Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4381 del 07/03/2016
Civile Sent. Sez. 3 Num. 4381 Anno 2016
Presidente: AMBROSIO ANNAMARIA
Relatore: ROSSETTI MARCO
SENTENZA
sul ricorso 13682-2013 proposto da:
MONDELLO
PIETRO
MNDPTR52P28F158W,
MURRA
LUCIA
MRRLCU48T48D8830, MONDELLO GIOVANNA MNDGNN79T69D883Z,
elettivamente domiciliati in ROMA, V. PAOLO EMILIO
26, presso lo studio dell’avvocato LOREDANA BOVE,
rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO
TERRULI giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti contro
MINISTERO DIFESA 80425650589, in persona del Ministro
in carica pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA,
1
Data pubblicazione: 07/03/2016
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE
DELLO STATO, da cui è rappresentato e difeso per
legge;
– controricorrente
–
avverso la sentenza n. 2016/2013 della CORTE
1816/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/11/2015 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito l’Avvocato FRANCESCO TERRULI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per raccoglimento del ricorso;
2
D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/04/2013, R.G.N.
R.G.N. 13682/13
Udienza del 27 novembre
2015
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il 26.9.2001 Fabio Mondello, all’epoca militare volontario in ferma breve,
morì a causa di una leucemia.
Nel 2003 Pietro Mondello, Lucia Murra e Giovanna Mondello (tutti prossimi
congiunti del defunto) convennero dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero
somministrati al militare durante il servizio, e chiedendo la condanna
dell’amministrazione al risarcimento dei danni rispettivamente patiti in
conseguenza della morte del familiare.
2. Il Tribunale di Roma con sentenza 1.10.2008 n. 19077 accolse la
domanda, sul presupposto che la colpa del personale del Ministero della
Difesa consistette non nell’avere somministrato i vaccini, ma nel non avere
saputo tempestivamente interpretare i sintomi presentati dal giovane
militare, così impedendo una tempestiva cura della malattia.
3. La Corte d’appello di Roma, adita dal Ministero, riformò la decisione di
primo grado e rigettò la domanda, ritenendo:
– ) che gli attori, mutando il fatto costitutivo della pretesa, avessero
compiuto una consentita emendati° libelli;
– ) che tuttavia non vi fosse prova della negligenza dei medici militari, in
quanto non era possibile stabilire la data esatta di insorgenza della leucemia,
e ciò in quanto era divenuto illeggibile il primo esame emocromo eseguito
dal militare dopo l’insorgenza dei sintomi sospetti (ovvero l’epistassi).
4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da Pietro
Mondello, Lucia Murra e Giovanna Mondello, con ricorso fondato su un
motivo ed illustrato da memoria.
Ha resistito il Ministero con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il motivo unico di ricorso.
1.1. Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che la sentenza
impugnata sarebbe affetta sia dalla violazione degli artt. 111 cost. e 116
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della Difesa, assumendo che la malattia era stata causata dai vaccini
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c.p.c.; sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai
sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo modificato dall’art. 54 d.l. 22
giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134).
Si deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere
la colpa dei medici militari, perché:
passi di essa in cui si affermava che i medici militari avevano sottovalutato i
sintomi presentati dal giovane;
– ) ha erroneamente ritenuto mancante la prova della negligenza dei medici
militari sol perché il referto emocromo (il primo dopo la comparsa dei
sintomi) era illeggibile, il che non bastava ad escludere la colpa
dell’amministrazione
1.2. Il motivo è inammissibile.
La sentenza d’appello impugnata in questa sede è stata depositata dopo
1’11.9.2012. Al presente giudizio, di conseguenza, si applica il nuovo testo
dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Le Sezioni Unite di questa Corte, nel chiarire il senso della nuova norma,
hanno stabilito che per effetto della riforma “é denunciabile in cassazione
solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della
motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata,
a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si
esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
“sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014,
Rv. 629830).
Nella motivazione della sentenza appena ricordata, inoltre, si precisa che
“l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso
esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico
rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice,
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M’
– ) ha valutato atomisticamente le prove e la c.t.u., senza tenere conto dei
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ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie
astrattamente rilevanti”.
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha rigettato la domanda con un
argomentare così riassumibile:
(a) in tanto poteva affermarsi una colpa omissiva dei sanitari, in quanto
correttamente i sintomi presentati da Fabio Mondello;
(b) questi sanitari tuttavia prescrissero a Fabio Mondello l’esecuzione d’un
esame emocromocitometrico (c.d. “emocronno”), il cui referto non era però
leggibile al momento del giudizio;
(c) solo se quell’esame avesse dato esito allarmante si sarebbe potuta
affermare la colpa per imperizia dei sanitari. Se, infatti, l’esito dell’esame
fosse stato regolare, non si sarebbe potuto ascrivere ai sanitari di non avere
curato una malattia la cui esistenza non poteva essere sospettata (tale è il
senso, chiaro, della motivazione di cui a p. 10 della sentenza impugnata).
