Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4380 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. I, 18/02/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 18/02/2021), n.4380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12217/2019 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Fonteiana 142,

presso lo studio dell’avvocato Fabio Valerini, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), ex lege domiciliato in Roma, Via

Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6272/2018 della Corte d’appello di Roma,

depositata il 08/10/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il processo trae origine dalla domanda di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ovvero della c.d. protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, proposta da C.S., cittadino del (OMISSIS);

– a sostegno della domanda egli ha allegato di essere omosessuale, di essere stato arrestato ma di essere riuscito a fuggire e di non voler rientrare nel suo paese perchè sono state approvate leggi contro gli omosessuali;

– l’adito Tribunale di Roma, avanti al quale aveva presentato ricorso avverso il diniego della Commissione territoriale, ha respinto la domanda e la decisione è stata appellata dal ricorrente avanti la Corte d’appello di Roma che ha confermato l’insussistenza dei requisiti per il riconoscimento delle forme di protezione richieste;

– la cassazione della sentenza di secondo grado è chiesta dal cittadino straniero con ricorso affidato a 3 motivi, cui resiste con controricorso l’intimato Ministero dell’interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento per omesso esercizio del dovere di cooperazione istruttoria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1-bis e della giurisprudenza di questa Corte, là dove la corte d’appello non ha esercitato relazione alla dedotto orientamento omosessuale;

– la censura è inammissibile perchè non si confronta con la ratio decidendi;

– la corte d’appello ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni del ricorrente in ordine alla condizione di omosessualità e tale conclusione incide direttamente sul dovere del giudice di attivarsi in ordine all’accertamento dei fatti costitutivi allegati dal richiedente asilo;

-in particolare, questa corte ha avuto modo di chiarire che il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando fondamento rispettivamente la deroga al principio dispositivo e l’attenuazione dell’onere della prova che contraddistinguono la materia della protezione internazionale, nel positivo superamento del vaglio di credibilità condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 (Cass. 11096/2019; id. 15794/2019);

– ciò posto, poichè il ricorrente non censura il giudizio di inattendibilità che secondo la corte giustificava il diniego della domanda di protezione fondata sull’omosessualità, come già anticipato, la censura è inammissibile;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), nonchè la nullità della sentenza per omesso esercizio del dovere di cooperazione istruttoria, contestando l’erroneità del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, per non avere la corte territoriale riconosciuto la sussistenza di conflitto armato in Gambia;

– la censura è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., poichè la corte territoriale ha esaminato la specifica situazione del Gambia ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);

– come interpretato in conformità alla fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36; Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12;) – e, sulla scorta del richiamo ad una fonte informativa qualificata ed aggiornata (ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8), specificamente indicata e costituito dal rapporto UNHCR aggiornato al momento della decisione, ha escluso la sussistenza in Gambia della minaccia grave ed individuale derivante da una situazione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto interno o internazionale;

– a fronte di ciò il ricorrente non ha indicato fonti informative diverse da quelle consultate dalla corte territoriale che, al momento della decisione, giustificassero una conclusione diversa rispetto a quella impugnata;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, l’omesso esame di fatti decisivi nonchè l’omessa motivazione riguardo a mezzi di prova presenti negli atti del processo e l’omesso esercizio del dovere di cooperazione istruttoria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27 comma 1-bis, per non avere la corte d’appello riconosciuto la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, attese le ragioni di vulnerabilità legate alla salute psico-fisica, asseritamente compromessa dalle ferite derivanti dalle violenze patite in Libia e certificate nella documentazione allegata in appello con la comparsa conclusionale, nonchè l’allegata integrazione sociale nel paese di accoglienza attestata dalle fotografie che ritraggono il ricorrente al lavorio nei campi di Foggia;

– la censura è inammissibile per diverse ragioni;

– con riguardo alla censura rivolta alla statuizione della corte territoriale ove si afferma che non rileva il solo fatto che lo straniero versi in non buone condizioni di salute, occorrendo verificare che la condizione denunciata sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani subìta dal richiedente nel paese di provenienza, essa è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c. (cfr. Cass. Sez. Un. 7155/2017) poichè il giudice d’appello ha applicato il costante orientamento interpretativo enunciato su tale questione e il ricorrente non ha indicato efficaci motivi di censura;

– è, infatti, costantemente ritenuto che il giudice sia chiamato a valutare, ai fini del riconoscimento della specifica vulnerabilità connessa a ragioni di salute, la gravità delle stesse e la possibilità per il richiedente, in caso di rimpatrio forzato, di essere posto in condizione di usufruire del godimento dei diritti fondamentali in relazione sia alle condizioni di vita del Paese di provenienza, sia alle limitazioni derivanti dalla malattia da cui è affetto (cfr. Cass. 26641/2016; id. 18541/2019; id. 33187/2019; id. 13257/2020; id. 17118/2020);

– in tale protettiva ermeneutica la valutazione di non gravità delle patologie allegate e certificate (di carattere psichiatrico e/o connesse alla dipendenza da sostanze stupefacenti ed alcooliche) ed il giudizio di non riconducibilità a episodi o dinamiche legate al paese di provenienza o di transito (essendo giunto in Italia due anni prima dell’insorgenza della patologia lamentata) appaiono coerenti con il principio sopra richiamato e rendono, nel merito, insindacabile in sede di legittimità la conclusione del giudice del merito;

– la censura è altresì inammissibile ex art. 345 c.p.c., comma 3, in riferimento alla documentazione asseritamente prodotta in allegazione alla comparsa conclusionale in appello, dal momento che lo stesso ricorrente riconosce trattarsi di certificazione riguardante le lesioni patite in Libia, e, dunque, in epoca anteriore al giudizio di appello e che la parte ben avrebbe potuto tempestivamente produrre;

– infine, la censura è inammissibile riguardo alla mancata valorizzazione, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, dell’integrazione del ricorrente in Italia, posto che anche su questo argomento la corte territoriale si è espressa escludendola in ragione delle fattispecie penali che hanno contrassegnato il soggiorno del ricorrente nel paese di accoglienza;

– infine, la corte ha escluso, poi, correttamente che la sola prospettata condizione di integrazione sul territorio nazionale sia decisiva ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per condizioni umanitarie (conformemente a Cass. 13573/2020; id. 19520/2020);

– l’inammissibilità di tutti i motivi giustifica l’inammissibilità del ricorso;

– in applicazione del principio di soccombenza parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente, nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente nella misura di Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

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