Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4384 del 24/02/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 4384 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: MERCOLINO GUIDO

pubblico

SENTENZA
sul ricorso proposto da
FALLIMENTO DELLA S.A.RO. – SOCIETA’ APPALTI ROMA S.R.L., in persona del curatore p.t. dott. Marco Di Pasquale, elettivamente domiciliato in Roma,
alla via G. G. Belli n. 27, presso l’avv. MARCO ANTONELLI, dal quale è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso
RICORRENTE

contro
A.C.F.A. S.P.A., in persona della procuratrice Romana Saldarelli, in virtù di procura per notaio Igor Genghini del 30 agosto 2012, rep. n. 28832, rappresentata e
difesa dall’avv. prof. MARIO SANINO, in virtù di procura speciale per notaio Igor Genghini del 27 febbraio 2013, rep. n. 30531
INTIMATA

avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 1343/2006, pubblicata il 16

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SARO Srl-ACTA Spa – Pag. I

Data pubblicazione: 24/02/2014

marzo 2006.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 novembre
2013 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Immacolata ZENO, la quale ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità ed in subordine per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. — L’Impresa Federici S.p.a., appaltatrice dei lavori di costruzione del collettore Ponte di Nona, I e II lotto, convenne in giudizio la committente A.C.E.A.
S.p.a., lamentando il mancato riconoscimento delle riserve iscritte nel registro di
contabilità e chiedendo la condanna della convenuta al pagamento dei relativi importi e del saldo del I lotto dei lavori, oltre alla dichiarazione dell’illegittimità delle
penali applicate per il ritardo nell’ultimazione dei lavori e dell’estinzione delle fideiussioni prestate per lo svincolo della cauzione definitiva e delle ritenute a garanzia.
A seguito della dichiarazione di fallimento della società attrice, che nel frattempo aveva mutato la propria denominazione in S.A.RO. – Società Appalti Roma
S.p.a., il giudizio fu proseguito dal curatore.
1.1. – Con sentenza dell’i I febbraio 2003, il Tribunale di Roma accolse la
domanda, condannando l’ACEA al pagamento della somma complessiva di Euro
2.815.267,12. oltre alla rivalutazione ed agl’interessi sulla somma rivalutata con
decorrenza dal 31 marzo 1993, e dichiarando estinte le fideiussioni.
2. — L’impugnazione proposta dall’ACEA è stata parzialmente accolta dalla
Corte d’Appello di Roma, che con sentenza del 16 marzo 2006 ha rideterminato in

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uditi i difensori delle parti;

Euro 28.627,62, oltre interessi legali dalla costituzione in mora, l’importo dovuto
per le riserve relative al II lotto ed il saldo dei lavori relativi al I lotto, ed in Euro
22.896,00, oltre interessi al 3,50% annuo sulla media tra l’importo originario e

Premesso che il Tribunale aveva posto a fondamento della decisione le risultanze della consulenza di parte dell’attrice senza fornire adeguate giustificazioni,
la Corte ha ritenuto invece di dover condividere le conclusioni cui era pervenuto il
c.t.u.
In particolare, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto, in riferimento al I lotto dei lavori, che l’importo di cui alla riserva n. 1, avente ad oggetto i
danni subiti dall’impresa a causa del prolungamento dell’appalto dovuto alla consegna frazionata dei lavori da parte della committente, dovesse essere rideterminato in Lire 178.258.816: rilevato infatti che la consegna frazionata, pur non essendo
consentita dal capitolato speciale d’appalto, non aveva prodotto sostanziali modifiche nel programma dei lavori, ha ritenuto contraddittorio l’assunto dell’attrice, la
quale, pur affermando di avere ultimato i lavori fin dal 18 ottobre 1985 e di avere
successivamente provveduto soltanto alla manutenzione delle opere, aveva chiesto
il risarcimento dei danni. In ordine alla riserva n. 13, riguardante la disapplicazione della penale prevista dal contratto, ha rilevato che l’impresa, pur avendo ottenuto una proroga del termine fino al 18 marzo 1985, aveva effettivamente ultimato i
lavori il 20 marzo 1987, ed ha quindi ridotto l’importo dovuto dall’attrice a Lire
156.000.000, escludendo che l’applicazione della penale si ponesse in contrasto

con la liquidazione del danno dovuto al prolungamento dei lavori, in quanto l’ACEA non aveva impugnato la relativa pronuncia. Ila poi rigettato la domanda di
riconoscimento degl’interessi per la ritardata contabilizzazione del II stato di a-