Gli odierni ricorrenti deducono che, con questa motivazione, la Corte
d’appello non avrebbe adeguatamente valutato né la consulenza tecnica
d’ufficio nel suo complesso, né gli altri elementi indiziari comunque acquisiti
nel corso dell’istruttoria: e tuttavia, con questa censura, essi deducono non
già l’omesso esame d’un “fatto decisivo”, nel senso sopra indicato, ma
chiedono a questa Corte un vero e proprio controllo sul modo in cui il
giudice di merito ha valutato le prove. Richiesta, per quanto detto, non più
consentita dal novellato art. 360, n. 5, c.p.c..
1.3. Non ritiene questa Corte che le superiori considerazioni possono essere
vinte dalle argomentazioni svolte dal Procuratore Generale.
Secondo quest’ultimo, la sentenza presenterebbe i vizi denunciati in quanto:
(a)
era astrattamente configurabile un errore medico, perché il militare
presentava sintomi di malessere, ed i sanitari non lo sottoposero ad un
esame emocromo, “che avrebbe rivelato la leucemia”.
(b) la Corte d’appello dunque doveva stabilire non quale fosse stato l’esito
dell’esame emocromo, ma solo se fosse stato eseguito per tempo;
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(
fosse stato provato che questi avessero trascurato di interpretare
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(c) in ogni caso, la Corte d’appello avrebbe dovuto indagare sul perché il
referto dell’esame emocromo fosse illeggibile, e quali altre pratiche
diagnostiche fossero state eseguite;
(d) la riforma dell’art. 360 n. 5 c.p.c. non asta all’accoglimento del ricorso,
perché questo lamenta anche la violazione dell’art. 116 c.p.c., e comunque
“assolutamente
incongrua”.
Nessuno dei quattro rilievi che precedono, tuttavia, appare decisivo.
Il primo ed il secondo di essi non considerano che in qualsiasi giudizio di
responsabilità professionale l’accertamento del nesso di causa impone di
accertare che, se fosse stata tenuta dal preteso responsabile la condotta
alternativa che si assume corretta, e che non venne tenuta, il danno non si
sarebbe verificato.
Nel caso di specie la Corte d’appello doveva dunque stabilire cosa sarebbe
accaduto se i sanitari, una volta esaminato il referto dell’esame emocromo,
avessero rilevato che questo era tranquillizzante. Logica impone di ritenere
che, in tal caso, i sanitari non avrebbero potuto sospettare l’esistenza d’una
leucemia; e sempre la logica impone di ritenere che, se il referto emocromo
non evidenziava valori alterati a maggio del 2001, a fortiori non avrebbe
potuto evidenziarli qualora fosse stato eseguito nei mesi precedenti.
Nell’economia della decisione impugnata, pertanto, non poteva la Corte
d’appello limitarsi ad accertare soltanto – come richiesto dal Procuratore
Generale – se l’esame emocromo fu richiesto tempestivamente o meno.
Il terzo rilievo del P.G. (“la Corte d’appello avrebbe dovuto accertare quali
altri esami sarebbero stati possibili”) è estraneo al contenuto effettivo del
ricorso, e non può essere preso in esame.
11 quarto rilievo del P.G. (“il ricorso è ammissibile perché prospetta la
violazione dell’art. 116 c.p.c.”)
urta contro il più che consolidato
orientamento di questa Corte, alla stregua del quale nel ricorso per
cassazione la censura che investa la valutazione delle prove poteva al
massimo essere fatta valere ai sensi dei numero 5 (vecchio testo) dell’art.
360 c.p.c., ma mai come violazione dell’art. 116 c.p.c. (ex multis, Sez. 3,
Sentenza n. 15107 del 17/06/2013, Rv. 626907).
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la motivazione della sentenza impugnata sarebbe
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2. Le spese.
Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico dei ricorrenti,
ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
P.q.m.
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna Pietro Mondello, Lucia Murra e Giovanna Mondello, in solido,
alla rifusione in favore di Ministero della Difesa delle spese del presente
grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 5.200, di cui 200 per
spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2,
d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1 quater,
d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di Pietro Mondello, Lucia
Murra e Giovanna Mondello, in solido, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 27 novembre 2015.
la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.: