Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4385 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. I, 18/02/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 18/02/2021), n.4385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6014/2019 r.g. proposto da:

K.D., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato

Massimo Gilardoni, con cui elettivamente domicilia presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore.

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI BRESCIA depositata il

28/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 22/10/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. K.D. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia n. 1134/2018, reiettiva del gravame da lui proposto contro la decisione del tribunale della stessa città che – al pari di quanto già fatto dalla Commissione territoriale – aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Il Ministero ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, tenuto conto della narrazione del richiedente e della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza ((OMISSIS)), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, va dichiarata l’inammissibilità della costituzione dell’intimato Ministero dell’Interno, tardivamente effettuata con un atto denominato “atto di costituzione”, non qualificabile come controricorso, sostanziandosene il relativo contenuto nella mera dichiarazione di costituirsi in giudizio “con il presente atto al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1”. Risulta, infatti, in tal modo, violato il combinato disposto di cui all’art. 370 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in base ai quali il controricorso deve, a pena di inammissibilità, contenere l’esposizione dei motivi di diritto su cui si fonda, costituendone requisito essenziale (cfr. Cass. n. 5400 del 2006). Anche nell’ambito del procedimento camerale di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c. (introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 196 del 2016), alla parte contro cui è diretto il ricorso, che abbia depositato – come nel caso di specie – un atto non qualificabile come controricorso, in quanto privo dei requisiti essenziali previsti dagli artt. 370 e 366 c.p.c., nel periodo che va dalla scadenza del termine per il deposito del controricorso alla data fissata per la discussione del ricorso per cassazione è preclusa, pertanto, qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 378 c.p.c. (cfr. Cass. n. 10813 del 2019; Cass. n. 16261 del 2012; Cass. n. 5586 del 2011).

2. I formulati motivi di ricorso prospettano, rispettivamente:

I) “Sull’ammissibilità del ricorso per cassazione e sull’applicabilità del termine ex art. 327 c.p.c.”. Viene affermata l’ammissibilità e tempestività del ricorso in ragione dell’applicabilità alla fattispecie del termine previsto dall’art. 327 c.p.c.;

II) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; artt. 2 e 3 CEDU, ex art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5)”, ascrivendosi alla corte d’appello di non aver ponderato la situazione generale del Paese di origine del ricorrente ((OMISSIS)) prima di negargli la protezione sussidiaria, nonchè di non averne considerato la condizione soggettiva di vulnerabilità discendente dalla situazione nel Paese di provenienza ed in quelli di permanenza avuto riguardo alla Libia;

III) “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, avuto riguardo alle condizioni legittimanti il rilascio del permesso umanitario”.

3. Il primo motivo è inammissibile per carenza di interesse, atteso che “in tema di tempestività del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di protezione internazionale, a seguito dell’abrogazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 14, deve applicarsi il termine ordinario di cui all’art. 327 c.p.c. e non già il termine di trenta giorni di cui all’art. 702-quater c.p.c.” (cfr. Cass. n. 18704 del 2015; Cass. n. 8827 del 2020)

4. Il secondo ed il terzo motivo sono esaminabili congiuntamente perchè accomunati dalla medesima ragione di inammissibilità.

4.1. Essi, infatti, – pur volendosene sottacere, quanto al secondo, il non aver pienamente colto la ratio decidendi del provvedimento impugnato, posto che la corte distrettuale ha ritenuto il ricorrente immeritevole del riconoscimento dello status di rifugiato e/o della protezione sussidiaria, “anche qualora venisse valutata come credibile”, la sua versione quanto alla scelta di lasciare il Paese di provenienza – lungi dal contenere specifiche argomentazioni, intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, si risolvono, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il K. intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass. n. 7119 del 2020).

4.2. In applicazione dei suesposti principi, allora, non si presta ad esperibili ripensamenti la negatoria che la corte bresciana, confermando la decisione di primo grado e respingendo i motivi di gravame, ha inteso pronunciare tanto con riguardo alla richiesta di protezione sussidiaria, posto che la sussistenza, nella specie, delle condizioni per darvi accesso è stata esclusa pure sulla base di approfondite ed appropriate referenze attinte in adempimento del dovere di cooperazione istruttoria, dalle fonti di informazione internazionale, specificamente indicate (World Report 2017 di Human Rights Word ed il Rapporto 2017-2018 di Amnesty International) e tutte segnalanti l’insussistenza, nel Paese di provenienza del ricorrente (Senegal) di situazioni astrattamente idonee a legittimare il riconoscimento del pericolo di un danno grave; quanto alla richiesta di protezione umanitaria (da scrutinarsi sulla base della relativa disciplina anteriore a quella introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018. Cfr. Cass., SU, 13.11.2019, nn. 29459-29461; Cass. n. 4890 del 2019), atteso che si è considerato dirimente il difetto di qualsivoglia specifica allegazione, da parte del ricorrente, in punto di sua vulnerabilità (insufficienti rivelandosi le sole ragioni economiche o di criminalità comune), senza che il rilievo in tal modo operato abbia trovato adeguata e puntuale replica nell’illustrazione del corrispondente terzo motivo di ricorso.

4.2.1. A tanto deve soltanto aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 2355 del 2020; Cass. n. 9842 del 2019; Cass. n. 30105 del 2018; Cass. n. 9842 del 2019).

4.3. In definitiva, K.D., con i motivi in esame, tenta sostanzialmente di opporre alla valutazione fattuale contenuta nella sentenza impugnata una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica del vizio di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U., n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

5. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

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