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quello rivalutato, la somma dovuta per le riserve relative al I lotto.

vanzamento dei lavori, formulata con la riserva n. 2, trattandosi di lavori effettuati
dopo la data indicata dall’attrice e comunque prima del raggiungimento della quota indicata dall’art. 7 del capitolato speciale. Ha negato il riconoscimento dei mag-

chiesti con la riserva n. 5, escludendo la sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 1664 cod. civ., in quanto il capitolato speciale, pur consentendo l’uso di elementi prefabbricati, prescriveva che gli stessi dovessero garantire una perfetta tenuta all’acqua, ponendo a carico dell’appaltatrice l’obbligo di riparare eventuali difetti risultanti dai controlli eseguiti dalla direzione dei lavori. Ha rigettato infine la
domanda di cui alla riserva n. 6, riguardante l’omessa contabilizzazione dei volumi di scavo, osservando che i relativi oneri erano dovuti all’inosservanza da parte
dell’impresa della disposizione del direttore dei lavori di attenersi alle sezioni previste nei disegni esecutivi per situazioni di normalità geologica.
Quanto al II lotto dei lavori, la Corte ha determinato in Lire 23.371.200 l’importo dovuto all’impresa per la riserva n. 1, avente ad oggetto l’omessa contabiliz/azione dell’armatura a cassa chiusa, in quanto l’utilizzazione di tale tecnica di
scavo, concordata inizialmente con la direzione dei lavori, era stata da quest’ultima sospesa dopo 300 metri, non ravvisandosene più la necessità. Ha invece negato il compenso richiesto con la riserva n. 2, riguardante l’omessa contabilizzazione
di gran parte degli scavi in roccia, in quanto non suffragata da riscontri documentali e non contestata al momento delle misurazioni. Ha riconosciuto equitativamente la somma di Lire 18.000.000 per la riserva n. 3, avente ad oggetto le opere
provvisionali rese necessarie dagli sfornellamenti verificatisi durante l’attraversamento suborizzontale del fosso di Nona, trattandosi di opere particolari consistite
nell’imbrigliamento delle acque del fosso e nell’installazione di pompe idrovore di

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giori oneri sostenuti per la scarificatura e l’impermeabilizzazione dei giunti, ri-

grande potenza. Ha negato il compenso richiesto con la riserva n. 4, riguardante i
maggiori oneri sostenuti per le varianti relative all’attraversamento del ponte di
Nona-via Prenestina, in quanto la direzione dei lavori aveva già contabilizzato le

gettato la domanda di cui alla riserva n. 5, avente ad oggetto il compenso dovuto
per la sigillatura dei giunti di impermeabilizzazione dei collettori, in quanto i nuovi materiali impiegati erano necessari per rendere l’opera appaltata conforme al
capitolato. Ha poi escluso il diritto dell’impresa al risarcimento dei danni subiti
per l’abnorme prolungamento dei tempi dell’appalto, fatto valere con la riserva n.
6, riconoscendo che tale dilazione era stata determinata dal ritardo nella consegna
dei lavori, ma rilevando che con atto d’impegno sottoscritto il 26 ottobre 1987 le
parti avevano definito transattivamente la vertenza, differendo il termine di ultimazione fino al 3 giugno 1986 e rinunciando a tutte le reciproche pretese riconducibili al mancato rispetto del termine precedentemente stabilito. Ha infine negato
il risarcimento dei danni dovuti al frazionamento della consegna dei lavori, richiesto con la riserva n. 7, osservando che la stessa impresa aveva riconosciuto di non
essere in grado di dimostrare la propria pretesa.
3. — Avverso la predetta sentenza il curatore del fallimento propone ricorso
per cassazione, articolato in cinque motivi. L’ACEA non ha svolto difese scritte.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, osservando che la Corte di merito si è limitata a recepire le conclusioni del c.t.u., senza
fornire alcuna dimostrazione del proprio convincimento.
In ordine alle riserve nn. 1 e 13 formulate con riferimento al I lotto dei lavori,

