Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4386 del 24/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 4386 Anno 2014
Presidente: CAMPANILE PIETRO
Relatore: DE CHIARA CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CATARINELLA avv. Massimo, in giudizio personalmente ai
sensi dell’art. 86 c.p.c. ed elett.te dom.to in Roma,
Via Camino Sabatini n. 168

ricorrente

contro
COOP. CITTA’ NOVA a r.l. in liquidazione coatta amministrativa (C.F. 02081810588); in persona del commissario

2013

Met

liquidatore

dott.

Antonio

Di

Paola

(C.F.

DPLNTN57H29A345U), rappresentata e difesa dall’avv. Lo-

Data pubblicazione: 24/02/2014

renzo Reveglia (C.F. RVGLNZ45L12G596L) ed elett.te
dom.ta nello studio dell’avv. Luca Ciai (C.F.
CIALCU64P15H501C) in Roma, Via Emanuele Pessagno n. 11

controricorrente

4210/06 depositata il 5 ottobre 2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza dell’8 novembre 2013 dal Consigliere dott. Carlo DE CHIARA;
udito per il ricorrente l’avv. Vittorio MOLEA, per delega;
udito per la controricorrente l’avv. Lorenzo REVEGLIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Giuseppe CORASANITI, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’avv. Massimo Catarinella impugnò davanti al Tribunale di Roma, con atto di citazione notificato il 2
settembre 1998, la deliberazione della sua esclusione
dalla cooperativa edilizia Città Nova a r.l. in liquidazione / adottata dai liquidatori e comunicatagli il 29
gennaio 1998. Sostenne di avere adempiuto a tutti gli
impegni assunti e che l’esclusione aveva carattere ritorsivo e i liquidatori erano anche privi, per statuto,
del potere di disporla. Sostenne, altresì, che i liqui-

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avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n.

datori si erano resi responsabili di “diffamazione continuata” cagionandogli gravi danni anche morali e di
immagine. Convenne quindi in giudizio, oltre alla cooperativa, anche i liquidatori sigg. Giuseppe Renna e

dacale sig. Marcello Cerroni e domandò, oltre alla declaratoria di inesistenza o nullità della delibera, anche il risarcimento del danno nei confronti di tutte le
parti convenute.
Il Tribunale respinse le domande sul rilievo della
tardività dell’impugnativa.
Il giudizio di appello davanti alla Corte di Roma,
introdotto dal soccombente, fu dichiarato interrotto
avendo il difensore della cooperativa comunicato,
all’udienza di discussione del 7 febbraio 2002, che
nelle more era stato dichiarato lo stato d’insolvenza
della cooperativa stessa con sentenza del Tribunale di
Roma. L’appellante riassunse quindi il giudizio nei
confronti del commissario della liquidazione coatta amministrativa che era stata nel frattempo disposta con
D.M. 19 giugno 2003.
La Corte d’appello ha dichiarato estinto il giudizio nei confronti dei sigg. Renna, Mandarà e Cerroni,
per rinunzia alla domanda nei loro confronti da parte

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Agatino Mandarà, nonché il presidente del collegio sin-

dell’appellante, e ha respinto, per il resto, il gravame osservando:
che era esatto il rilievo, mosso dall’appellante,
della illegittimità dell’ordinanza d’interruzione del

dello stato d’insolvenza della cooperativa e non anche
della sua messa il liquidazione coatta amministrativa,
disposta solo successivamente; e tuttavia da ciò non
poteva derivare la conseguenza di dover decidere la
causa come se l’interruzione non fosse stata dichiarata
e la liquidazione coatta amministrativa, nei cui confronti il giudizio era stato riassunto dall’appellante,
non fosse divenuta parte del giudizio stesso: il commissario liquidatore era infatti legittimato a parteciparvi ai sensi dell’art. 200, secondo comma, legge fallim. anche a prescindere dalla dichiarazione
dell’interruzione, né sussisteva alcun interesse
dell’appellante a proseguire il processo nei confronti
della cooperativa, considerata la conseguente inopponibilità della decisione alla liquidazione coatta;
che l’unico provvedimento di esclusione
dell’appellante dalla cooperativa era quello adottato
con delibera dei liquidatori del 20 novembre 1996, annotata nel libro soci il 10 dicembre 1997 e comunicata
all’interessato il 29 gennaio 1998, basata su inadem-

