente, si dettavano nuove regole per l’esercizio della prelazione nel caso di
cessione della partecipazione di un socio e si rinviava alla disciplina di cui agli artt.
2368/2369 c.c. per la validità delle deliberazioni dell’assemblea straordinaria, per la
quale era in precedenza richiesto il quorum di due terzi del capitale sociale.
L’impugnazione ex art. 2377 c.c. proposta dai soci di minoranza dissenzienti, Dario
Osella, Anna Canotti e Gino Osella, per sentir dichiarare l’integrale invalidità della
delibera od, in subordine, l’invalidità della sola parte in cui essa aveva modificato gli
artt. 6 ed 11 dello statuto, fu respinta dal Tribunale di Cuneo.
Il giudice di primo grado, pur convenendo con gli attori che il notaio aveva omesso di
dare integrale lettura dello statuto allegato all’atto pubblico costitutivo della s.p.a. e
che ciò comportava nullità della deliberazione, rilevò che detta nullità concerneva i
soli elementi essenziali dell’atto (ovvero quelli elencati all’art. 2328 I comma c.c.),
che però non erano stati impugnati, mentre non si estendeva alle clausole nn. 6 ed
11 dello statuto, oggetto effettivo di doglianza; escluse, inoltre, che fosse stato
violato il diritto di informazione dei soci; affermò, infine, che il disposto dell’art. 223

bis 2° comma disp. att. c.c. (norma transitoria introdotta dal d. Igs. n. 6/03 di riforma
del diritto societario, che sino al 30.9.04, consentiva alle s.r.l. di deliberare la loro
trasformazione in s.p.a. col voto favorevole di una maggioranza rappresentante più
della metà del capitale sociale, anche in deroga alle eventualmente diverse
previsioni dello statuto richiedenti maggioranze qualificate), non rendeva possibile
distinguere fra modifiche statutarie rese necessarie dalla trasformazione (per
adeguare lo statuto alle norme imperative dettate dal codice civile in tema di s.p.a.) e
5

modifiche meramente connesse alla trasformazione (ovvero derivanti dal
recepimento di norme derogabili), con la conseguenza che anche queste ultime
potevano essere legittimamente deliberate dalla medesima maggioranza che aveva
deciso la trasformazione.
La decisione, appellata in via principale dai soccombenti nonché, in via incidentale
condizionata, dalla Fonti di Vinadio, al fine di contestare l’accertamento in fatto del

primo giudice concernente l’omessa lettura dello statuto da parte del notaio, è stata
parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Torino, che ha accolto la domanda
svolta in via subordinata dagli attori/appellanti.
La corte territoriale ha, in primo luogo, ritenuto infondato l’appello incidentale,
rilevando che l’attestazione di lettura del rogito (apposta dal notaio in calce all’atto
pubblico vero e proprio, senza menzione dell’allegato) provava l’omissione
denunciata, cui non poteva sopperire la lettura della bozza di statuto, compiuta dal
Presidente nel corso dell’assemblea al solo fine di stimolare la discussione fra i soci.
Quindi, escluso che nella specie potesse operare l’art. 2375 u. comma c.c., ha
affermato che, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, il vizio derivante
dall’omissione incideva sull’intero atto, e non solo sugli elementi essenziali
tassativamente previsti dall’art. 2378 1 0 comma c.c.; ha tuttavia respinto il motivo
d’appello con il quale i soci dissenzienti avevano insistito, sotto tale profilo, per la
declaratoria di nullità della deliberazione, ritenendo che dovesse trovare
applicazione, in deroga a quanto previsto dall’ari. 58 n.6 della I. notarile, il riformato
art. 2479 ter 3 0 comma c.c., secondo cui le delibere prese dall’assemblea dei soci di
una s.r.l. possono essere dichiarate nulle solo se assunte “in assenza assoluta di
informazioni” e non sono annullabili (ai sensi dell’ art. 2377 5° comma n. 3 c.c., cui
per il resto la disposizione rinvia) per incompletezze o inesattezze del verbale , salvo
che impediscano l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della
deliberazione medesima, posto che, nella specie, il verbale dell’assemblea
straordinaria, nei limiti in cui era stato letto dal notaio, si presentava sufficientemente
6

