Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4381 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. I, 18/02/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 18/02/2021), n.4381

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14052/2019 proposto da:

K.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via S. Cansacchi,

11, presso lo studio dell’avvocato Valentina Caporilli,

rappresentato e difeso dall’avvocato Erica Scalco;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO ope legis domiciliato in Roma, Via Dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2/2019 della Corte d’appello di Roma,

depositata il 03/01/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il processo trae origine dalla domanda di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ovvero della c.d. protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, proposta da K.M., cittadino del (OMISSIS);

– a sostegno della domanda egli ha allegato di essere fuggito dal suo paese per il timore di essere ucciso dai talebani a seguito della scoperta che egli aveva denunciato un imminente attentato ad una moschea e che, in ragione di ciò, avevano già ucciso i suoi parenti;

– l’adito Tribunale di Roma, avanti al quale aveva impugnato il diniego deciso dalla Commissione territoriale, ha respinto la domanda e la decisione è stata appellata dal ricorrente;

– la Corte d’appello di Roma ha confermato l’insussistenza dei requisiti per il riconoscimento delle forme di protezione richieste;

– la cassazione della sentenza di secondo grado è chiesta dal cittadino straniero con ricorso affidato a quattro motivi cui resiste con controricorso l’intimato Ministero dell’interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per avere la sentenza impugnata affermato la non credibilità e genericità della narrazione del ricorrente anche sulla scorta della valutazione negativa della sua mancata comparizione innanzi al giudice di prime cure, trascurando di attivare il dovere di cooperazione nell’accertamento dei fatti rilevanti così come desumibili dalle dichiarazioni rese dal richiedente alla commissione territoriale;

– la censura è infondata;

– la corte territoriale ha, infatti, fondato il giudizio di inattendibilità ed inverosimiglianza della dichiarazioni rese dal richiedente asilo sulla scorta dei criteri fissati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, per l’esame della domanda di protezione internazionale;

– la corte d’appello ha, infatti, riscontrato, come già evidenziato dal giudice di prime cure, la presenza nel racconto del richiedente di riferimenti generici, privi di alcun riscontro probatorio;

– inoltre, la corte aveva ritenuto inverosimile la circostanza riferita dal richiedente di essere scappato dopo la strage dei suoi parenti ad (OMISSIS) presso uno zio materno dove aveva atteso due mesi prima di fuggire nonostante i talebani fossero sulle sue tracce;

– a fronte di ciò il riferimento alla ripetuta mancata comparizione del ricorrente al fine di chiarire in sede di audizione personale, le ragioni della fuga e le condizioni personali di vita che l’avevano giustificata appare coerente applicazione della criterio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a), essendosi la corte limitata a dare atto che il richiedente non aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, fondata su dichiarazioni incoerenti e non plausibili;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per non avere la corte territoriale acquisito informazioni aggiornate sulla situazione socio-politica del Pakistan, nonchè in ordine alla effettività della protezione fornita dalle forze dell’ordine in relazione alle minacce poste in essere dai talebani;

– la censura è inammissibile;

– la corte ha motivato il diniego della protezione sussidiaria rispetto alle fattispecie sub a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in ragione dell’inattendibilità ed inverosimiglianza della narrazione e a fronte di ciò la censura appare generica ed illogica;

– il ricorrente non ha neppure prospettato l’esistenza di fonti informative dai quali attingere ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, notizie sulla vicenda allegata;

– inoltre la doglianza appare distonica rispetto al racconto stesso del richiedente che ha dichiarato di avere spontaneamente denunciato l’attacco programmato dai talebani, sul presupposto implicito di vivere in un contesto istituzionale che assicura un minimo di rispetto e tutela della legalità;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nonchè del medesimo D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per non avere la corte territoriale acquisito informazioni aggiornate sulla situazione socio-politica del Pakistan anche in relazione agli scontri etnici e religiosi e per non avere acquisito le informazioni ricavabili dal sito del Ministero degli affari esteri e dai rapporti di organizzazioni nazionali;

– assume il ricorrente che ove tale dovere di cooperazione fosse stato attivato con specifico riferimento alla regione di provenienza e cioè il Punjab, sarebbe stato possibile accertare l’esistenza di una minaccia grave derivante da possibili discriminazioni per motivi etnici e religiosi ai sensi del cit. D.Lgs. n. 251, art. 14, lett. c);

– la censura è inammissibile perchè non attinge la ratio decidendi del rigetto, incentrata sull’esclusione di una situazione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto interno od internazionale, conclusione formulata all’esito dell’acquisizione delle fonti aggiornate e specificamente indicate (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata), ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; al contempo la censura prospetta la questione della possibile discriminazione etnica o religiosa che, tuttavia, risulta nuova;

– con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 8, comma 3, per non avere la corte territoriale adeguatamente valutato la condizione di vulnerabilità soggettiva allegata dal ricorrente con riferimento alle condizioni socio-economiche e politiche del paese, alla gravità delle minacce ricevute nonchè al grado di inserimento realizzato nel paese di accoglienza;

– ad avviso del ricorrente la corte d’appello non avrebbe effettuato l’effettiva comparazione di tutti gli elementi allegati a sostegno della domanda;

– la doglianza è inammissibile per la genericità con cui è formulata dal momento che il ricorrente non indica quale specifica vulnerabilità soggettiva avrebbe allegato nè in quale preciso atto ciò sarebbe avvenuto, con la conseguenza che non appare smentita la statuizione sfavorevole contenuta nella sentenza impugnata;

– l’esito sfavorevole di tutti i motivi giustifica il rigetto del ricorso;

– in applicazione del principio di soccombenza il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente e liquidate in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

 

 

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