Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4379 del 22/02/2018

Cassazione civile, sez. VI, 22/02/2018, (ud. 07/11/2017, dep.22/02/2018),  n. 4379

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Ambasciata italiana ad Accra negò il visto per ricongiungimento familiare alle minori K.B.A. e P., richiesto dal padre delle stesse, sig. K.B.J.A., cittadino ganese regolarmente soggiornante in Italia.

2. Questi si rivolse quindi al Tribunale di Verona, che respinse il ricorso.

3. Il ricorrente propose appello osservando che le carenze documentali addotte dall’Amministrazione a giustificazione del diniego, sull’assunto dell’incertezza della data di nascita delle ragazze e dello stesso rapporto di filiazione, dovevano ritenersi superate. Infatti, quanto alla prima figlia, A., era stato addotto un contrasto fra le date di nascita indicate nel passaporto ((OMISSIS)) e in un certificato scolastico ((OMISSIS)), contrasto superato dalla dichiarazione giurata resa dalla madre della ragazza, moglie del richiedente, davanti all’Alta Corte di Giustizia di Kumasi, in cui si affermava che la stessa era nata il (OMISSIS); quanto alla seconda figlia ( P.), vi era un errore nel suo vecchio passaporto recante la data di nascita del (OMISSIS), errore rettificato nel nuovo passaporto, recante invece la data di nascita del (OMISSIS). Il ricorrente confermò inoltre di aver rifiutato di sottoporsi alla prova del DNA, richiestagli dall’Amministrazione, per ragioni economiche.

L’Amministrazione degli Esteri resistette al gravame insistendo sull’insufficienza dei documenti prodotti, osservando che nel Ghana non esiste un registro dello stato civile con indicazioni analitiche, ma solo dichiarazioni sostitutive rilasciate da parenti “ora per allora” in caso di problemi di accertamento di stato, ribadendo, infine, che gli interessati si erano sempre rifiutati di sottoporsi alla prova del DNA.

La Corte d’appello di Venezia ha accolto il gravame richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’autorità italiana non può negare valore probatorio alla documentazione proveniente dalle competenti autorità straniere – in particolare ganesi – attestante lo status filiationis, perchè detto status va accertato, ai sensi della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 33, comma 3, in base alla legge nazionale del figlio al momento della nascita, salvo il limite dell’ordine pubblico, di cui all’art. 16, legge cit., non violato dall’ordinamento di stato civile del Ghana (Cass. 367/2003, 14545/2003, 15234/2013).

4. Il Ministero degli Affari Esteri ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, illustrati anche con memoria.

L’intimato non ha resistito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i primi due motivi di ricorso, denunciando rispettivamente omissione di pronuncia e vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello non si sia pronunciata sull’eccezione di inammissibilità del gravame per violazione del termine breve di trenta giorni dalla comunicazione, a cura della cancelleria, dell’ordinanza del Tribunale appellata, eseguita a mezzo posta elettronica certificata il 2 ottobre 2013, mentre l’appello, proposto con ricorso e non con citazione, era stato notificato soltanto il successivo 3 dicembre.

1.1. La complessiva censura è infondata perchè l’Amministrazione ricorrente non ha fornito la prova – indispensabile ai fini del computo del termine breve per appellare – della dedotta comunicazione dell’ordinanza del Tribunale al sig. B. alla data indicata del 2 ottobre 2013: la comunicazione a mezzo pec in tale data, prodotta dall’Amministrazione ricorrente, è quella ricevuta dalla Avvocatura dello Stato, non già dall’avvocato dell’appellante, mentre la comunicazione a quest’ultimo a mezzo fax, rinvenuta nel fascicolo di ufficio, contiene il semplice avviso di deposito dell’ordinanza del Tribunale, non il testo integrale della stessa.

2. Con il terzo motivo si denuncia violazione di norme di diritto. Si ribadisce il dovere dell’autorità consolare di accertare la sussistenza in concreto dei presupposti per il rilascio del visto per ricongiungimento familiare e si lamenta che la Corte d’appello non abbia tenuto conto delle deduzioni dell’Amministrazione relative alla inattendibilità e contraddittorietà della documentazione prodotta dal sig. K.B. presso l’Ambasciata italiana ad Accra ed abbia ammesso la produzione di ulteriore documentazione, da parte del richiedente, in sede giudiziaria, senza considerare che l’accertamento dei presupposti per il rilascio del visto rientra nella discrezionalità dell’Amministrazione stessa, non sindacabile dal giudice.

2.1. Neanche questo motivo può essere accolto.

Che l’autorità consolare abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza in concreto dei presupposti per il rilascio del visto per ricongiungimento familiare è fuor di dubbio. Va tuttavia ribadito, richiamando la giurisprudenza di questa Corte già richiamata dalla Corte d’appello, che in tale accertamento essa non può negare in via di principio valore probatorio alla documentazione ufficiale dello status jiliationis proveniente dalle competenti autorità del paese di nascita dell’interessato, ancorchè – come pure è stato precisato dalla giurisprudenza di questa Corte (v. in particolare Cass. 367/2003, cit., 15580/2006, 15234/2013, cit.) – tale documentazione non possa dirsi assistita da fede privilegiata. Spetta pertanto all’Amministrazione – e quindi al giudice in caso di contenzioso – valutare, in funzione dell’accertamento dei presupposti di cui trattasi, sia detta documentazione che gli eventuali elementi contrari alle sue risultanze.

Va inoltre precisato che non è esatto che tale accertamento rientri nella discrezionalità dell’Amministrazione, sì che al giudice non sia consentito di sindacarlo. Vero è, invece, che nessuna discrezionalità amministrativa è in proposito individuabile, posto che l’accertamento riguarda un diritto soggettivo, non a caso rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario, il cui compito è verificare la sussistenza del diritto piuttosto che la regolarità del provvedimento dell’Amministrazione. E tale verifica va eseguita sulla scorta di tutte le prove che, secondo le regole generali, le parti hanno diritto di produrre in giudizio.

Per il resto, il motivo di ricorso attiene all’accertamento in fatto della sussistenza dei presupposti per il rilascio del visto, accertamento riservato al giudice del merito e non censurabile in sede di legittimità se non per il vizio di omesso esame di fatti decisivi, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, che nella specie non è stato dedotto.

3. Il ricorso va in conclusione respinto.

In mancanza di attività difensiva della parte intimata non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Poichè dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2018

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