Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4377 del 21/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/02/2017,  n. 4377

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso per regolamento di competenza 6015/2016 proposto da:

MELALBI SRL, in persona dell’a.d., quale società incorporante la

Madelf 88, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112,

presso lo studio dell’avvocato PIETRO MAGNO, che la rappresenta e

difende giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCO POPOLARE – Società cooperativa, quale avente causa della Banca

Italease spa, in persona del suo procuratore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 157, presso lo studio

dell’avvocato ENRICO DE CRESCENZO, che la rappresenta e difende

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

sulle conclusioni scritte del P.G. in persona del Dott. GIOVANNI

GIACALONE che chiede che codesta S.C., in camera di consiglio,

respinga il ricorso, dichiari la competenza del Tribunale di Milano

ed emetta le pronunzie conseguenti per legge;

avverso l’ordinanza n. R.G. 34834/2015 del TRIBUNALE di ROMA,

depositata il 15/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPINA

LUCIANA BARRECA.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

La società MELALBI srl, quale società incorporante la Madelf 88 srl, propone istanza di regolamento di competenza avverso l’ordinanza in data 15 febbraio 2016, con la quale il Tribunale di Roma (nella causa introdotta dalla medesima società nei confronti del Banco Popolare soc. coop., quale avente causa dalla Banca Italease srl, per l’accertamento della nullità, od illegittimità, di alcune clausole inserite in dodici contratti di leasing immobiliare stipulati dalla Madelf 88 srl con Banca Italease srl e per la rideterminazione del debito complessivo relativo a ciascuno dei contratti, con condanna della convenuta alla restituzione dell’indebito) ha accolto l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla convenuta in forza dell’art. 20 dei contratti; ha dichiarato la propria incompetenza territoriale ed ha indicato quale giudice competente il Tribunale di Milano, concedendo termine di tre mesi per la riassunzione della causa e compensando le spese tra le parti.

La società cooperativa intimata ha depositato scrittura difensiva.

La società istante ha depositato memoria.

Il Pubblico Ministero ha depositato, in data 3 novembre 2016, conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è basato su due motivi, articolati in più censure.

1.-Col primo è denunciata la nullità della clausola derogatoria della competenza per territorio per violazione “del principio di parità processuale tra le parti (art. 111 Cost., comma 2)”.

La ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe errato per avere ritenuto valida la clausola di cui all’art. 20, di tutti i contratti conclusi tra le parti, del seguente letterale tenore: “FORO CONVENZIONALE. Salvi i casi in cui sia prevista dalla legge la competenza inderogabile di un diverso foro, per la risoluzione di tutte le controversie derivanti dal presente contratto è competente, ove venga convenuta la Concedente, esclusivamente il Foro di Milano. Ove l’azione sia promossa dalla Concedente, è competente, oltre al Foro di Milano, qualsiasi altro foro normalmente previsto dalla legge”.

A detta della ricorrente, la deroga della competenza territoriale dovrebbe valere in egual modo per tutte le parti del contratto (ai sensi degli artt. 6 e 28 c.p.c.), mentre nel caso di specie si ha che la banca ha riservato a sè il vantaggio della scelta del foro, accollando, ove abbia veste di convenuta, all’altra parte l’onere del foro preferito dalla banca medesima, con violazione del principio di parità processuale.

Aggiunge che il Tribunale non avrebbe verificato l’applicabilità al caso concreto del principio di diritto enunciato nel precedente di legittimità richiamato nell’ordinanza. Il caso in esame sarebbe peculiare, per la violazione anche dell’art. 1341 c.c., comma 1, e art. 1370 c.c., perchè la deroga è contenuta in una clausola che, secondo la ricorrente, non sarebbe stata posta in evidenza ed anzi sarebbe stata scritta “in carattere minuto”, tanto da risultare pressochè illeggibile, in un modulo predisposto dalla parte dominante.

1.1.- Il motivo è infondato sotto entrambi i profili.

