Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 438 del 13/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 13/01/2021, (ud. 13/10/2020, dep. 13/01/2021), n.438

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27511-2016 proposto da:

C.M., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROSSI,

rappresentati e difesi dall’avvocato LEONELLO AZZARINI;

– ricorrenti –

e contro

TELECOM ITALIA S.P.A., MP FACILITY S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 382/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 23/05/2016, R.G.N. 100/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ROSSANA NANNI, per delega verbale avvocato LEONELLO

AZZARINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Palermo aveva respinto, per rilevata insussistenza di interesse ad agire, il ricorso dei ricorrenti epigrafati, lavoratori assunti dalla s.p.a. Telecom tra il 1970 ed il 1993, inteso ad ottenere la declaratoria di nullità e/o inefficacia del contratto di cessione del ramo d’azienda “Manutenzioni” intervenuto tra Telecom e la s.p.a. M.P. Facility, sul rilievo che l’operazione di cessione integrava una risoluzione dei contratti priva di giusta causa e giustificato motivo e che la Telecom doveva essere condannata alla reintegrazione dei lavoratori nei rispettivi posti di lavoro.

2. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza n. 704/2010, confermava l’impugnata decisione, ritenendo in motivazione che era sussistente l’interesse dei lavoratori, negato dal primo giudice, pure essendo le pretese infondate nel merito.

3. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24888/2014, annullava la pronuncia d’appello rilevando che il giudice non poteva negare le prove documentali o storico – dichiarative ammissibili e rilevanti ritualmente chieste e coltivate dalla parti.

4. Riassunto dai lavoratori il giudizio, la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 23.5.2016, confermava la sentenza del Giudice del Lavoro del Tribunale della stessa sede.

5. Premesso che si era formato il giudicato sulla statuizione di secondo grado sulla sussistenza dell’interesse ad agire dei ricorrenti, la Corte distrettuale rilevava che l’accordo sull’esternalizzazione dei servizi era intervenuto con le 00. SS., sicchè i lavoratori non erano legittimati a chiederne l’annullamento, e che il supposto demansionamento operato ai danni dei lavoratori anteriormente al transito in M.P. Facility, società cessionaria del ramo d’azienda della struttura Manutenzioni, articolazione della Facility Management, era rimasto indimostrato, non avendo i testi riferito in ordine a tutte le attività svolte dai ricorrenti prima e dopo il passaggio, nè avendo indicato i profili professionali di ciascuno di essi.

6. Per quanto riguardava la natura giuridica dell’operazione, richiamata la giurisprudenza nazionale e comunitaria, la Corte rilevava che l’operazione realizzata configurava un trasferimento di ramo d’azienda, in quanto dal punto di vista oggettivo, la struttura Manutenzioni aveva assunto prima del trasferimento una sua precisa autonomia funzionale nell’ambito della generale organizzazione Telecom e, dal punto di vista soggettivo, i contraenti avevano bene individuato i beni da trasferire come unitario compendio connesso con l’attività economica trasferita, non essendo ostativo rispetto alla complessiva operazione che il servizio di manutenzione degli immobili fosse espletato in favore della committente Telecom, rimasta proprietaria degli stessi.

7. Neanche sussisteva la fattispecie interpositoria vietata prospettata, essendovi una reale organizzazione delle prestazioni di lavoro da parte dell’appaltatore finalizzata al raggiungimento di un risultato produttivo autonomo, indice di un appalto genuino.

8. Di tale decisione domandano la cassazione i lavoratori, affidando l’impugnazione a sette motivi. Le società sonno rimaste intimate.

9. I ricorrenti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, i ricorrenti denunziano omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine al lamentato demansionamento a seguito della cessione dell’asserito ramo di azienda, confermato dalla successiva inoperosità cui erano stati costretti, sostenendo che non era rilevante accertare le mansioni che essi svolgevano prima del trasferimento, per essere pacifica la loro inoperosità dopo l’avvenuta cessione, e contestando la mancata valutazione di alcune deposizioni testimoniali.

