Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4381 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 10/02/2022, (ud. 14/01/2022, dep. 10/02/2022), n.4381

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4198-2021 proposto da:

T.B., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA

della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MICHELE DELL’AGNESE;

– ricorrente –

contro

R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MACHIAVELLI 50,

presso lo studio dell’avvocato MICHELINA STEFANIA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORENZA CRACCO;

– controricorrenti –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI VENEZIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3028/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 23/11/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio tra T.B. e R.L., la Corte di appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe indicata, ha rigettato l’appello proposto da T., confermando l’ammontare dell’assegno di mantenimento per il figlio minore A. (nato il (OMISSIS)) posto a carico del padre R. in Euro 550,00, stabilito in primo grado, e respingendo la richiesta di assegno divorzile avanzata da T..

B. ha proposto ricorso per cassazione con sei mezzi, corroborato da memoria; R. ha replicato con controricorso e memoria.

Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per carenza di motivazione o motivazione apparente: violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 c.p.c.. La ricorrente si duole che la sentenza impugnata sia stata motivata non solo in maniera stringata, ma anche mediante la mera conferma della decisione di primo grado, senza che alcuna delle censure mosse con i motivi di appello sia stata esaminata.

1.2. Il motivo è inammissibile.

1.3. In tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti (Cass. n. 23834 del 25/09/2019; Cass. n. 11738 del 08/06/2016; cfr. Cass. n. 342 del 13/01/2021); ciò, nel caso di specie, è del tutto assente, attesa la mancata trascrizione, sia pure per stralcio, dei motivi di appello che non sarebbero stati esaminati, nonché delle circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata, con evidenti negative ricadute sull’ammissibilità del motivo. Va rilevato, inoltre, che la sentenza, sia pure in maniera stringata, motiva sul rigetto dell’appello, anche se la decisione non è condivisibile per le ragioni di seguito illustrate.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia l’illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 337-quinques c.c., e della L. n. 898 del 1970, artt. 6 e 9, in tema di assegno di mantenimento per il figlio. La ricorrente si duole della violazione delle norme che consentono di chiedere la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e quelle relative alla misura ed alla modalità della contribuzione al mantenimento e si duole che la Corte di appello non abbia tenuto conto dei documenti dalla stessa allegati in grado di appello per comprovare l’aggravamento delle condizioni sanitarie, psicologiche e scolastiche del figlio.

2.2. Con il terzo motivo si denuncia l’illegittimità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla dedotta insufficiente motivazione del provvedimento che aveva stabilito il quantum dell’assegno di mantenimento in favore del figlio. La ricorrente si duole che la Corte di appello non abbia preso in considerazione la documentazione allegata per comprovare l’aggravarsi delle condizioni sanitarie del figlio, tali da comportare un maggior impegno accuditivo, destinato a ripercuotersi sulla capacità reddituale e lavorativa della madre, in ragione del quale aveva chiesto anche l’incremento dell’assegno di mantenimento per il figlio.

2.3. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 337 ter c.c., e degli artt. 112,115 e 116 c.p.c.. La ricorrente si duole che la misura dell’assegno di mantenimento per il figlio sia stata determinata senza che ne siano state illustrate le ragioni in relazione ai criteri indicati dall’art. 337 ter c.c..

2.4. I motivi secondo, terzo e quarto, da esaminare congiuntamente perché strettamente avvinti, sono fondati.

2.5. Invero, in considerazione delle esigenze e delle finalità pubblicistiche di tutela degli interessi morali e materiali della prole, che sono sottratte all’iniziativa e alla disponibilità delle parti, è fatto sempre salvo il potere del giudice di adottare d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli, ivi compresi quelli di attribuzione e determinazione del quantum del contributo di mantenimento da porre a carico del genitore non affidatario (cfr. Cass. n. 270 del 2004; Cass. n. 6312 del 1999).

E’ orientamento consolidato e condivisibile di questa Corte di legittimità, e si intende pertanto assicurarvi continuità, quello secondo cui la L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 9, così come, in precedenza l’art. 155 c.c., comma 7, ed ora l’art. 337-ter c.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 154 del 2013), in materia di separazione e divorzio, disponendo che i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli e al contributo per il loro mantenimento possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l’assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d’ufficio dal giudice, opera una deroga alle regole generali sull’onere della prova, attribuendo al giudice poteri istruttori di ufficio per finalità di natura pubblicistica, con la conseguenza che le domande delle parti non possono essere respinte in relazione al profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano e che i provvedimenti da emettere, da parte del giudice, devono essere ancorati ad una “adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei genitori e delle esigenze di vita dei figli esperibile anche di ufficio” (Cass. n. 27391 del 2005; Cass. n. 21178 del 2018).