completo ed idoneo a soddisfare i requisiti di sostanza richiesti dalla norma.
La corte torinese ha poi condiviso l’assunto del primo giudice, secondo cui il testo
dell’o.d.g. sottoposto ai soci convocati per la deliberazione, contenente la dizione
“trasformazione in s.p.a.- delibere inerenti e conseguenti’, pur nella sua sinteticità,
era sufficientemente chiaro e specifico e pertanto idoneo a rendere adeguatamente
edotti i soci delle materie che sarebbero state trattate e del tenore delle decisioni che

avrebbero dovuto essere assunte: il che, del resto, trovava conferma nell’analitica
lettera di rimostranze inviata da Dario Osella al socio di maggioranza in data
anteriore a quella di convocazione dell’assemblea.
Il giudice d’appello è invece giunto a conclusioni diverse da quelle del tribunale in
relazione all’ultima delle questioni sottoposte al suo esame.
Ha infatti ritenuto che il carattere eccezionale della norma di diritto transitorio di cui
all’art. 223 bis, 2° comma, c.c. non ne consentisse l’applicazione oltre lo stretto
ambito delineato dalla sua ratio, (individuata nell’intento del legislatore di non
vanificare la volontà dei soggetti che, avendo costituito una s.r.l. in data anteriore
all’entrata in vigore della riforma del diritto societario, intendevano mantenerne il
sostanziale assoggettamento alla vecchia disciplina, assimilabile a quella di una
s.p.a., piuttosto che conformarla alla, assai diversa, nuova disciplina specificamente
dettata per le s.r.I.), e quindi non legittimasse i soci detentori della maggioranza
assoluta del capitale sociale ad apportare, in danno della minoranza, modifiche allo
statuto non necessitate dalla trasformazione, così derogando alla previsione dello
statuto stesso che richiedeva per tali modifiche una maggioranza qualificata.
Tanto premesso in diritto, ha accertato in fatto che il testo degli artt. 6 ed 11 dello
statuto della s.r.l. era del tutto compatibile (al di là della formale, necessaria
sostituzione della parola “quote” con la parola “azioni”) con l’attuale disciplina delle
s.p.a. ed ha, in particolare, escluso che il comma 4° dell’ari. 2369 c.c., che vieta la
previsione statutaria di maggioranze più elevate di quelle stabilite dalla legge per
l’approvazione del bilancio e per la nomina e la revoca delle cariche sociali (materie
7

di competenza dell’assemblea ordinaria) potesse riferirsi anche alla deliberazione
con la quale l’assemblea straordinaria nomina il liquidatore.
La corte territoriale ha pure escluso che l’interpretazione da essa data al disposto
dell’art. 223 bis, 2° comma, c.c. si ponesse in contraddizione col dettato dell’art.
2500 ter c.c., che richiede per la trasformazione di una società di persone in società
di capitali la maggioranza semplice, in deroga al principio legale per cui, in tali tipi di

società, le modifiche del contratto sociale richiedono unanimità di consensi, o col
disposto del 3° comma della stessa norma transitoria, che consente l’adozione a
maggioranza semplice di modifiche statutarie che escludano l’applicazione di nuove
disposizioni di legge derogabili o si adattino a nuove disposizioni di legge cogenti. Ha
infine affermato che, rispetto alle clausole nulle, non poteva ritenersi operante la
speciale causa di sanatoria prevista dall’art. 2500 bis c.c., che riguarda le sole
invalidità da cui sia affetto l’atto di trasformazione e non anche le modifiche dello
statuto non necessitate dalla trasformazione.
Ha pertanto dichiarato l’invalidità della delibera impugnata limitatamente alla parte in
cui ha modificato gli artt. 6 ed 11 dello statuto.
Fonti di Vinadio s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato
a quattro motivi.
Dario e Gino Osella ed Anna Canotti hanno resistito con controricorso, col quale
hanno proposto anche ricorso incidentale condizionato.
Fonti di Vinadio ha a sua volta replicato con controricorso contenente ricorso
incidentale, cui gli Osella e la Canotti hanno ancora resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, devono essere riuniti ai sensi
dell’art.335 c.p.c.
1) Preliminarmente deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso incidentale
proposto da Fonti di Vinadio.
8

