Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4387 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. I, 18/02/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 18/02/2021), n.4387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10321/2019 r.g. proposto da:

M.A.D., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato

Massimo Gilardoni, con cui elettivamente domicilia presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, ope legis, dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, alla Via dei Portoghesi

n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI BRESCIA depositata il

12/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 22/10/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.A.D. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia n. 1588/2018, reiettiva del gravame da lui proposto contro la decisione del tribunale della stessa città che – al pari di quanto già fatto dalla Commissione territoriale aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Resiste, con controricorso, il Ministero dell’Interno.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, tenuto conto della inattendibilità della narrazione del richiedente e della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza (Nigeria, Edo State), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi di ricorso prospettano, rispettivamente:

I) “Sull’ammissibilità del ricorso per cassazione e sull’applicabilità del termine ex art. 327 c.p.c.”. Viene affermata l’ammissibilità e tempestività del ricorso in ragione dell’applicabilità alla fattispecie del termine previsto dall’art. 327 c.p.c.;

II) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; artt. 2 e 3 CEDU, ex art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5)”, ascrivendosi alla corte d’appello di non aver ponderato la situazione generale del Paese di origine del ricorrente ((OMISSIS)) prima di negargli la protezione sussidiaria, nonchè di non averne considerato la condizione soggettiva di vulnerabilità discendente dalla situazione nel Paese di provenienza ed in quelli di permanenza avuto riguardo alla Libia;

III) “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2”, censurandosi il mancato riconoscimento del rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

2. Il primo motivo è inammissibile per carenza di interesse, posto che “in tema di tempestività del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di protezione internazionale, a seguito dell’abrogazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 14, deve applicarsi il termine ordinario di cui all’art. 327 c.p.c. e non già il termine di trenta giorni di cui all’art. 702-quater c.p.c.” (cfr. Cass. n. 18704 del 2015; Cass. n. 8827 del 2020).

3. Il secondo motivo merita accoglimento nei soli limiti di cui appresso.

3.1. Giova premettere che la corte bresciana ha ampiamente esposto le ragioni che l’hanno indotta a considerare, come analogamente avevano ritenuto il tribunale e, ancor prima, la commissione territoriale, affatto inattendibile il racconto dell’odierno ricorrente, tenuto conto della non genuinità della fonte (articolo di giornale) da quest’ultimo invocata (cfr., amplius, pag. 6-8 della sentenza impugnata).

3.1.1. Questa Corte ha recentemente chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019). Nessuna puntuale censura in tal senso è stata formulata dall’odierno ricorrente.

3.1.2. La giurisprudenza di legittimità ha poi precisato che, in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, investe certamente le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019).

3.2. Dal provvedimento della corte distrettuale emerge, però, che era stata chiesta la protezione sussidiaria pure sul fondamento della condizione di pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c): violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona.

3.2.1. Questa Corte ha più volte rimarcato che, ai fini dell’accertamento della fondatezza o meno di una simile domanda di protezione internazionale, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, ad un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del Paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale, peraltro derivanti anche dall’adozione del rito camerale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente. Ciò in particolare quando lo straniero, che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto; sicchè, in tal caso, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), (cfr., ex multis, Cass. nn. 9230-9231 del 2020; Cass. n. 26728 del 2019; Cass. n. 13897 del 2019; Cass. n. 13449 del 2019; Cass. n. 11312 del 2019; Cass. n. 17069 del 2018). Peraltro, onde potersi affermare adempiuto l’onere di cooperazione, è essenziale che il giudice del merito rifugga da formule generiche e stereotipate, e, soprattutto, specifichi sulla scorta di quali fonti abbia provveduto a svolgere l’accertamento richiesto: invero, senza una simile specificazione sarebbe vano discettare di avvenuto concreto esercizio di un potere di indagine aggiornato.

3.2.2. La più recente Cass. 15 ottobre 2020, n. 22381, inoltre, ha opportunamente puntualizzato (cfr. in motivazione) che “…se è vero che la mancata indicazione nella sentenza di merito delle COI utilizzate dal giudicante ai fini del decidere impedisce di stabilire se questi abbia rispettato del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, è altresì vero che questa, come qualsiasi altra violazione di legge, in tanto può condurre alla cassazione della sentenza impugnata, in quanto possa ragionevolmente presumersi che l’esito del giudizio sarebbe stato diverso, se il giudice avesse applicato correttamente la legge. Pertanto chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate ed attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarne gli estremi; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso. In mancanza di questa allegazione il motivo va dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza (rectius: per difettosa esposizione del requisito della decisività), dal momento che sarebbe impossibile stabilire se, in caso di regressione del processo alla fase di merito, esista l’astratta possibilità di un differente esito del giudizio”.

3.3. Nel caso di specie, da un lato, l’accertamento sulle condizioni sociopolitiche della zona della Nigeria di provenienza del ricorrente (Edo State) non può ritenersi adeguatamente svolto, non avendo la corte distrettuale minimamente indicato le fonti da cui ha tratto il convincimento che ivi “non esiste una situazione di conflitto armato generalizzato come, invece, nel nord est del Paese” (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata); dall’altro, il ricorrente ha compiutamente allegato, nel secondo motivo di ricorso (cfr. pag. 6-8), riassumendone il contenuto per quanto di interesse, le fonti (Rapporto Easo 2017), attendibili ed aggiornate, che, ove valutate da quel giudice, lo avrebbero potuto indurre a diverse conclusioni.

3.3.1. Tanto comporta la fondatezza delle doglianze in esame quanto al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), ed il conseguente assorbimento del terzo motivo relativo alla protezione umanitaria.

3.4. Il provvedimento impugnato, dunque, va cassato e la causa rinviata alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, per il nuovo esame e la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, ne accoglie il secondo, nei limiti di cui in motivazione, e ne dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, per il nuovo esame e la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

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