2. Con il secondo motivo, lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. sul malgoverno dell’onere della prova, che gravava per intero sul datore di lavoro sia quanto al demansionamento, che quanto alla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2112 c.c.

3. Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., rilevando come non sussistessero i requisiti richiesti dalla giurisprudenza per l’applicazione di tale norma al caso in esame.

4. Con il quarto motivo, i lavoratori ascrivono alla decisione impugnata violazione dell’art. 116 c.p.c., adducendo che le prove dovevano essere valutate secondo “prudente apprezzamento” sempre con riferimento al contenuto di quelle testimoniali acquisite.

5. Il quinto motivo attiene alla deduzione di avvenuta violazione dell’art. 1406 c.c. per essere stato applicato l’art. 2112 c.c., in luogo dell’art. 1406 c.c., osservando i ricorrenti che si sia realizzata una mera esternalizzazione del servizio di manutenzione degli immobili per la cui validità era necessario il consenso dei lavoratori, in quanto dalla lettura del presunto contratto di cessione emergeva che si trattava di mera cessione di manodopera.

6. Violazione dell’art. 350 c.p.c., comma 2, per non essere stata dichiarata la contumacia di M.P. Facility è dedotta con il sesto motivo, assumendosi che neanche nelle precedenti fasi giudiziali sia stata verificata l’integrità del contraddittorio.

7. Con il settimo motivo, si lamenta violazione dell’art. 161 c.p.c., nonchè dell’art. 132 c.p.c., deducendosi la nullità della sentenza per avere la stessa mancato di rilevare il vizio connesso alla totale pretermissione in giudizio della s.p.a. M.P. Facility.

8. In ordine al primo motivo, è sufficiente osservare che la censura si basa su una prospettazione dei fatti meramente contrappositiva rispetto a quella contenuta nella sentenza impugnata. Ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto il profilo indicato, non può essere considerata idonea la mera critica del convincimento cui il giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una interpretazione difforme da quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (cfr., Cass. 13568/2018, con relativi richiami giurisprudenziali).

8.1. Va poi rilevata l’inconfigurabilità della denunciata omissione di esame di alcun fatto storico, tanto meno decisivo, per la pluralità di fatti censurati (di palese negazione ex se del requisito di decisività: (Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13625), al di fuori del paradigma devolutivo e deduttivo del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), avendo la doglianza piuttosto il carattere di una (inammissibile) contestazione della valutazione probatoria della Corte di merito.

9. Quanto alla censura articolata nel secondo motivo, deve escludersi che si sia verificata inversione dell’onere probatorio, in quanto le prove acquisite non sono state ritenute inidonee a supportare la tesi dei lavoratori. Non vige alcun principio secondo il quale la dimostrazione del buon fondamento del diritto vantato dipenda unicamente dalle prove prodotte dal soggetto gravato dal relativo onere, e non possa, altresì, desumersi da quelle espletate, o comunque acquisite, ad istanza ed iniziativa della controparte, atteso che vige, nel nostro ordinamento processuale, in uno con il principio dispositivo, quello cd. “di acquisizione probatoria”, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute (e qual che sia la parte ad iniziativa della quale sono state raggiunte), concorrono, tutte ed indistintamente, alla formazione del libero convincimento del giudice, senza che la relativa provenienza possa condizionare tale convincimento in un senso o nell’altro, e senza che possa, conseguentemente, escludersi la utilizzabilità di un prova fornita da una parte per trarne argomenti favorevoli alla controparte (cfr., Cass. 16.6.1998 n. 5980, Cass. 4.4.2000 n. 4133, Cass. 16.6.2000 n. 8195, Cass. 25.9.2000 n. 12649, Cass. 7.8.2002 n. 11911, Cass. 21.3.2003 n. 4126). Nella specie non è prospettabile, per quanto detto, alcuna inversione dell’onere probatorio e quest’ultimo, ricadente sul datore di lavoro (cfr. Cass. 4601/2015) ai fini della individuazione degli elementi di cui alla fattispecie del trasferimento del ramo d’azienda, nella specie deve ritenersi essere stato assolto.