Ai sensi dell’art. 329 2° comma c.p.c., l’impugnazione parziale importa, infatti,
acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate: il soggetto che impugna la
sentenza in via principale esaurisce dunque, con tale atto, il relativo potere e non
può più impugnare tardivamente, in via incidentale, ulteriori capi del medesimo
prowedimento (cfr. Cass. nn. 7887/2000, 3938/91).
2) Sempre in via preliminare, va rilevato che i controricorrenti hanno eccepito

l’inammissibilità del ricorso principale ai sensi dell’art. 366, 1° comma, n. 1 c.p.c., per
omessa indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso stesso si
fonda.
Le SS.UU. di questa Corte, con la sentenza n.168871013, hanno tuttavia precisato
che la verifica dell’osservanza di quanto prescritto dalla predetta norma procedurale
deve compiersi rispetto ad ogni singolo motivo di impugnazione e che la mancata,
specifica indicazione (ed allegazione) degli atti e dei documenti sui quali un motivo
si fonda può comportarne la declaratoria di inammissibilità solo quando l’esame di
quegli atti e di quei documenti risulti indispensabile per la comprensione delle ragioni
di doglianza e dei presupposti fattuali sulle quali esse si basano, oltre che per la
valutazione della loro decisività.
Ciò precisato, può subito dirsi che l’eccezione risulta manifestamente infondata
avuto riguardo tanto al primo che al secondo motivo del ricorso: l’uno, infatti, riporta
i testi integrali delle clausole statutarie in contestazione, sia nella versione anteriore
che in quella posteriore alla loro modifica, e contiene la precisa indicazione della
sede processuale nella quale sono stati prodotti i due statuti; l’altro, invece, investe
una questione di mero diritto.
Si può pertanto procedere all’esame di tali motivi.
3) Con il primo mezzo di censura Fonti di Vinadio, denunciando violazione degli artt.
223 bis, Il comma, disp. att. e trans. c.c., 2369, IV comma e 2487, I comma, c.c.,
nonché vizio di motivazione, lamenta che la corte territoriale abbia dichiarato la
nullità degli artt. 6 ed 11 del nuovo statuto.

9

3.1) Sostiene, in primo luogo, che le modifiche erano necessarie per adattare lo
statuto della s.r.l. alla disciplina delle s.p.a.; rileva, in particolare, che il vecchio
testo dell’art. 6 – che regolava il diritto di prelazione dei soci in caso di trasferimento
delle partecipazioni – faceva riferimento a quote e non ad azioni e che il testo
modificato dell’art. 11 richiamava quanto previsto dagli attuali artt. 2368 e 2369 c.c.
in tema di maggioranze assembleari, allo stesso modo in cui il precedente testo