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processo d’appello a seguito della sola dichiarazione

pienze del socio la cui contestazione integra impugnazione ai sensi dell’art. 2527 c.c. (soggetta alla decadenza accertata dal Tribunale) e non deduzione di nullità per impossibilità o illiceità dell’oggetto, ai

denza) e inoltre il dedotto intento ritorsivo della esclusione non era stato provato;
che neppure era ravvisabile una impossibilità
dell’oggetto della deliberazione per avere il socio già
acquisito “irreversibilmente” la proprietà
dell’alloggio assegnatogli a seguito dell’integrale pagamento del mutuo e dei costi di costruzione, essendo
sufficiente osservare in contrario che l’acquisto della
proprietà dell’alloggio consegue soltanto, ai sensi
dell’art. 229 t.u. dell’edilizia popolare ed economca
approvato con r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, alla sottoscrizione del mutuo individuale, nella specie non provata;
che anche il denunciato difetto di potere dei liquidatori costituiva eventualmente ragione di annullabilità della delibera – da dedursi nel termine di legge
– e non di nullità;
che era inammissibile, essendo stata prospettata
tardivamente solo nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, la deduzione della tempestività,

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sensi dell’art. 2379 c.c. (non soggetta invece a deca-

comunque, dell’impugnazione per essere statutariamente
prevista la devoluzione della relativa controversia al
collegio arbitrale dei probiviri con conseguente decorrenza del termine decadenziale dalla data, non provata

costituzione di tale collegio da parte dell’impugnante;
che inammissibile era anche la censura della sentenza di primo grado per aver statuito che la domanda
risarcitoria dipendeva da quella impugnatoria, atteso
che la statuizione di rigetto della prima domanda era
fondata anche su una seconda ratio decidendi – non contestata dall’appellante – consistente nell’accertamento
che la delibera impugnata e la sua comunicazione non
contenevano espressioni offensive nei confronti del socio, e tale rilievo assorbiva ogni questione di procedibilità della medesima domanda nei confronti della liquidazione coatta amministrativa.
L’avv. Catarinella ha proposto ricorso per cassazione con sette motivi, cui il commissario liquidatore
della cooperativa ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno anche presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando
violazione degli artt. 43 e 200 legge fallim. e
dell’art. 300 c.p.c., si deduce la nullità

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dalla società, dell’avvenuta conoscenza della mancata

dell’ordinanza d’interruzione del processo di appello e
degli atti successivi, compresa la sentenza impugnata.
Il ricorrente sostiene che il commissario liquidatore
non avesse legittimazione a partecipare al giudizio,

chiarata, sia per difetto del presupposto della perdita
di capacità della cooperativa, conseguito alla sola
messa il liquidazione coatta amministrativa della stessa sopraggiunta con decreto ministeriale successivo alla disposta interruzione, sia perché dichiarata oltre
il limite temporale della precisazione delle conclusioni. Il procedimento, dunque, avrebbe dovuto proseguire
nei confronti della cooperativa

in bonis,

nonostante

l’appellante fosse stato costretto a riassumerlo, per
evitarne l’estinzione, nei confronti del commissario
liquidatore; né poteva dirsi che il ricorrente non aveva interesse a proseguirlo nei confronti della cooperativa in bonis.
Tanto osservato, il ricorrente formula il seguente
quesito di diritto: “Se debba dichiararsi nulla la sentenza emessa a seguito di un’ordinanza di interruzione
che non poteva essere dichiarata per mancanza dei presupposti di legge, ordinanza assunta in sede di udienza
di discussione finale e quindi oltre il limite temporale di cui all’art. 300 c.p.c.”.

