Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4384 del 23/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2011, (ud. 21/12/2010, dep. 23/02/2011), n.4384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30381-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

ARGENTERIE SAN GIORGIO SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA OTTAVIANO 66 presso lo

studio dell’avvocato CARRIERO MARCELLO, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 50/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 09/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2010 dal Consigliere Dott. ETTORE FERRARA;

udito per il ricorrente l’Avvocato GUIDA MARIA LETIZIA, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato CARRIERO MARCELLO, che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di verifica a cura della Guardia di Finanza e di relativo processo verbale di constatazione, veniva emesso a carico della Argenterie San Giorgio s.r.l. avviso di accertamento relativo ad Iva, Irpef, Irap e Irpeg, per l’anno 1998, con il quale si contestavano alla contribuente ricavi non dichiarati, cessioni non contabilizzate e ritenute d’acconto non versate; ciò sulla base essenzialmente di dati tratti da conto bancario intestato a A.G., all’epoca dei fatti estraneo alla struttura sociale ma delegato ad effettuare operazioni bancarie sui conti sociali della Argenterie San Giorgio s.r.l. e sul cui conto personale sarebbero stati emessi assegni in favore di fornitori della società.

L’atto, impugnato dalla contribuente, veniva annullato dalla C.T.P. di Roma con decisione successivamente confermata dalla C.T.R. del Lazio con sentenza n. 50/12/2005, pubblicata il 9.9.2005 e non notificata, con la quale il giudice del gravame riteneva la documentazione prodotta dalla contribuente legittimamente utilizzata dal giudice di primo grado e tale “da mettere in serio dubbio la fondatezza delle contestazioni addebitate”, e in ogni caso non condivisibile la ritenuta riferibilità alla contribuente di tutte le movimentazioni risultanti sul conto dell’ A..

Per la cassazione della sentenza di appello proponeva quindi ricorso, notificato il 31.10.2006, l’Agenzia delle Entrate articolando due motivi, all’accoglimento dei quali si opponeva la società con controricorso ritualmente e tempestivamente notificato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Preliminarmente rileva questa Corte doversi ritenere l’infondatezza dell’eccezione formulata in controricorso dalla società per sostenere l’inammissibilità del ricorso perchè rivolto a censurare una sola delle ragioni della decisione esposte dal giudice di merito (l’impossibilità di utilizzare dati desunti dal conto corrente intestato all’ A. per accertare il reddito d’impresa della società), e non anche la seconda, rappresentata dall’esito dell’accertamento comunque svolto sui documenti prodotti in giudizio, tale da escludere la rilevanza delle operazioni riscontrate ai fini della determinazione del reddito della società.

A prescindere invero dal fatto che, come meglio più innanzi si vedrà, il ricorso investe entrambe le problematiche affrontate dal giudice di merito, niente affatto corretto sembra pretendere di riconoscere nella sentenza impugnata due distinte ragioni, autonomamente sufficienti a sorreggere il convincimento espresso dal giudicante. Al riguardo illuminante è quanto scritto in premessa della motivazione, laddove si dice che: “… come rilevato dai giudici di prime cure, la documentazione prodotta dalla società deve considerarsi, seppure non completamente esaustiva, sufficiente a mettere in serio dubbio la fondatezza delle contestazioni addebitate”. Tale affermazione, invero, nel mentre induce ad escludere che vi sia stato mai il riconoscimento di una piena corrispondenza tra la documentazione giustificativa prodotta e le singole operazioni contestate alla società, lascia anche univocamente intendere come il valore della circostanza rilevata dal giudice di merito sia solo quello di un contributo ritenuto idoneo, nella formazione del convincimento del giudice, a indebolire la validità del ragionamento presuntivo esposto dall’Ufficio a sostegno della tesi della riferibilità alla società di tutte le operazioni risultanti dal conto corrente intestato all’ A.. Ciò senza che mai nè la CTP nè la CTR abbiano affermato che la contribuente avesse fornito la prova della irrilevanza di tutte quelle operazioni ai fini della determinazione del reddito della società.