richiamava le previsioni della norma vigente in materia, per le s.r.I., sino al
31.12.2003 (art. 2486 c.c.).
3.2) Osserva poi che l’assunto del giudice d’appello appare contraddittorio, perché
finisce col trattare in maniera diversa situazioni identiche dal punto di vista
sostanziale a seconda della formulazione della clausola statutaria: deduce in
proposito che, seguendo l’impostazione della corte di merito, se l’ari. 11 dello
statuto si fosse limitato a rinviare alla legge vigente non solo per le maggioranze
richieste per le delibere dell’assemblea ordinaria, ma anche per quelle
dell’assemblea straordinaria, anziché riprodurre su tale secondo punto il testo
dell’ari. 2486 c.c. ante riforma, se ne sarebbe dovuto desumere non già un obbligo
negativo di non modificare l’articolo, ma addirittura un obbligo positivo di modificarlo
introducendovi una norma che mantenesse fermo il quorum qualificato dei due terzi;
osserva, ancora, che, per effetto della decisione censurata, il preesistente assetto
di voto della società risulta comunque mutato per ciò che riguarda l’assemblea
ordinaria, in quanto lo statuto della s.r.I., rinviando alla disposizione codicistica,
prevedeva che le delibere dell’assemblea ordinaria dovessero essere assunte da
soci rappresentanti la maggioranza assoluta (50% + 1) del capitale, mentre oggi,
dovendosi ritenere il rinvio necessariamente riferito agli artt. 2368 e 2369 c.c.,
risulterebbe sufficiente all’approvazione la maggioranza assoluta dei soci
partecipanti all’assemblea purché questi, nel loro insieme, rappresentino almeno il
50% del capitale.

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3.3) Fonti di Vinadio assume, inoltre, che la modifica dell’art. 11 era necessaria
almeno in parte, posto che, ai sensi del 4 0 comma dell’art. 2369 c.c., lo statuto non
può richiedere maggioranze più elevate di quelle previste dalla legge per
l’approvazione delle delibere aventi ad oggetto la nomina e la revoca delle cariche
sociali, fra le quali rientra certamente quella di liquidatore, la cui nomina compete
all’assemblea straordinaria.

3.4) Rileva, sotto altro profilo, che, secondo quanto emerge dalla relazione
illustrativa al d. Igs. n. 6/03, la ratio dell’art. 223 bis disp. att. e trans. c.c. risiede nel
consentire ai soci di maggioranza di una “vecchia” s.r.I., avente maggiore affinità con
la struttura della nuova s.p.a., di trasformarla in tale ultimo tipo societario anche
contro il volere della minoranza, senza che la potestà di trasformazione (ed il
conseguente potere di adottare il nuovo statuto organizzativo) incontrino limiti o
vincoli derivanti dalla precedente disciplina delle s.r.l. e dal precedente statuto,
dovendosi ritenere — atteso il favor accordato dal legislatore alla trasformazione —
che l’unica tutela accordata al socio di minoranza dissenziente sia quella di poter
esercitare il recesso sulla base del valore reale della quota. Sostiene a riguardo che
la tesi interpretativa più restrittiva adottata dalla corte territoriale, secondo cui il

quorum agevolato previsto dalla norma in esame consentirebbe solo l’adozione delle
clausole inderogabili del tipo s.p.a., non tiene conto del fatto che, ai sensi del
successivo comma 3 0 , il medesimo risultato è consentito – qualora non vi sia
trasformazione- con deliberazione assunta dai soci a maggioranza semplice,

qualunque sia la parte di capitale rappresentata in assemblea.
3.5) Ulteriore conforto all’insostenibilità della tesi secondo cui, in sede di
trasformazione da s.r.l. ad s.p.a., la maggioranza assoluta dei soci non potrebbe
emanciparsi dal precedente quorum deliberativo qualificato, si trarrebbe, infine, a
dire della ricorrente, dall’art. 2500 ter c.c., che prevede che la maggioranza dei soci
di una società di persone (per le modifiche dei cui patti sociali è necessaria, a norma
dell’art. 2252 c.c., unanimità dei consensi ) possa deliberarne la trasformazione in
11

società di capitali e, conseguentemente, far venir meno (per incompatibilità col
nuovo tipo societario) il precedente regime decisionale unanimistico.
Ad avviso del collegio, la complessa censura sin qui sintetizzata non merita
accoglimento.
4.1)Va intanto rilevato che, con riferimento alla clausola che regolava il diritto di
prelazione dei soci in caso di trasferimento delle partecipazioni, l’unica ragione