Quanto al primo, il principio applicabile è quello sul quale si basa la decisione del Tribunale di Roma, secondo cui “La clausola contrattuale di deroga alla competenza territoriale può essere validamente pattuita sia a favore di entrambe le parti, sia a favore di una parte sola. In quest’ultimo caso la parte favorita ha la facoltà di introdurre la lite sia davanti al giudice indicato nel contratto sia dinanzi a quello che sarebbe competente secondo i criteri ordinari, mentre l’altra parte è obbligata a promuovere eventuali controversie dinanzi al giudice indicato nel contratto” (così Cass. ord. n. 9314/2008, seguita da Cass. ord. n. 15103/16).

Si tratta della clausola derogatoria della competenza c.d. asimmetrica, alla quale non si contrappone affatto il “principio della parità processuale” invocato dalla ricorrente. Questo attiene alle facoltà riconosciute alle parti nell’ambito e nello svolgimento del processo. La clausola in parola attiene invece all’individuazione del giudice competente per territorio, che è una facoltà riservata, a determinate condizioni, alle parti contraenti, per come è reso evidente dalle previsioni degli artt. 28 e 29 c.p.c.. Pertanto, oltre a quanto previsto in queste norme, gli unici principi rilevanti sono quelli che regolano la formazione della volontà contrattuale.

Non è affatto vero che, così come ritiene la ricorrente, richiamando l’art. 6 c.p.c., se il foro generale è identico per entrambe le parti, unico debba essere anche il foro convenzionale. L’ultimo inciso dell’art. 6 richiama infatti la derogabilità per accordo delle parti “nei casi previsti dalla legge”, quale è quello dell’art. 28 c.p.c..Tra i limiti, fissati sia da questa norma che dall’art. 29 c.p.c., non c’è quello dell’identità del foro convenzionale per entrambe le parti, invocato dalla ricorrente.

1.2.- Piuttosto, tra le norme che regolano la formazione della volontà contrattuale, viene in rilievo il disposto dell’art. 1341 c.c..

Quanto a quest’ultimo, fatto salvo quanto si dirà a proposito della specifica approvazione per iscritto, è altresì infondata la seconda censura della ricorrente in merito all’asserita “illeggibilità” della clausola.

Come osservano sia il pubblico ministero che la controricorrente – previo esame dettagliato del contenuto dei documenti in cui consistono i dodici contratti-, la clausola n. 20 non è affatto illeggibile nell’intestazione (“FORO CONVENZIONALE”) e nel contenuto; essa è stata inoltre estrapolata quanto al numero ed all’intestazione (riportata in maiuscolo) e, come si dirà, specificamente approvata per iscritto dal contraente per adesione; il richiamo delle singole clausole vessatorie (tra cui quella derogatoria della competenza) è infatti seguito dalla firma per espressa accettazione del locatario. Inoltre, non è affatto insignificante la circostanza che la clausola sia ripetuta identica in dodici contratti, tutti sottoscritti dalla stessa parte utilizzatrice, in quanto comporta una maggiore conoscibilità dell’identico contenuto da parte del sottoscrittore.

Il primo motivo va perciò rigettato.

2.- Col secondo motivo si denuncia la nullità della clausola anche per mancanza di specifica approvazione bilaterale (ai sensi dell’art. 1341 c.c., comma 2, e art. 1370 c.c., e degli artt. 6 e 28 c.p.c.). Secondo la ricorrente, si tratterebbe di condizione di contratti unilateralmente predisposti dalla banca per regolamentare una serie di rapporti, che non è stata approvata per iscritto ai sensi dell’art. 1341, comma secondo, cod. civ. da entrambe le parti e specificatamente, bensì con dichiarazione unilaterale (riportata alle pagine 8-10 del ricorso), cumulativa, di approvazione unitaria di ben ventuno clausole contrattuali, cioè di quasi tutte le clausole od articoli contenuti nel modulo, recante l’indicazione del titolo di ciascuna clausola, ma non del contenuto (nemmeno per sintesi).

2.1.- Il motivo è infondato sotto entrambi i profili.

In merito al secondo, concernente la specifica approvazione per iscritto, è sufficiente richiamare quanto appena detto a proposito della veste grafica dei dodici documenti di che trattasi e ribadire quindi i principi di diritto affermati da questa Corte a proposito dell’art. 1341 c.c., comma 2.