2 – Passando quindi senz’altro all’esame del ricorso, con il primo articolato motivo deduce la ricorrente la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 con riferimento ai documenti prodotti dalla parte in sede contenziosa, e il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza con riferimento al punto della decisione relativo sempre alla documentazione prodotta dalla società e al giudizio espresso in proposito dal giudice di merito circa il fatto che la stessa dovesse considerarsi “seppure non completamente esaustiva, sufficiente a mettere in serio dubbio la fondatezza delle contestazioni addebitate”.

Con il secondo motivo denuncia ancora l’Agenzia più specificamente il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ritenendo gravare sulla contribuente, e non sull’Ufficio così come sostenuto dal giudice di merito, l’onere di provare in quale misura gli accrediti e gli addebiti risultanti sul conto corrente intestato all’ A. avessero influito sul reddito d’impresa della società.

3 – La prima censura relativa alla pretesa violazione della legge tributaria, ha ad oggetto dunque l’errore che l’Agenzia contesta alla C.T.P. prima, e al giudice di appello successivamente, per aver ritenuto utilizzabili i documenti prodotti in giudizio dalla contribuente, benchè non prodotti tempestivamente in sede di verifica, e stante il chiaro divieto al riguardo posto dalle norme richiamate.

A questo proposito assume la ricorrente che la C.T.R. avrebbe affermato in sentenza che “l’Ufficio non avrebbe fatto rilevare l’impossibilità per la parte di depositare la documentazione non esibita ai verificatori”, e che invece tale affermazione non sarebbe rispondente al vero, secondo quanto potrebbe evincersi dall’atto di appello.

La censura è infondata. Dalla sentenza impugnata si evince innanzi tutto che il giudice di merito non ha genericamente ritenuto ammissibile la produzione nella fase contenziosa di documenti richiesti e non prodotti dalla contribuente in fase di verifica, ma ha piuttosto ritenuto i documenti prodotti in giudizio utilizzabili perchè non “eccedenti” rispetto a quelli già esibiti ai verbalizzanti. In proposito si legge in sentenza che: “… risulta come la Società non abbia prodotto ulteriore documentazione eccedente quella già, in sede di verifica, prodotta ai verbalizzanti. In sede di contenzioso risulta essere stata effettuata da parte della ricorrente una minuziosa disamina e giustificazione sulla base degli stessi documenti forniti a suo tempo ai verificatori”; e tale assunto non risulta specificamente contestato dalla ricorrente nel presente giudizio. E’ poi vero che il giudice del gravame ha dato atto che, come già posto in evidenza dalla C.T.P. a sostegno dell’itilizzabilità dei documenti, “in sede di udienza c/o la C.T.P. non è stata sollevata da parte dell’Ufficio alcuna eccezione in merito”, ma tale circostanza non è affatto smentita da quanto dalla ricorrente dedotto in ricorso con rinvio all’atto di appello, giacchè in tale atto effettivamente risulta contestata la decisione sui documenti assunta dal primo giudice, ma nulla si dice circa un’eventuale eccezione tempestivamente formulata per opporsi a quella produzione.

Con la qual cosa vuoi dirsi che la parte aveva l’obbligo di produrre la documentazione richiestale in sede di verifica e in esecuzione di tale obbligo ha sicuramente prodotto alcuni documenti, così come dalla stessa Agenzia dichiarato in ricorso (“… la società, durante la verifica, non era risuscita ad esibire – se non in minima parte – la documentazione amministrativa e contabile formalmente richiesta …”); successivamente ha prodotto la documentazione in suo possesso anche nella fase contenziosa e il giudice, che ha espressamente riscontrato trattarsi degli stessi documenti già prodotti in sede amministrativa, correttamente l’ha ritenuta utilizzabile in assenza di una precisa e formale eccezione dell’Ufficio avente ad oggetto i “nuovi” documenti eventualmente prodotti, che peraltro neanche in questa sede risultano specificamente indicati.

4 – Con la successiva censura, sviluppata in parte nel primo motivo di ricorso e in parte nel secondo, la ricorrente deduce poi i vizi di difetto di motivazione e violazione di legge con riferimento alle conseguenze tratte dal giudice dai documenti acquisiti in giudizio e in ordine alla loro idoneità a dimostrare la infondatezza dell’accertamento dell’ufficio.