individuata da Fonti di Vinadio a conforto dell’assunto della necessità dell’operata
sua modificazione risiede nell’obbligatorietà della sostituzione della parola “quote”
con la parola “azioni’: pare evidente, tuttavia, che la doverosa introduzione nella
clausola, in luogo del termine antecedente, di quello atto a definire le partecipazioni
nel nuovo tipo societario costituiva adempimento di natura meramente formale e
totalmente privo di conseguenze sul piano sostanziale, che dunque, di per sé, non
poteva giustificare la radicale revisione della previgente disciplina della prefazione
attuata col nuovo statuto.
Deve escludersi, poi, che il nuovo testo dell’art. 11, secondo cui in prima e in

seconda convocazione l’assemblea ordinaria e straordinaria sono regolarmente
costituite e deliberano secondo le previsioni di cui agli artt. 2368 e 2369 c.c.
costituisse semplice e necessario adattamento del vecchio testo per il solo fatto che
quest’ultimo riproduceva la disciplina dell’art. 2486 c.c. ante riforma.
Il richiamo, nell’ambito di una clausola statutaria, di determinate disposizioni
codicistiche può infatti ritenersi espressione di un rinvio “non recettizio” o “mobile”
ovvero di un rinvio “recettizio” o “fisso”.
Solo nel primo caso le eventuali, sopravvenute modifiche legislative degli articoli
richiamati comportano la necessità di adeguamento della clausola alla nuova
disciplina legale.
Nel secondo caso, invece, il contenuto della normativa recepita diviene parte
integrante dello statuto ed, avendo fra i soci il medesimo valore negoziale delle altre

12

clausole statutarie direttamente formulate, non è inciso da successivi interventi
legislativi di riforma (salva, owiamente, la natura imperativa delle nuove norme).
Stabilire se la clausola comporti o meno un rinvio recettizio è accertamento
tipicamente riservato al giudice del merito (Cass. n. 2111/04).
Nella specie la corte torinese, fornendo (per quanto fra breve si dirà) una duplice
interpretazione dell’art. 11 dello statuto della s.r.l. (il quale prevedeva che

l’assemblea ordinaria delibera sempre con le maggioranze previste dalle norme di

legge, mentre l’assemblea straordinaria delibera sempre col voto favorevole di
almeno 2/3 del capitale sociale), ha ritenuto ricorrenti entrambe le ipotesi.
Il giudice d’appello ha infatti rilevato che, nella sua prima parte, la clausola non
intendeva derogare a norme di legge ma recepiva le stesse, comprese le eventuali
modifiche sopravvenute : ha dunque (impropriamente) attribuito al verbo recepire un
significato atecnico, di mero rinvio (non recettizio) alle disposizioni codicistiche in
ogni tempo vigenti in tema di maggioranze richieste per le deliberazioni
dell’assemblea ordinaria e da tale premessa ha correttamente tratto la conseguenza
della piena validità della modifica statutaria — resa necessaria dalla trasformazione operata sul punto attraverso la sostituzione dell’espressione “norme di legge” con la
specifica indicazione degli artt. 2368 e 2369 c.c.
Ha, per contro, escluso che la trasformazione da s.r.l. in s.p.a. rendesse necessaria
la modifica della seconda parte della clausola in base al convincimento, in
precedenza espresso, che la trasformazione non può dar luogo a modifiche

statutarie non necessitate che incidano su pattuizioni a suo tempo accettate dai soci
e conformi al loro intento negoziale: ad avviso del giudice d’appello, pertanto, la
trasposizione integrale, nella clausola in esame, del testo dell’art. 2486 c.c. relativo
alle deliberazioni dell’assemblea straordinaria (per di più rafforzata dall’avverbio
“sempre”, che rendeva il quorum deliberativo qualificato necessario anche in
seconda convocazione), non poteva essere considerata manifestazione della mera
intenzione dei soci di adeguare, di volta in volta e in ragione di ogni possibile
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mutamento legislativo, le regole di funzionamento della predetta assemblea a quelle

dettate dal codice civile, ma imponeva, piuttosto, di interpretare per tale parte la
disposizione statutaria quale espressione della volontà dei soci medesimi di recepire
pienamente nel contratto sociale la specifica normativa codicistica vigente in
materia alla data della stipulazione, sì da renderla suscettibile di applicazione in
ogni tempo.