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quantità e le lavorazioni eseguite secondo capitolato e con prezzi di tariffa. 1-la ri-

essa, pur dando atto che la consegna dei lavori aveva avuto luogo in modo frazionato per causa imputabile alla committente, ha escluso che tale circostanza avesse
comportato sostanziali modifiche nel programma originario dei lavori, omettendo

propria attività per la migliore riuscita economica dell’appalto; la Corte, inoltre,
non ha tenuto conto che l’appaltatrice, pur avendo eseguito il 98% dei lavori al 31
marzo 1985, era stata costretta a tenere aperto il cantiere fino alla data del collaudo, effettuato il 20 marzo 1987, sostenendo pertanto costi superiori a quelli preventivati.
Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata è incorsa anche in contraddizione laddove, dopo aver riconosciuto all’impresa il danno derivante dal prolungamento dei tempi dell’appalto, imputabile alla committente, ha attribuito a quest’ultima la penale per il ritardo nell’ultimazione delle opere, in tal modo confondendo il predetto ritardo con la durata dell’appalto. A sostegno di tale decisione,
essa ha rilevato che la committente non aveva specificamente impugnato, al riguardo, le conclusioni del c.t.u., trascurando che la predetta incongruenza, prontamente segnalata sia in primo grado che in appello, poteva essere rilevata anche
in assenza di specifiche censure.
Nell’accertare il ritardo dell’ultimazione dei lavori, la Corte di merito ha infine omesso di considerare che il collaudo aveva avuto luogo a due anni di distanza
dal fultimazione del 98% delle opere, il cui completamento era stato ritardato dalla
mancata realizzazione di altri lavori commissionati dall’ACEA con un diverso
contratto.
1.1. — 11 motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
Il giudice di merito che, come nella specie, riconosca convincenti le conclu-

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di considerare che l’impresa non aveva avuto modo di organizzare utilmente la

sioni del e.t.u. non è infatti tenuto ad esporre diffusamente le ragioni del proprio
convincimento, poiché l’obbligo della motivazione deve ritenersi adempiuto con
l’indicazione delle fonti dell’apprezzamento espresso, senza che risulti necessario

seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese, in quanto
incompatibili con le argomentazioni accolte (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 9 gennaio 2009, n. 282; 3 aprile 2007, n. 8355; Cass., Sez. lav., 10 agosto 2007, n.
17606). In tal caso, incombe piuttosto alla parte, la quale intenda far valere in sede
di legittimità il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’omesso esame delle critiche rivolte alla relazione del c.t.u., l’onere di indicare specificamente gli elementi e le circostanze in ordine ai quali invoca il controllo di
logicità, riportando nel ricorso le predette critiche, unitamente ai passi salienti della relazione, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice di merito nel recepirla, e di consentire a questa Corte di apprezzarne la decisività (cfr. Cass., Sez.
III, 6 settembre 2007, n. 18688; 28 marzo 2006, n. 7078; Cass., Sez. Il, 13 giugno
2007, n. 13845). Tale onere nella specie non può ritenersi adeguatamente assolto,
essendosi il ricorrente limitato, con riguardo alla decisione assunta dalla Corte di
merito in ordine alla riserva n. 1, a censurare l’operato del c.t.u., fatto proprio dalla
sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa la sentenza di primo grado, che
aveva accolto invece le conclusioni del suo consulente di parte, senza però precisare se e quando le critiche da quest’ultimo mosse alla relazione del c.t.u. sono state sottoposte all’esame del Giudice d’appello e senza riportare nel ricorso le argomentazioni contestate, in tal modo impedendo qualsiasi valutazione in ordine alla
portata degli obblighi motivazionali gravanti sulla Corte di merito ed all’incidenza
del relativo inadempimento sulla decisione.

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uno specifico esame delle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che,

Quanto alla contraddizione, evidenziata dalla stessa sentenza impugnata, tra
la condanna dell’impresa al pagamento della penale, che presuppone l’ascrivibilità
alla stessa del ritardo nell’ultimazione dei lavori, ed il riconoscimento in suo favo-