La Suprema Corte, del resto, ha avuto pure modo di chiarire che la L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 9, come prima l’art. 155 c.c., comma 7, in materia di separazione, ed ora l’art. 337-ter c.c., disponendo che i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli e al contributo per il loro mantenimento “possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l’assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d’ufficio dal giudice”, opera una deroga alle regole generali sull’onere della prova, attribuendo al giudice poteri istruttori di ufficio per finalità di natura pubblicistica, con la conseguenza che le domande delle parti non possono essere respinte sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano e che i provvedimenti da emettere devono essere ancorati ad una adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei genitori e delle esigenze di vita dei figli esperibile anche di ufficio (cfr. Cass. n. 27391 del 2005; Cass. n. 6087 del 1996). Invero, “In tema di accertamento della capacità economica dei genitori, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli minori in sede di divorzio, alle risultanze delle dichiarazioni fiscali dei redditi dev’essere attribuito valore solo indiziario, il giudice disponendo di ampio potere istruttorio giustificato dalla finalità pubblicistica della materia, che gli consente di ancorare le sue determinazioni ad adeguata verifica delle condizioni patrimoniali delle parti e delle esigenze di vita dei figli, prescindendo dalla prova addotta dalla parte istante ed attingendo a tutti i dati comunque facenti parte del bagaglio istruttorio.” (Cass. n. 3905 del 2011) e tali principi si applicano anche nel caso del figlio maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente.

Pertanto, a tali fini, è stata affermata la legittimità dell’acquisizione, da parte della corte d’appello, di una relazione investigativa sulle condizioni reddituali di una parte, prodotta per la prima volta insieme con la comparsa conclusionale del secondo grado del giudizio “poiché la tutela degli interessi morali e materiali della prole è sottratta all’iniziativa ed alla disponibilità delle parti, ed è sempre riconosciuto al giudice il potere di adottare d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli, e di esercitare, in deroga alle regole generali sull’onere della prova, i poteri istruttori officiosi necessari alla conoscenza della condizione economica e reddituale delle parti.” (Cass. n. 21178 del 2018).

Ne consegue che la documentazione prodotta in sede di gravame dalla madre avrebbe potuto e dovuto essere esaminata in applicazione degli enunciati principi e valutata all’uopo, non potendo ravvisarsi la maturazione di alcun effetto preclusivo, anche ove tale documentazione dovesse apparire come relativa a fatti o documenti venuti in essere già nel corso del primo grado, come sostiene il controricorrente: era, infatti, onere della Corte di appello, che non ne fa alcuna menzione, valutare se dagli stessi documenti si potesse desumere la sussistenza o meno di condizioni idonee ad avere una diretta ricaduta sull’impegno accuditivo richiesto per le condizioni psico/fisiche del figlio e sull’adeguatezza dell’assegno di mantenimento già disposto – sempre attraverso la comparazione delle rispettive capacità economiche e reddituali dei genitori, ed a ciò dovrà procedere in sede di rinvio.

Quanto ai criteri, attraverso i quali va quantificato l’assegno di mantenimento, va osservato che ” L’obbligo di mantenimento del minore da parte del genitore non collocatario deve far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento correlato a quello economico e sociale della famiglia di modo che si possa valutare il tenore di vita corrispondente a quello goduto in precedenza.” (Cass. n. 16739 del 2020; cfr. anche Cass. n. 17089 del 2013) e, inoltre, che “Nel giudizio di divorzio, al fine di quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore per il mantenimento dei figli economicamente non autosufficienti, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto.” (Cass. n. 19299 del 2020).

Nel caso in esame, la Corte lagunare ha considerato, peraltro, molto sommariamente, solo le contrapposte condizioni economiche dei genitori e non gli altri elementi indicati nei principi teste’ ricordati.

La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio.

Alla Corte di Venezia è demandato un rinnovato esame, conformato al principio in base al quale l’art. 337-ter c.c., cui rinvia la L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 2 – nell’imporre a ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti, nonché, appunto, le risorse economiche di entrambi i genitori.

