Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4387 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/02/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9503/2015 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, presso la sede della Società, rappresentata e difesa

sia congiuntamente che disgiuntamente dagli avvocati ANNA MARIA

ROSARIA URSINO e STEFANO LEDDA;

– ricorrente –

contro

F.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA

109, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE FONTANA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VALERIO SPEZIALE;

– controricorrente – avverso la sentenza n. 945/2014 della CORTE

D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 13/11/2014, R. G. N. 1269/2013.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Che con sentenza n. 945/2014 la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la sentenza di primo grado la quale, in accoglimento dell’opposizione proposta da F.M.C. avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da Poste Italiane s.p.a. per la somma di Euro 38.135,05, aveva condannato l’opponente alla restituzione alla società della minor somma di Euro 29.524,73; tale somma era stata corrisposta da Poste Italiane in esecuzione di sentenza, poi riformata, la quale nel disporre la conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, aveva condannato la società al pagamento alla F. delle retribuzioni medio tempore maturate;

1.1. che il giudice di appello, respinte le preliminari eccezioni di inammissibilità dell’impugnazione della società, ha ritenuto, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, infondata la domanda di Poste Italiane intesa alla restituzion1 delle retribuzioni corrisposte al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Poste Italiane s.p.a. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Che con il primo motivo di ricorso Poste Italiane s.p.a., deducendo violazione e falsa applicazione di norma di diritto in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, censura la sentenza impugnata per avere affermato la possibilità per il datore di lavoro, quale sostituto di imposta della lavoratrice, di presentare istanza di rimborso ai sensi della disposizione richiamata della quale – assume non ricorrevano i presupposti oggettivi e soggettivi;

2. che con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione di norma di diritto, in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, censura la sentenza impugnata per avere affermato la legittimazione della parte datoriale a presentare istanza di rimborso;

3. che con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, evidenzia che neppure era consentito al datore di lavoro, quale sostituto di imposta, la possibilità di presentare la domanda di restituzione a mente di tale disposizione avente valenza residuale;

4. che i motivi di ricorso, trattati congiuntamente per connessione, devono essere respinti alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte. La sentenza impugnata, laddove riconosce il diritto alla ripetizione delle sole somme effettivamente corrisposte da Poste Italiane s.p.a. alla lavoratrice, e, quindi, al netto delle ritenute fiscali e previdenziali, è coerente con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto a ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può, pertanto, pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente; il venir meno, con effetto “ex tunc”, dell’obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto, ricade, infatti, nel raggio di applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo (Cass. n. 13530 del 2019, Cass. 8614 del 2019Cass. n. 19735 del 2018, Cass. n. 1464 del 2012);

4.1. che le questioni che prospettano l’errore di diritto della soluzione condivisa dalla Corte di merito con riferimento alla normativa fiscale risultano superate dai condivisibili approdi sul punto ai quali è pervenuta la giurisprudenza di legittimità. E’ stato, infatti, ritenuto che nella ipotesi – qui ricorrente – nella quale il datore di lavoro, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23, abbia operato la ritenuta d’acconto dell’imposta sui redditi delle persone fisiche su somme corrisposte al lavoratore, divenute, come nel caso di specie, non dovute per effetto della riforma della sentenza in forza della quale le somme in questione erano state erogate, si ricade nell’ambito della inesistenza, totale o parziale, dell’obbligo fiscale venuto meno secondo una fisiologica dinamica processuale, con effetto ex tunc (Cass. n. 990 del 2019, Cass. n. 19735 del 2018, Cass. n. 6072 del 2012, Cass. n. 8829 del 2007). In tal senso, del resto, Cass. n. 21699 del 2011 ha ben evidenziato che l’azione di restituzione e riduzione in pristino, che venga proposta a seguito della riforma o cassazione della sentenza contenente il titolo del pagamento si collega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza con riferimento a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti, e quindi giuridicamente di un pagamento non dovuto;

4.2. che legittimati a richiedere alla Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario sono sia il soggetto che ha effettuato il versamento -cd. “sostituto di imposta”-, sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta – cd. “sostituito”- (cfr., tra le altre, Cass. n. 517 del 2019, Cass. n. 19735 /2018 cit., Cass. n. 16105 del 2015, Cass. n. 14911 del 2015, Cass.5653 del 2014);

4.3. che in ipotesi di concreta inutilizzabilità da parte di Poste Italiane del rimedio previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, per decorso del termine di presentazione dell’istanza di rimborso, ivi stabilito a pena di decadenza, di quarantotto mesi decorrente dal “versamento” delle somme non dovute, trova applicazione il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, avente carattere residuale e di chiusura del sistema, secondo il quale l’istanza di rimborso può essere presentata entro due anni dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione (Cass. 12919 del 2019, Cass. n. 82 del 2014);

4.4. che quanto ora osservato rende ininfluente al fine dell’accoglimento della tesi della restituzione al lordo e non al netto delle ritenute fiscali, la possibilità per il sostituito di recuperare le ritenute fiscali divenute non dovute attraverso il meccanismo della deducibilità D.P.R n. 917 del 1986, ex art. 10, comma 1, lett. d) bis;

5. che a tutto quanto sopra consegue il rigetto del ricorso e la condanna della società alla rifusione delle spese di lite;

6. che sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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