zione della responsabilità della committente, essa, come ha spiegato la Corte di
merito, trova giustificazione nella condotta processuale dell’ACEA, che pur contestando la propria responsabilità ai fini dell’attribuzione della penale, si era limitata, per quanto attiene al risarcimento, a censurare la sentenza di primo grado nella
sola parte concernente la liquidazione del danno. Entrambe le censure hanno trovato accoglimento nella sentenza impugnata, la quale, nel procedere alla riduzione
dell’importo liquidato a titolo di risarcimento, ha rilevato che la consegna frazionata non aveva comportato sostanziali modifiche nel programma dei lavori, in tal
modo escludendo che il ritardo addebitato all’impresa potesse trovare giustificazione nell’inadempimento della committente, e riconoscendo dunque il diritto di
quest’ultima al pagamento della penale.
Non possono invece trovare ingresso, in questa sede, le censure riguardanti la
determinazione della data di ultimazione dei lavori, con cui la ricorrente si limita a
riproporre la propria tesi difensiva, disattesa dalla sentenza impugnata, in tal modo sollecitando un riesame del merito della vicenda, non consentito a questa Corte, alla quale spetta soltanto il controllo della correttezza giuridica e della coerenza
logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito (cfr. ex plurimis,
Cass., Sez. I, 4 novembre 2013, n. 24679; Cass., Sez. V, 16 dicembre 2011, n.
27197; Cass., Sez. lav., 18 marzo 2011, n. 6288). Nell’individuare la causa del ritardo nel mancato completamento di opere commissionate a terzi, essa solleva poi
una questione che implica un accertamento di fatto, non trattata nella sentenza im-

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re del danno derivante dalla consegna frazionata dei lavori, che postula l’afferma-

pugnala e non proponibile quindi nel giudizio di legittimità, non essendo stato
precisato in quale fase processuale ed in quale atto essa sia stata precedentemente
dedotta (cfr. Cass., Sez. 1, 18 ottobre 2013, n. 23675; 30 novembre 2006, n.

2. — Con il secondo motivo, il curatore deduce l’omessa e insufficiente motivazione in riferimento alle riserve nn. 2 e 6 relative al I lotto dei lavori ed alle riserve nn. 1, 2 e 3 relative al II lotto.
Sostiene infatti che, nel rigettare la domanda di riconoscimento degl’interessi
per la ritardata contabilizzazione del Il s.a.1., la sentenza impugnata ha richiamato
la relazione del c.t.u., il quale aveva rilevato che il contratto prevedeva la corresponsione degli acconti «a traguardi» e non già «a tempi», trascurando che la riserva era stata formulata proprio perché la direzione dei lavori non aveva emesso
il s.a.l. a traguardo raggiunto.
Nel negare i compensi richiesti per i maggiori volumi di scavo e per gli scavi
in roccia, la Corte di merito non ha tenuto conto dell’avvenuta produzione di un
ordine di servizio con cui la direzione dei lavori aveva autorizzato i predetti volumi e del registro di contabilità in cui risultava chiaramente formulata la riserva relativa agli scavi in roccia.
Nel determinare gl’importi dovuti per l’adozione dell’armatura a cassa chiusa
e per le opere provvisionali rese necessarie dagli sfornellamenti, essa ha ugualmente richiamato la relazione del c.t.u., che in riferimento alla prima riserva si era
limitato ad aderire alla valutazione forfettaria della committente, astenendosi dal
verificare l’effettivo miglioramento delle condizioni del terreno, ed in entrambi i
casi aveva omesso di motivare le proprie conclusioni.
2.1. — Le censure sono in parte inammissibili, in parte infondate.

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25546; Cass., Sez. 111, 3 marzo 2009, n. 5070).

Quella riguardante la riserva n. 2 relativa al I lotto non coglie infatti la rafia
decidendi della sentenza impugnata, la quale non si è limitata ad affermare che
parte dei lavori riportati nel II s.a.l. erano stati eseguiti dopo la scadenza del ter-

stata realizzata una percentuale di lavori (992%) inferiore a quella concordata
(95%), con il conseguente mancato raggiungimento del traguardo previsto.
La doglianza concernente la riserva n. 6 risulta invece carente sotto il profilo
dell’autosufficienza, in quanto, pur riflettendo l’omesso esame dell’ordine di servizio impartito dal direttore dei lavori, è accompagnata da una trascrizione meramente parziale dello stesso, insufficiente ai fini del necessario apprezzamento in
ordine all’idoneità del suo contenuto ad orientare in senso diverso la decisione
(cfr. Cass., Sez. III, 31 luglio 2012, n. 13677; 16 ottobre 2007, n. 21621; Cass.,
Sez. VI, 30 luglio 2010, n. 17915).
Parimenti inammissibile, sotto più profili, è la censura avente ad oggetto la
riserva n. 2 relativa al II lotto dei lavori, con cui il ricorrente lamenta la mancata
valutazione delle risultanze del registro di contabilità, omettendo peraltro di trascriverne almeno parzialmente il contenuto nel ricorso, nonché di tener conto della rullo decidendi della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto che la riserva non
fosse suffragata da alcun riscontro documentale.
Infondata è poi la censura riguardante la riserva n. 1 relativa al medesimo lotto, riflettente l’omessa valutazione della relazione riservata predisposta dalla
commissione di collaudo ai sensi dell’art. 100, secondo comma, del regio decreto
25 maggio 1895, n. 350: si tratta infatti di un documento che, a differenza della
relazione prevista dal primo comma della medesima disposizione, risulta di per sé
inidoneo a fornire elementi di giudizio ai fini dell’accoglimento delle domande