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atteso che l’interruzione non avrebbe dovuto essere di-

1.1. – La censura sintetizzata nel quesito finale
non è fondata. La denunciata nullità del processo per
effetto della disposta interruzione, infatti, va esclusa sol che si consideri che, sebbene l’interruzione

all’epoca ancora stata disposta la liquidazione coatta
amministrativa della cooperativa (come si riconosce
nella stessa sentenza impugnata), il processo stesso è
poi comunque proseguito; né la presenza in giudizio del
commissario liquidatore ha comportato alcuna nullità,
attesa la legittimazione passiva del medesimo in relazione alle pretese dell’attore incidenti sia sul passivo (la pretesa risarcitoria) che sull’attivo (la conservazione del diritto del socio relativo all’immobile
prenotato) della procedura di liquidazione coatta amministrativa nel frattempo ritualmente aperta con il sopraggiunto decreto ministeriale; né, infine, alcunché
impediva all’appellante di riassumere il giudizio anche
nei confronti della cooperativa, ove fosse convinto
della su A persistente legittimazione.
2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione
degli artt. 2274 e 2279 c.c., falsa applicazione
dell’art. 2286 c.c. e vizio di motivazione, si sostiene
che la delibera di esclusione era nulla essendo incom-

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fosse stata dichiarata intempestivamente non essendo

patibile con la fase liquidatoria in cui si trovava la
cooperativa, come affermato da Cass. 3982/1980.
2.1. – Neanche questo motivo può essere accolto.
In disparte la considerazione che la giurisprudenza in-

6410/1996 e 8860/2012), la censura è inammissibile perché non è stata formulata tempestivamente nel giudizio
di appello. Nel ricorso, infatti, viene menzionato, come atto contenente la censura in questione, il solo atto di riassunzione del giudizio di appello, mentre la
censura avrebbe dovuto essere essere formulata già con
l’atto introduttivo del giudizio di gravame.
3. – Con il terzo motivo, denunciando violazione
dell’art. 2379 c.c., si sostiene che la carenza di potere dei liquidatori a deliberare l’esclusione del socio comporta la nullita o inesistenza giuridica della
relativa delibera.
3.1. – Il motivo è infondato. Esclusa, infatti,
l’inesistenza giuridica, dato che non può certo dirsi
che una delibera di esclusione del socio assunta dai
liquidatori di una cooperativa sia priva degli elementi
essenziali per qualificarla tale, va osservato che la
carenza di potere degli autori non costituisce ragione
di nullità della delibera ai sensi dell’art. 2379 c.c.
(nel testo qui applicabile ratione temporis,

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anteriore

vocata dal ricorrente è stata poi superata (cfr. Cass.

alla riforma di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6),
il quale contempla esclusivamente l’impossibilità e
l’illiceità dell’oggetto.
4. – Con il quarto motivo, denunciando vizio di

Corte d’appello nel motivare che la delibera di esclusione era una sola, quella adottata il 20 novembre 1996
secondo cui l’espressione

Dell’adottata delibera-

zione, annotata contestualmente sul libro soci, sarà
data comunicazione agli interessati

figurante nel

corpo della stessa, non andava intesa come affermazione
di una già avvenuta annotazione, ma anzi deponeva nel
senso della contestualità fra annotazione e comunicazione, di là da venire. Il motivo si conclude con il
seguente quesito: “Se sia inficiata da illogicità e
contraddittorietà di motivazione la sentenza impugnata,
sul punto in cui, in contrasto con il significato lessicale, grammaticale e logico della delibera di esclusione, affermi che la data di annotazione
dell’esclusione non sia quella risultante dal testo
letterale della delibera (20/11/1996) bensì l’altra data comunicata al socio con successiva lettera raccomandata (10/12/1997)”.
4.1. – La ragione della rilevanza della questione,
a quanto è dato comprendere dal ricorso, risiederebbe

