Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4384 del 20/02/2020
Cassazione civile sez. I, 20/02/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4384
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliera –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
O.M., alias B.J.O., nata in (OMISSIS),
domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di
Cassazione, rappresentata e difesa nel presente giudizio, giusta
procura alle liti in calce al ricorso, dall’avv. Maria Grazia
Stigliano che dichiara volersi avvalere della p.e.c.
avvmariagraziastigliano.puntopec.it o in caso di mal funzionamento
della p.e.c. del fax n. 099/7363436;
– ricorrente –
nei confronti di:
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso, ex lege dall’Avvocatura Generale dello
Stato, e domiciliato presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi
12, p.e.c. ags.rm.mailcert.avvocaturastato.it, fax n. 06/96514000;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 4635/2018 del Tribunale di Bari, emesso e
depositato in data 6.6.2018, R.G. n. 15906/2018;
sentita la relazione in Camera di consiglio del Cons. Dott. Sergio
Gorjan.
Fatto
CONSIDERATO IN FATTO
O.M. – cittadina della (OMISSIS) – ebbe a proporre ricorso avverso la decisione della Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Bari, che aveva rigettato la sua istanza di ottenimento della protezione internazionale od umanitaria poichè non concorrevano i requisiti previsti dalla legge in ordine a tutti gli istituti.
Secondo la narrazione della richiedente asilo i familiari del marito la accusarono di averne causato la morte nonostante questi avesse perso la vita in un incidente stradale. Le imposero di sottoporsi a un rito macabro e umiliante (bere l’acqua con cui era stato lavato il corpo del marito dopo la sua morte) per dimostrare la sua innocenza (come avviene spesso in queste occasioni in Nigeria) e al suo rifiuto le tolsero i quattro figli impedendo a questi ultimi di frequentarla. Recatasi in Libia fu sottoposta a una condizione di schiavitù cui riuscì a sottrarsi per venire in Italia.
Il Tribunale di Bari adito ebbe a rigettare il ricorso poichè ritenne che non ricorrevano i presupposti di legge per il riconoscimento degli istituti propri della protezione internazionale nè per concedere la protezione umanitaria.
La O. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto del Collegio barese fondato su due motivi.
Il Ministero degli Interni ritualmente evocato s’è costituito per resistere con controricorso.
E’ intervenuto il P.G. nella persona del Dott. Ignazio Patrone, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto dall’ O. è fondato e va accolto. Con il primo mezzo d’impugnazione la ricorrente deduce violazione del disposto D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 3 e 7 e difetto di motivazione in quanto il Tribunale aveva omesso di considerare quanto da ella narrato a giustificazione del suo allontanarsi dalla Nigeria e circa la situazione di sostanziale servitù, in cui s’era trovata una volta abbandonata la sua famiglia, una situazione che era connotata da numerosi indici, indicati nei rapporti di varie organizzazioni internazionali, quali connotati della tratta di donne a fini di sfruttamento sessuale.
Con la seconda doglianza la richiedente asilo denunzia nullità ex art. 132 c.p.c., n. 4, della decisione impugnata per omessa ovvero apparente motivazione, poichè nel provvedimento impugnato non v’è cenno alcuno al rapporto dell’Organizzazione anti – tratta evocato nel ricorso ed alle vicende narrate. dalla ricorrente circa gli abusi e violenze subite in Nigeria e Libia.
Le due censure possono esser esaminate congiuntamente, posto che attingono la medesima questione da profili diversi, e sono fondate.
Difatti il Tribunale di Bari nel decreto impugnato non fa il minimo cenno nè al racconto fatto dalla richiedente asilo nè ai rapporti redatti dalle Organizzazioni internazionali e dalla Autorità Antitratta nazionale, fonti che pure sono state indicate dalla difesa a sostegno della veridicità del narrato della richiedente asilo.
Il Collegio barese s’è limitato a rilevare, astrattamente, che la situazione della richiedente asilo non rientra nelle ipotesi assistite dal diritto allo status di rifugiata, nè in quelle proprie della protezione sussidiaria, nonostante la prospettazione di una specifica situazione di abuso da parte della famiglia del marito, successivamente deceduto, che trova una eco nel rapporto EASO citato dalla difesa, e prospetta una reale condizione di soggezione alla tratta della richiedente asilo.
Inoltre il Tribunale nemmeno ha argomentato per escludere la credibilità del narrato della richiedente asilo e quindi per escludere l’esistenza delle questioni correlate agli abusi familiari in patria ed alla tratta per espatriare verso la Libia, prima, e verso l’Italia, poi.
In definitiva esiste un vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione e per violazione delle norme a disciplina degli istituti di protezione internazionale.
Di conseguenza il decreto impugnato va cassato e la causa rimessa al Tribunale di Bari, in altra composizione, che procederà a nuovo esame della controversia.
A sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3, la disciplina delle spese di questo giudizio di legittimità va rimessa al Giudice di rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Bari in diversa composizione, che anche disciplinerà le spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza di Camera di consiglio, il 26 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020