A questo proposito giova sommariamente riassumere che il giudice di merito ha così essenzialmente argomentato la sua decisione:

a) la documentazione prodotta dalla società “deve considerarsi, seppure non completamente esaustiva, sufficiente a mettere in serio dubbio la fondatezza delle contestazioni addebitate”;

b) non condivisibile sarebbe stato il metodo seguito dall’Ufficio giacchè “tutte” le operazioni bancarie poste in essere dall’ A. sarebbero state contestate come attività afferenti la società oggetto della verifica, e ciò benchè lo stesso, pur avendo delega ad operare in nome e per conto della società, non rivestiva alcuna carica sociale in essa mentre “all’epoca dei fatti era socio della s.r.l. Silver Danil”;

c) più in particolare sarebbe stata “non comprensibile e non sostenuto da alcuna base logica l’attribuzione di quanto contestato alla sola società ricorrente”;

d) in definitiva vero è che “spetta al contribuente dimostrare che le operazioni bancarie desumibili dagli accertamenti bancari non costituiscano omissione di ricavi ovvero che i versamenti operati sui e/e bancari siano estranei alla produzione del reddito d’impresa”, ma “è comunque onere dell’Ufficio provare che l’intestazione fittizia di depositi e movimenti bancari ai soci, amministratori e procuratori generali sono riconducibili alla società accertata … . A maggior ragione non può sussistere onere della prova a carico della società quando, come nella fattispecie, il soggetto ( A.G.) all’epoca dei fatti addebitati risultava socio della s.r.l. Silver Danil”.

Orbene, non v’è dubbio che il principio di diritto da ultimo enunciato dalla C.T.R. nella risoluzione della controversia in esame, e sul quale sembra ragionevole ritenere fondarsi il resto della motivazione, è esatto e conforme alla giurisprudenza di legittimità.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, con riguardo alle acquisizioni bancarie disciplinate dal successivo n. 7, stabilisce che “i singoli dati ed elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi alla base delle rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario, i prelevamenti annotati negli stessi conti e non risultanti dalle scritture contabili”. La fonte legale della presunzione rende utilizzabili “de plano” dall’Amministrazione finanziaria i dati e gli elementi risultanti dai conti (Cass. 9446/2000), anche se il carattere relativo di essa ammette la prova contraria da parte del contribuente, che può dimostrare di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile, ovvero che essi sono estranei alla produzione del reddito.

Negli stessi sensi dispone il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2 in tema di Iva.

Le citate norme peraltro trovano applicazione unicamente ai conti intestati o cointestati al contribuente, mentre non trovano applicazione con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, ancorchè legate al contribuente da vincoli familiari o commerciali, salvo che l’ufficio opponga e poi provi in sede giudiziale che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque è superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti (Cass. 18.4.2003, n. 6232;

Cass. 8826/2001).

E però, nel caso di specie, la questione che si pone è proprio quella di verificare se l’Ufficio abbia o meno dato la prova della fittizietà dell’intestazione del conto corrente all’ A., o comunque di un valido collegamento tra quel conto e la società verificata, giacche nel primo caso la regola juris in premessa richiamata risulterebbe inequivocabilmente rispettata, e inevitabilmente ne discenderebbe la presunzione di riferibilità alla società di tutte le operazioni desumibili dal conto corrente e l’inversione dell’onere della prova al riguardo a carico della società.

A questo proposito, a maggiore e diretta conferma di quanto già innanzi incidentalmente accennato, univoca è la giurisprudenza di questa Suprema Corte nel senso che in sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorchè risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati (v. Cass. 4.8.2010, n. 18083; 21.12.2007, n. 27032; 12.9.2003, n. 13391).

L’esposta questione non appare risolta dal giudice di merito con motivazione congrua ed immune da vizi logici, tenuto conto del fatto che il collegamento, sotto il profilo soggettivo, tra la società e il conto corrente dal quale risultano tratti i dati posti a base dell’accertamento, appare senza dubbio esistente e palesemente costituito dalla intestazione del suddetto conto a soggetto delegato a gestire i conti correnti intestati alla società, e quindi a soggetto investito di potere di rappresentanza della contribuente, e che quel collegamento risulterebbe ancor più significativamente rafforzato da alcune operazioni avvenute su quel medesimo conto per conto della società Argenterie San Giorgio.

Quest’ultima circostanza, posta dall’Ufficio a specifico fondamento della sua pretesa di riferire alla società le operazioni desunte dal conto corrente intestato all’ A., è da ritenersi espressamente dedotta dinanzi al giudice di merito con le difese dell’Ufficio, così come è dato desumere dall’affermazione contenuta in sentenza, secondo la quale, premesso che “tutte le operazioni bancarie poste in essere dal sig. A.” sarebbero state “contestate come attività afferenti la società Argenterie San Giorgio s.r.l.” sarebbe stato “non comprensibile e non sostenuto da alcuna base logica l’attribuzione di quanto contestato alla sola società ricorrente”.

Orbene, quelle operazioni, così come dedotte dall’Ufficio, non risultano adeguatamente valutate dal giudice, giacchè se effettivamente verificatesi e definitivamente accertate (come sembrerebbe logico per aver il giudice di merito escluso la riferibilità “solo” alla Argenterie San Giorgio s.r.l. di “tutte” le operazioni desunte dal conto corrente, con ciò evidentemente riconoscendo però la riferibilità di alcune di quelle operazioni alla predetta società) indubitabilmente idonee ad integrare anche sotto il profilo sostanziale il collegamento, sotto il profilo soggettivo già rilevato, tra conto corrente e società verificata.

Per altro verso palesemente eccessiva e del tutto illogica, almeno nei termini in cui risulta rappresentata, è la rilevanza dallo stesso giudice tributario attribuita alla circostanza costituita dal fatto che l’ A. “all’epoca dei fatti addebitati risultava socio della s.r.l. Silver Danil”: esser semplicemente soci di una società di capitali non autorizza a presumere l’effettuazione di pagamenti per conto della stessa, ed è pertanto assolutamente irrilevante ai fini della riferibilità alla Argenterie San Giorgio delle operazioni desumibili dal conto corrente intestato al suo procuratore.

Ed ancora insufficiente ed illogica, anche perchè assolutamente generica, è la motivazione laddove evidenzia che: “la documentazione prodotta dalla società deve considerarsi, seppure non completamente esaustiva, sufficiente a mettere in serio dubbio la fondatezza delle contestazioni addebitate”. Ed infatti, il riferimento a documentazione prodotta dalla società, nella misura in cui possa ritenersi correlata a dati desunti dal conto corrente, sembrerebbe rafforzare quel collegamento tra conto corrente e società che, una volta accertato, avrebbe dovuto determinare l’inversione dell’onere della prova, e conseguentemente l’onere per la società di documentare analiticamente che i singoli movimenti fossero stati conteggiati nella propria dichiarazione annuale, o fossero ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione o non riferibili alla società. In proposito consolidata è la giurisprudenza di legittimità nel senso che: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, ed al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa), non è sufficiente al contribuente dimostrare genericamente di avere fatto affluire su un proprio conto corrente bancario, nell’esercizio della propria professione, somme affidategli da terzi in amministrazione, ma è necessario che egli fornisca la prova analitica della inerenza alla sua attività di maneggio di denaro altrui di ogni singola movimentazione del conto (v. Cass. 13.6.2007, n. 13819).Laddove, viceversa, quel collegamento si dovesse ritenere di poter escludere, l’affermazione risulterebbe priva di rilievo, e forse anche di significato alcuno.

Nei limiti innanzi chiariti il ricorso in esame merita pertanto accoglimento, così che la sentenza impugnata deve essere cassata con conseguente rimessione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della C.T.R. del Lazio affinchè questa valuti adeguatamente l’esistenza di operazioni effettivamente eseguite sul conto corrente dell’ A. per conto della Argenterie San Giorgio s.r.l. e il rilievo di detta circostanza, unitamente al collegamento soggettivo esistente tra l’intestatario del conto corrente e la società, ai fini dell’applicabilità della presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 7 con inversione a carico della società dell’onere della prova in ordine all’avvenuta contabilizzazione delle singole operazioni risultanti dal conto corrente in questione ai fini della determinazione della propria base imponibile, o alla loro estraneità alla produzione del reddito della contribuente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, dinanzi ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2011

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