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motivazione, si censura l’affermazione – fatta dalla

nel fatto che, secondo l’assunto del ricorrente, in realtà con la lettera raccomandata del 26 gennaio 1998
gli era stata comunicata una delibera di esclusione mai
adottata (di qui la dedotta inesistenza della stessa),

annotata nel libro soci il 10 dicembre 1997, che si asumeva dunque adottata in pari data e non il 20 novembre 1996.
Il motivo è tuttavia inammissibile perché integra
nella sostanza una censura di merito, cioè di pura valutazione del dato probatorio.
5. – Con il quinto motivo, denunciando vizio di
motivazione e violazione dell’art. 19 dello statuto sociale, si ripropone la questione della tempestività
dell’impugnazione in relazione alla clausola arbitrale
contenuta nella norma statutaria invocata e si censura
la declaratoria di tardività della questione, assunta
dalla Corte d’appello, osservando che essa era stata
posta non già nella comparsa conclusionale, bensì
all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo
grado tenutasi il 31 gennaio 2000.
5.1. – Il motivo è infondato perché, a mente
dell’art. 189, primo comma, c.p.c. (come modificato
dalla 1. 26 novembre 1990, n. 353), le conclusioni finali non possono eccedere i limiti di quelle formulate

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visto che la lettera faceva riferimento a una delibera

negli atti introduttivi o a norma dell’art. 183, e il
ricorrente neppure deduce di avere posto la questione
di cui trattasi già con l’atto introduttivo o comunque
nel precedente corso del giudizio secondo il disposto

6. – Con il sesto motivo, denunciando violazione
dell’art. 2379 c.c. e degli artt. 98, 139 e 229 t.u.
dell’edilizia popolare ed economica approvato con r.d.
n. 1165 del 1938, nonché vizio di motivazione, si ripropone la tesi della nullità, per impossibilità o illiceità dell’oggetto, della delibera di esclusione del
socio di cooperativa edilizia che abbia conseguito la
consegna dell’alloggio o abbia integralmente pagato i
costi di costruzione a suo carico tramite accollo di
mutuo o con altro mezzo di pagamento.
6.1. – Il motivo è infondato. E’, invero, soltanto
con la stipulazione del contratto di mutuo individuale
che il socio della cooperativa acquista la proprietà
dell’alloggio (art. 229 t.u. cit.), la quale, del resto, può essere trasferita soltanto con un contratto
scritto (art. 1350, n. l, c.c.), non certo con atti materiali quali la consegna o il pagamento. Né, comunque,
lo stesso avvenuto trasferimento della proprietà avrebbe comportato nullità per impossibilità o illiceità

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dell’art. 183 c.p.c.

dell’oggetto della delibera di esclusione del socio,
bensì mera annullabilità della medesima.
7. – Con il settimo motivo, denunciando vizio di
motivazione e violazione dell’art. 2043 c.c., si so-

sione del socio possano derivare per il medesimo danni
risarcibili e si censura tale statuizione sostenendo
che, invece, l’esclusione produce danni non patrimoniali, dei quali era stata chiesta in giudizio la liquidazione in via equitativa.
7.1. – Il motivo è inammissibile perché non attiene alla ratio della decisione impugnata sul punto, la
quale – come si è riferito sopra in narrativa – non afferma l’insussistenza del danno, bensì dichiara
l’inammissibilità del relativo motivo di appello per
omessa impugnazione di una delle due rationes decidendi
della sentenza di primo grado riguardanti la domanda
risarcitoria.
8. – Il ricorso va in conclusione rigettato, con
condanna del ricorrente alle spese processuali liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, liquidate in C 3.200,00, di

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stiene che la sentenza impugata neghi che dalla esclu-

cui C 3.000,00 per compensi di avvocato, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio

dell’8 novembre 2013.

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