E’ appena il caso di rilevare che, a fronte di tale interpretazione – che trova sicuro
fondamento nel principio generale di conservazione del contratto di cui all’ad. 1367
c.c. – la ricorrente non poteva limitarsi a dedurre, in via del tutto generica, che
l’operata modificazione dell’ad. 11 dello statuto si era risolta nel semplice, doveroso
adattamento del suo contenuto alla disciplina vigente per le s.p.a., ma avrebbe
dovuto denunciare la violazione da parte della corte territoriale di specifiche regole
di ermeneutica contrattuale e/o evidenziare i vizi logici che inficiavano il
ragionamento del giudice.
Né, a tale ultimo proposito, può condividersi l’argomento (riportato sub. 3.2) secondo
il quale la corte d’appello avrebbe contraddittoriamente finito col giungere a soluzioni
contrapposte in relazioni a situazioni sostanziali identiche, posto che la decisione è
stata assunta non già in base al mero rilievo della differente formulazione letterale
della prima e della seconda parte della clausola, ma in ragione del fatto che proprio
da tale divergenza emergeva il diverso intento negoziale, con l’una parte e con
l’altra, perseguito dai soci.
4.2) Non può essere condivisa neppure la tesi della necessità quantomeno parziale
della modifica, al fine di adeguare il testo dell’arti 1 dello statuto della s.r.l.
concernente le deliberazioni dell’assemblea straordinaria al dettato del 4° comma
dell’ad. 2369 c.c.
La norma, che vieta la previsione statutaria di maggioranze più elevate di quelle
stabilite dalla legge per l’approvazione del bilancio e per la nomina e revoca delle

14


cariche sociali, deve infatti intendersi riferita ai soli organi di amministrazione e di

controllo nominati dall’assemblea ordinaria.
Come è stato correttamente rilevato dalla corte territoriale (che, contrariamente a
quanto ritenuto dalla ricorrente, non ha mai affermato che il liquidatore non ricopre
una carica sociale) depongono in tale direzione due argomenti: il primo, di carattere

fra nomina e revoca delle cariche sociali e delibere di approvazione del bilancio)
risiede nell’esigenza di evitare il rischio di paralisi dell’amministrazione della società,
cui, nel corso della gestione ordinaria e corrente, non v’è modo di sopperire, e che è
invece scongiurato, ove la società sia posta in liquidazione, dalla possibilità,
contemplata dall’art. 2487 2° comma c.c., di ricorrere al tribunale perché provveda
alla nomina del liquidatore “nel caso in cui l’assemblea (straordinaria) non si riunisca

o non deliberi”; il secondo, che appare decisivo, è che il 1° comma dell’art. 2487 c.c.
prevede espressamente che sulla nomina dell’amministratore l’assemblea deliberi

con le maggioranze previste per le modificazioni dell’atto costitutivo o dello statuto,
ovvero con le medesime maggioranze stabilite dai soci per l’approvazione di ogni
altra delibera dell’assemblea straordinaria: ne consegue che, poiché tali

,99

\-

maggioranze possono essere anche più elevate di quelle richieste dalla legge, la
norma non è compatibile col precetto di cui al 4° comma dell’ari. 2369 c.c.
4.3) Occorre, a questo punto, passare all’esame delle censure con le quali Fonti di
Vinadio contesta l’interpretazione fornita dalla corte territoriale del disposto dell’ari.
223 bis, 2° comma, disp. att. e trans. c.c. e sostiene che la deroga in esso
contemplata legittima la maggioranza dei soci ad apportare allo statuto non solo le
modifiche rese necessarie, ma anche quelle meramente occasionate dalla
trasformazione.
4.4) La prima, ma fondamentale, obiezione che può muoversi alla tesi della