3.1. Con il quinto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 337-octies c.c., dell’art. 315-bisc.c., comma 3, dell’art. 336 bisc.p.c., dell’art. 38 disp. att. c.p.c., e della normativa internazionale in materia di ascolto del minore, lamentando il mancato ascolto dello stesso, sia in primo che in secondo grado di giudizio.

3.2. Il quinto motivo è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, atteso il raggiungimento della maggiore età da parte del figlio.

4.1. Con il sesto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, in merito al mancato riconoscimento del diritto all’assegno divorzile.

4.2. Il motivo è fondato.

4.3. Invero, la sentenza di merito ignora il tenore dei principi di cui si è fatta portatrice questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287/2018.

Per siffatta pronuncia, dalle cui ragionevoli affermazioni di principio, che nel tempo hanno trovato reiterata applicazione e puntualizzazione in altre pronunzie di questa Corte (ex multis: Cass. n. 1882 del 2019; Cass. n. 21234 del 2019; Cass. n. 5603 del 2020, Cass. n. 35710 del 2021), non si ha motivo di discostarsi, si ha che: “l’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, connotato dalla funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, ai fini del suo riconoscimento e quindi della sua quantificazione richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, rilevando all’indicato fine, in modo equiordinato, i requisiti richiesti dalla norma che costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione che sulla quantificazione dell’assegno”.

Ne consegue che il giudizio sul riconoscimento dell’assegno divorzile va effettuato ed espresso all’esito di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto, oltre che dei compiti di cura della prole, nel presente caso segnalati come particolarmente impegnativi.

L’assegno di divorzio ha infatti una funzione non soltanto assistenziale, destinata a valere là dove la situazione economico-patrimoniale di uno degli ex coniugi non gli garantisce l’autosufficienza, ma anche riequilibratrice o compensativo-perequativa destinata a rilevare nel caso in cui l’ex coniuge richiedente, nell’ambito di un rapporto matrimoniale durato per lungo tempo, pur versando all’esito del divorzio in situazione di autosufficienza economica, si trovi rispetto all’altro in condizioni economico patrimoniali deteriori, per aver rinunciato, in funzione della contribuzione ai bisogni della famiglia, ad occasioni in senso lato reddituali, attuali o potenziali, ed abbia in tal modo sopportato un sacrificio economico, a favore del coniuge, che meriti un intervento, come è stato detto, correttivo guidato dalla finalità compensativo-perequativo (in termini: Cass. n. 21228 del 2019; più recentemente: Cass. n. 22499 del 2021).

Posto l’indicato principio, il giudizio formulato dalla Corte distrettuale, al fine di apprezzare la eventuale sperequata condizione economico-patrimoniale degli ex coniugi, sull’adeguatezza del reddito della richiedente fondato sul mero richiamo alla dichiarazione di autosufficienza economica resa dalla stessa in sede di pattuizioni concordate di separazione, non vale ad integrare i caratteri dell’effettività che devono trovare riscontro all’attualità e non in forza di un giudizio ipotetico, le cui premesse, quanto alla loro verificabilità, restino incerte, e dovrà essere rinnovato, in applicazione degli anzidetti principi e criteri, in sede di rinvio.

In materia di assegno divorzile, il giudizio sull’adeguatezza dei redditi degli ex coniugi – che nella sua negativa declinazione è integrativo del prerequisito della consistenza sperequata dei redditi al cui accertamento consegue l’operatività del meccanismo compensativo-retributivo per la quantificazione dell’indicata posta – deve essere improntato ai criteri dell’effettività e concretezza non potendo esso risolversi in un ragionamento ipotetico, i cui esiti vengano ricalcati su pregressi contesti individuali ed economici non più rispondenti, all’attualità, a quello di riferimento.

Come già osservato da questa Corte in materia di separazione personale tra coniugi e correlato mantenimento, con principio che ben può trovare applicazione in materia di assegno divorzile, “l’attitudine al lavoro proficuo dei coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche” (Cass. n. 5817 del 2018; Cass. n. 6427 del 2016).

5. In conclusione, inammissibili i motivi primo e quinto, vanno accolti tutti gli altri motivi di ricorso; la sentenza impugnata va cassata nei limiti dell’accoglimento con rinvio alla Corte di appello di Venezia per il riesame e la statuizione anche sulle spese.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.

– Inammissibili i motivi primo e quinto, accoglie i motivi secondo, terzo, quarto e sesto di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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