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mine indicato per la contabilizzazione, ma ha precisato che a quest’ultima data era

dell’appaltatore, consistendo nella manifestazione di un’opinione non necessariamente corrispondente a norme giuridiche o tecniche e comunque indipendente
dalle verifiche e dalle acquisizioni di scienza che rappresentano il contenuto tipico

Quanto infine alla censura avente ad oggetto la riserva n. 3, il ricorrente si
limita a lamentare l’illogicità e la contraddittorietà delle conclusioni cui è pervenuto il c.t.u., astenendosi dal riportare i passi salienti della relazione e dall’indicare
specificamente le carenze e le lacune dell’iter logico nella stessa seguito, nonché
dal precisare se le critiche avanzate nel ricorso siano state prospettate nelle precedenti fasi del giudizio; nel denunciare l’acritica adesione della Corte di merito alle
predette conclusioni, chiarisce inoltre che la censura non concerne accertamenti di
fatto, ma l’interpretazione delle norme contrattuali, non demandabile al consulente, omettendo tuttavia di specificare quale sia esattamente l’oggetto della questione, in quale sede la stessa sia stata sollevata e come sia stata risolta, nonché di riportare nel ricorso le clausole contrattuali rilevanti e d’indicare i vizi argomentativi della relazione, in tal modo dimostrando di voler sollecitare un riesame del merito della controversia, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass., Sez. lav.,
16 ottobre 2013, n. 23530; Cass., Sez. 1,4 maggio 2009, n. 10222).
3. — E’ altresì inammissibile il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta la
violazione e la falsa applicazione dell’art. 1664 cod. civ., nonché l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata, con riguardo alla riserva n. 5 relativa al I lotto dei lavori.
Sostiene infatti il curatore che l’art. 28 del capitolato speciale d’appalto, richiamato dalla sentenza impugnata a sostegno del mancato riconoscimento dei
maggiori oneri sostenuti dall’impresa per la scarificatura e l’impermeabilizzazione

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delle funzioni del collaudatore (cfr. Cass., Sez. I, 12 maggio 2004, n. 8969).

dei giunti, si riferisce esclusivamente alla cattiva o imperfetta esecuzione dei lavori, e non è quindi applicabile alla fattispecie in esame, in cui nessun inadempimento era imputabile all’appaltatrice. Le infiltrazioni d’acqua erano state infatti deter-

vorazioni originariamente concordate, avrebbe giustificato l’applicazione dell’art.
1664 cit., negata dalla Corte di merito in virtù della mancata valutazione delle

prove offerte dalla curatela.
3.1. — L’esclusione dell’applicabilità dell’art. 1664, secondo comma, cod.
civ. è stata giustificata dalla Corte di merito con l’assenza dei relativi presupposti,
i quali, consistendo in sopravvenute difficoltà di esecuzione dell’opera derivanti
da cause geologiche, idriche e simili, non prevedibili al momento della stipulazione del contratto, non possono essere ravvisati nell’ipotesi in cui gl’inconvenienti
riscontrati siano ascrivibili all’inadempimento degli obblighi dell’appaltatore, in
quanto dovuti ad una cattiva esecuzione dei lavori o all’impiego di materiali inidonei a garantire la realizzazione dell’opera a regola d’arte. La sussistenza di tale
inadempimento è stata nella specie desunta dall’inidoneità degli elementi ovoidali
utilizzati per la realizzazione del collettore, che aveva imposto di procedere ad una
nuova sigillatura con materiali speciali indicati dalla direzione dei lavori, essendosi rilevato che il capitolato d’appalto, pur consentendo l’uso di elementi prefabbricati, richiedeva una perfetta tenuta nei confronti dell’acqua convogliata e di quella
del sottosuolo. Il ricorrente invoca in contrario l’ordine di servizio del direttore dei
lavori, dal quale risulterebbe che nessuna contestazione era stata sollevata in ordine ai materiali impiegati ed alle modalità di realizzazione dei giunti, omettendo
però riportarne il testo del ricorso, e rendendo pertanto impossibile qualsiasi valutazione in ordine alla decisività del documento.