10. La sentenza impugnata si sottrae alla censura mossa nel terzo motivo e risulta rispettosa dei principi affermati da questa Corte di Cassazione, che ha, in materia di trasferimento di parte (c.d. ramo) di azienda, precisato che tanto la normativa comunitaria (direttive CE nn. 98/50 e 2001/23) quanto la legislazione nazionale (art. 2112 c.c., comma 5, sostituito dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 32) perseguono il fine di evitare che il trasferimento si trasformi in semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività produttiva, osservando che la citata direttiva del 1998 richiede, pertanto, che il ramo d’azienda oggetto del trasferimento costituisca un’entità economica con propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale o accessoria, e, analogamente, l’art. 2112 c.c., comma 5, si riferisce alla “parte d’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”.

10.1. Deve, quindi, trattarsi di un’entità economica organizzata in modo stabile e non destinata all’esecuzione di una sola opera (cfr. Corte di Giustizia CE, sentenza 24 gennaio 2002, C-51/00), ovvero di un’organizzazione quale legame funzionale che renda le attività dei lavoratori interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati.

10.2. Ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 applicabile “ratione temporis”, costituisce elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente, situazione ravvisabile (quando non occorrano particolari mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica) anche rispetto ad un complesso stabile organizzato di persone, addirittura in via esclusiva, purchè dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili (cfr., tra le altre, Cass. 8.11.2018 n. 28593).

10.3. I principi richiamati sono stati pienamente osservati dalla Corte distrettuale, che ha precisato come, a fronte della complessiva operazione rispondente alle caratteristiche richiamate, non assumesse alcun rilievo la circostanza che il servizio manutenzione immobili effettuato dalla società cessionaria fosse effettuato anche con riguardo a beni della Telecom.

11. Va disattesa la doglianza prospettata nel quarto motivo, in quanto, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma ove lo stesso abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione, ciò che non si è verificato nel caso considerato.

12. In relazione ai rilievi contenuti nel quinto motivo, deve osservarsi che nel corpo del motivo si trascrive il testo del contratto di cessione, ciò che rileva in termini di specificità della censura, ma non si indica in che termini ne sia avvenuta la valutazione e l’esame da parte della Corte distrettuale, e peraltro la lettura del contratto non è contestata con riferimento alla violazione dei criteri ermeneutici asseritamente disattesi. Ed invero, è principio reiteratamente ribadito da questa Core quello alla cui stregua “la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, ha l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (cfr. Cass. 27.6.2018 n. 16987, Cass. 28.11.2017 n. 28319, Cass. 15.11.2013 n. 25728).

13. Quanto ai rilievi di cui al sesto e settimo motivo, da trattarsi congiuntamente per la connessione delle questioni ch ne costituiscono l’oggetto, deve osservarsi che non è necessaria la presenza del cessionario con riguardo all’azione volta a far valere la illegittimità di un trasferimento d’azienda, essendo la evocazione in giudizio della cessionaria una mera denuntiatio litis.

13.1. Ove un lavoratore, agendo in giudizio, affermi la persistenza del rapporto di lavoro in capo al cedente il ramo d’azienda e neghi il rapporto con il cessionario, non sussiste litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c., in quanto in siffatta evenienza il lavoratore non deduce in giudizio un rapporto plurisoggettivo nè una situazione di contitolarità, ma tende a conseguire un’utilità rivolgendosi ad un solo soggetto, ossia a quello che reputa essere il vero e unico datore di lavoro; in tal caso, l’accertamento negativo dell’altro rapporto avviene soltanto in via incidentale, senza efficacia di giudicato e senza lesione alcuna dei diritti del cessionario (v. Cass. 20422/2012; Cass. 8.6.09 n. 13171).

14. Sulla base delle svolte considerazioni, il ricorso va complessivamente respinto.

15. Nulla va statuito in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, essendo le società rimaste intimate.

16. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R. n., ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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