ricorrente è che essa finisce con l’attribuire alla norma una funzione di vero e proprio
strumento fornito alla maggioranza per agire con abuso dei propri poteri in danno
15

sistematico, è che la ratio della disposizione (desumibile anche dall’accostamento

m

della minoranza: seguendo sino in fondo tale tesi si dovrebbe concludere, infatti, che
la disposizione transitoria sarebbe stata concepita per consentire, a dispetto del più
elevato quorum deliberativo contemplato dallo statuto, non solo il passaggio dall’uno
all’altro tipo societario, ma la modifica di qualsivoglia regola di organizzazione
dell’ente in precedenza voluta dai soci.
La considerazione sarebbe di per sé sufficiente a condurre al rigetto della doglianza,

non essendo ipotizzabile che il legislatore abbia inteso sostanzialmente abolire — sia
pur per un tempo limitato ed al fine di favorire la trasformazione — ogni forma di tutela
dei soci di minoranza (creando, come ben ha rilevato la corte territoriale, una sorta
di periodo franco in cui questi ultimi sarebbero costretti a subire ogni eventuale colpo
di mano della maggioranza).
Né può fondatamente sostenersi che la tutela del socio di minoranza dissenziente
sarebbe assicurata dal suo diritto ad esercitare il recesso sulla base del valore reale
della quota: invero, poiché l’art. 2437 c.c. presuppone pur sempre che le
deliberazioni che legittimano

il

recesso siano state validamente assunte

dall’assemblea, l’argomento si rivela del tutto ininfluente ai fini della soluzione della
questione, che consiste, per l’appunto, nello stabilire se siano o meno valide le
delibere di modificazione dello statuto non necessitate dalla trasformazione,
assunte dalla maggioranza in deroga al più elevato quorum deliberativo richiesto dal
contratto sociale.
L’assunto della ricorrente risulta, d’altro canto, in contrasto con la lettera della norma,
che prevede la deroga solo per le decisioni di trasformazione e, in conseguenza,
privo di coerenza sistematica, atteso che, se è vero che il potere di trasformare la
società dà di regola il diritto a riscriverne lo statuto, deve a contrario ritenersi che,
quando ad una determinata maggioranza sia stato dato il solo potere di decidere
della trasformazione, detto potere non contempli anche quello di modificare le
clausole statutarie del vecchio tipo compatibili con il nuovo.
c

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4.5) La conclusione, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, trova
conforto, e non smentita, nel 3 0 comma dell’articolo in esame, dal quale si ricava
che il legislatore ha accordato ai soci la possibilità di modificare lo statuto in deroga
alle maggioranze in esso stabilite solo quando occorre adattarlo a nuove norme
imperative o quando l’intervenuta riforma di determinate disposizioni codicistiche
dispositive, dalle quali i soci non avevano in precedenza ritenuto di doversi

discostare, comporterebbe l’introduzione di regole diverse da quelle sulle quali gli
stessi avevano originariamente fatto affidamento; e analoga considerazione va
svolta (ove mai possa scorgersi un comune intento del legislatore sottostante
all’introduzione di una norma transitoria dettata in tema di società di capitali ed una
norma non transitoria concernente le società di persone) con riguardo all’art. 2500

ter c.c., che, pur consentendo ai soci di un s.n.c. o di una s.a.s, in deroga al
principio generale di cui all’art. 2253 c.c., di deliberarne a maggioranza la
trasformazione in società di capitali, fa comunque salva la diversa disposizione del
contratto sociale, nel rispetto della volontà manifestata dai contraenti.
4.6) La soluzione, inoltre, é coerente con la ratio della norma, che, come la stessa
Fonti di Vinadio riconosce, era quella di agevolare la trasformazione (rendendo
ovviamente possibili tutte le modifiche statutarie necessarie a tal fine) proprio in
ragione dell’originario intento negoziale dei soci, che avevano costituito la s.r.l.
allorché la sua disciplina legale era in massima parte mutuata da quella della s.p.a.,
e non certo di legittimare una completa riscrittura di tutti i patti sociali, ancorché
compatibili con il nuovo tipo; essa, infine, appare anche la sola atta a realizzare un
ragionevole bilanciamento fra l’interesse dei soci di maggioranza (alla
trasformazione) e la tutela dei soci di minoranza, eventualmente contrari, che la
subiscono.
5) Col secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2500 bis,
0
2369 4 comma e 2487 1° comma c.c., oltre che vizio di motivazione, contesta la
decisione impugnata nella parte in cui ha escluso che l’iscrizione della delibera al
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A