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minate da un’imprevista situazione idrogeologica che, rendendo insufficienti le la-

4. — Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1661
cod. civ., nonché l’omessa o insufficiente motivazione in ordine alle riserve nn. 4
e 5 relative al 11 lotto dei lavori.

ve all’attraversamento del ponte di Nona-via Prenestina, la sentenza impugnata
non ha tenuto conto che, come risultava da un verbale di constatazione prodotto in
giudizio, si trattava di una variante tecnica ordinata dalla direzione dei lavori per
l’accertata impossibilità di proseguire l’attraversamento nella direzione ed alla
quota originariamente previste, a causa dell’intercettazione delle fondazioni dell’antico ponte, che aveva reso necessaria la rimozione delle opere iniziate e l’avvio
di nuove lavorazioni in senso contrario e ad un livello più basso.
Nel negare il compenso richiesto per la sigillatura dei giunti di impermeabilizzazione dei collettori, la Corte di merito ha invece omesso di considerare che si
trattava dell’utilizzo di materiali e dell’esecuzione di lavori con tecniche originariamente non previste e richieste dalla committente in corso d’opera.
In entrambi i casi, avrebbe dovuto pertanto trovare applicazione il secondo
comma dell’art. 1661 cit., trattandosi di variazioni al progetto iniziale che, pur senza comportare il mutamento dell’opera commissionata, avevano reso necessaria
l’esecuzione di maggiori lavori, per i quali non era stato espressamente escluso il
diritto dell’appaltatore al relativo compenso, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che il corrispettivo dell’opera fosse stato convenuto globalmente
o che fosse stato superato il sesto previsto dalla norma indicata, in quanto la variante era stata accettata dall’impresa.
4.1. – – Nella parte riguardante la riserva n. 4, la censura non coglie la rullo
decidendi della sentenza impugnata, la quale non ha affatto escluso la configurabi-

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Afferma infatti che, nell’escludere il compenso richiesto per le varianti relati-

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lità delle opere ordinate dalla direzione dei lavori come variante al progetto originario né il diritto dell’impresa al relativo compenso, ma si è limitata a rilevare che
le quantità e le lavorazioni eseguite risultavano già contabilizzate secondo capito-

a fondamento della pretesa al maggior corrispettivo. In quest’ottica, non può dunque considerarsi decisivo il verbale di constatazione del quale il ricorrente lamenta
l’omessa valutazione, non essendo in discussione l’intervenuta autorizzazione dei
maggiori lavori da parte della committente, ma l’applicabilità di prezzi diversi da
quelli presi in considerazione ai fini del calcolo, la cui pattuizione nel predetto
verbale non è stata dedotta neppure in questa sede.
Nella parte riguardante la riserva n. 5, la censura è invece infondata, per ragioni analoghe a quelle esposte in riferimento al terzo motivo d’impugnazione, avendo la sentenza impugnata accertato che nell’esecuzione del II lotto dei lavori,
per evitare il ripetersi delle infiltrazioni d’acqua in corrispondenza dei giunti, erano stati impiegati fin dall’inizio i nuovi materiali adottati per la sigillatura nel corso della realizzazione del I lotto, la cui utilizzazione rispondeva pertanto alla finalità di rendere l’opera conforme alle prescrizioni del capitolato d’appalto. L’impiego di tali materiali, in quanto reso necessario dall’utilizzazione, per la realizzazione dei collettori, di elementi prefabbricati anziché di elementi gettati in opera sul
posto, costituiva infatti la conseguenza di una scelta tecnica compiuta dall’impresa, che, sebbene autorizzata dal capitolato, si era rivelata infine più costosa del
previsto. Non trattandosi di una modificazione del progetto originario, ordinata o
autorizzata dalla committente, i relativi oneri non potevano pertanto essere posti a
carico di quest’ultima, ai sensi dell’art. 1661 cod. civ., dovendo essere invece sopportati dall’impresa, che aveva assunto il compimento dell’opera con gestione a

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lato ed a prezzi di tariffa, osservando che l’impresa non aveva fornito alcuna prova

proprio rischio.
5.