registro delle imprese sia valsa a sanare le rilevate nullità delle modifiche statutarie,

siccome non necessitate dalla trasformazione e da questa scindibili.
Assume, per contro, che la distinzione operata dalla corte di merito non trova
corrispondenza nella formulazione letterale dell’art. 2500 bis c.c., il quale prevede
che, una volta eseguita la pubblicità mediante l’iscrizione, non possa più essere
pronunciata l’invalidità dell’atto di trasformazione nel suo complesso, comprensivo

dell’adozione (necessaria e conseguente alla trasformazione) del nuovo statuto.
Deduce, inoltre, argomentando dalla norma parallela dettata dall’art. 2504 ter c.c. in
tema di fusione, che anche la dottrina favorevole all’ipotesi del permanere
dell’invalidità parziale dell’atto iscritto, ritiene rilevabili i soli vizi distinti ed autonomi
da quelli procedimentali che non pregiudichino di per sé l’operazione.
Anche questo motivo deve essere respinto.
Va ricordato che la norma di cui all’art. 2500 bis c.c. costituisce eccezione alla regola
della tutela reale, con la quale il legislatore — in analogia a quanto previsto dall’art.
2504 ter in tema di fusione ed incorporazione — ha inteso tutelare il principio di
effettività dell’organizzazione societaria, garantendo stabilità agli effetti degli atti

deliberativi che su questa incidono.
Costituendo eccezione alla regola, la norma deve essere interpretata in aderenza
alla sua lettera ed alla sua ratio.
Va allora escluso che l’iscrizione possa avere efficacia sanante di deliberazioni di
modifiche statutarie che non sono rese necessarie dalla trasformazione, ma che
sono da questa meramente occasionate: non ricorre, infatti, alcuna esigenza di
stabilizzazione degli effetti di tali modifiche, ininfluenti sull’organizzazione del nuovo
tipo societario, con la conseguenza che esse non possono ritenersi comprese nella
nozione di “atto di trasformazione” in senso stretto che l’art. 2500 bis c.c. contempla.
La conclusione, del resto, non appare in contrasto con la tesi dottrinaria citata dalla
stessa ricorrente, dovendosi escludere che una delibera assunta senza le dovute
maggioranze sia affetta da un mero vizio procedimentale.
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6)11 terzo ed il quarto motivo di ricorso, con i quali Fonti di Vinadio, rispettivamente,
contesta che potesse ritenersi accertato che il notaio non aveva dato lettura del
nuovo testo dello statuto, e deduce violazione degli artt. 2479 bis, 2480, 2436, 2500,
2375, 2379, 2328 c.c. e 511. notarile, per avere il giudice d’appello ritenuto che il
vizio derivante dalla predetta incidesse sull’intero atto, vanno dichiarati inammissibili.

anzi ritenuto le riscontrate nullità procedimentali sanate ai sensi del riformato art.
0
2479 ter 3 comma c.c.: la ricorrente è pertanto priva di interesse a censurare
statuizioni prive di influenza sulla decisione, che, quand’anche viziate per le ragioni
da essa esposte, non potrebbero comportare l’annullamento della sentenza
impugnata.
Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso
incidentale dei controricorrenti ed inammissibile il ricorso incidentale di Fonti di
Vinadio; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in
€ 6.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
Roma, 19 novembre 2013.
Il c ns. est.

Il Presidente
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La corte territoriale non ha dichiarato l’invalidità dell’ atto di trasformazione, ma ha

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