Con il quinto motivo, il curatore denuncia la violazione e la falsa appli-

cazione degli artt. 1362, 1363 e 1364 cod. civ., nonché la contraddittorietà della

surando la sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto efficacia novativa
all’atto d’impegno sottoscritto il 26 ottobre 1987, avendo ravvisato nell’individuazione del nuovo termine per l’ultimazione dei lavori la volontà delle parti di rinunciare in via transattiva alle reciproche pretese riconducibili al rispetto del termine
precedentemente stabilito. Premesso che con tale atto l’ACEA aveva ammesso la
propria colpa in ordine alla consegna frazionata dei lavori ed al prolungamento
della durata dell’appalto, concedendo il differimento dei termine di ultimazione
dei lavori, mentre l’impresa aveva accettato il congelamento della revisione dei
prezzi, sostiene che l’affermata rinuncia alle reciproche pretese si pone in contrasto con il tenore letterale della transazione, riguardante esclusivamente la fissazione del nuovo termine, e con la volontà manifestata dalle parti, che, come emerge
anche dalla condotta tenuta in giudizio, non hanno affatto inteso rinunciare ai rispettivi diritti.
5.1. — La censura è infondata.
Nell’attribuire efficacia novativa al predetto accordo, la Corte di merito ha
conferito rilievo proprio al tenore letterale delle espressioni usate dalle parti, ponendo in relazione la proroga del termine contrattuale per l’ultimazione dei lavori,
prevista dall’art. 3, con la circostanza, menzionata nella premessa dell’atto, che i
lavori si erano in realtà protratti anche in epoca successiva alla data indicata dalle
parti, sia pure al fine di ultimare le finiture e di eliminare piccoli difetti dell’opera,
e rilevando, sempre in base alla premessa, che l’impresa aveva accettato di conge-

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motivazione in riferimento alle riserve nn. 6 e 7 relative al II lotto dei lavori, cen-

lare la revisione dei prezzi fino alla scadenza della proroga ottenuta. Tale utilizzazione del criterio letterale risulta conforme al dettato degli artt. 1362 e 1363 cod.
civ., i quali impongono, nell’interpretazione del contratto, di procedere al coordi-

sere compiuta, senza residui di incertezza, sulla base del loro significato testuale:
l’espressione «senso letterale delle parole», adoperata nell’art. 1362, deve infatti
intendersi non già come limitata ad una parte soltanto, qual è una singola clausola
del contratto composto di più clausole, ma come riferita all’intera formulazione
letterale della dichiarazione negoziale, dovendo il giudice collegare e confrontare
fra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (cfr. Cass., Sez. l, 4 maggio
2011, n. 9755; Cass., Sez. lav., 17 febbraio 2010, n. 3685; 26 febbraio 2009, n.
4670). In quest’ottica, non risulta condivisibile il tentativo del ricorrente di accreditare un’interpretazione atomistica dell’accordo, isolando la clausola di cui all’art.
3 dal contesto nel quale è collocata, al fine di sostenere che il consenso raggiunto
dalle parti in ordine alla proroga del termine per l’ultimazione dei lavori non ha
avuto ripercussioni sulle reciproche pretese derivanti dal prolungamento della loro
durata: in senso contrario, infatti, la sentenza impugnata ha correttamente valorizzato sia l’accettazione del congelamento della revisione dei prezzi, che ha comportato l’abbandono da parte dell’impresa della pretesa al relativo compenso, sia la rinuncia della committente alla penale pattuita per il ritardo, non smentita dalla
condotta tenuta nel presente giudizio, in cui il pagamento della penale è stato richiesto soltanto per il ritardo nell’ultimazione dei lavori relativi al I lotto.
6. — 11 ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

NRG 12893-07 Fall SAR()

Spa – Pag. 16

namento delle varie clausole contrattuali anche quando l’interpretazione possa es-

2
41

0.:

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna il Fallimento della S.A.RO. – Società Appalti Roma S.r.l. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in com-

200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2013, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile

plessivi Euro 10.200,00, ivi compresi Euro 10.000,00 per compensi ed Euro

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