Rilevano, in particolare, i seguenti principi, su cui si basa il provvedimento impugnato:

– “L’espressa designazione convenzionale di un foro territoriale esclusivo, contenuta in un contratto bancario per adesione, presuppone una inequivoca e concorde volontà delle parti volta ad escludere la competenza degli altri fori previsti dalla legge ed ha natura di clausola vessatoria, sicchè va specificamente approvata per iscritto, dovendosi, a tal fine, ritenere sufficiente, quale indicazione specifica e idonea a suscitare l’attenzione del sottoscrittore, il richiamo al numero ovvero alla lettera che contraddistingue la clausola, senza necessità dell’integrale trascrizione della previsione contrattuale” (Cass. n. 15278/15);

– “Nel caso di condizioni generali di contratto, l’obbligo della specifica approvazione per iscritto a norma dell’art. 1341 c.c., della clausola vessatoria è rispettato anche nel caso di richiamo numerico a clausole, onerose e non, purchè non cumulativo, salvo che quest’ultimo non sia accompagnato da un’indicazione, benchè sommaria, del loro contenuto, ovvero che non sia prevista dalla legge una forma scritta per la valida stipula del contratto.” (Cass. ord. 22984/15).

Nel caso di specie, non ricorre nè l’una nè l’altra di tali ultime eventualità:

– il richiamo è cumulativo, ma è accompagnato dall’indicazione, oltre che del numero, anche del contenuto delle singole clausole, tale essendo l’indicazione del “titolo” (cfr., per l’idoneità del richiamo, anche sommario, del contenuto, Cass. ord. n. 5733/08 e n. 9492/12);

– non è prevista per legge la forma scritta del contratto.

Come rilevato da questa Corte nella motivazione dell’ordinanza n. 16087/15, richiamata dalla controricorrente e dal pubblico ministero perchè relativa a moduli di contratti di leasing predisposti dalla Banca Italease secondo uno schema identico a quello per cui è controversia, “l’elemento dirimente, ai fini della valutazione del rispetto del requisito formale richiesto dall’art. 1341 c.c., è l’adozione di una modalità di scrittura tale da garantire che al contraente debole non sfugga il tenore della clausola a lui sfavorevole, ancorchè inserita fra altre contestualmente richiamate. Ma, se così è, la lettura del contratto versato in atti – direttamente esaminato dal collegio, in applicazione del principio per cui la Corte di cassazione è in questi casi giudice anche del fatto – impone di escludere che il disposto del secondo comma dell’art. 1341 c.c., sia rimasto inosservato.

E’ sufficiente al riguardo considerare che tutte le clausole, compresa quella di deroga alla competenza territoriale, non sono richiamate in blocco, nè solo numericamente, ma con il loro titolo specifico, che ne individua l’oggetto, di talchè nessun rilievo può avere la controvertibilità del carattere vessatorio di alcune di esse, certo essendo che il sottoscrittore, anche a prescindere dalla sua qualità professionale, è stato posto in grado di valutarne il contenuto”.

La censura in esame va perciò respinta.

2.1.- Passando ad esaminare l’altra delle due censure del secondo motivo, è sufficiente rilevare che nessuna norma prevede che la sottoscrizione per adesione debba provenire da entrambe le parti, essendo principio generale quello per il quale la clausola contrattuale debba risultare sottoscritta da quello dei contraenti contro il quale viene fatta valere. Quindi la regola prevista dall’art. 1341 c.c., comma 2, è quella per la quale l’approvazione specifica delle clausole vessatorie ivi considerate debba provenire dal contraente diverso da colui che le abbia predisposte a proprio favore.

La giurisprudenza sull’insufficienza dell’unicità della firma “in calce al modulo” (cfr. Cass. n. 2719/05), richiamata dalla ricorrente non va intesa nel senso da questa sostenuto, bensì nel senso che non è ammessa una sola firma del contraente per adesione che si riferisca sia al contenuto del contratto che alle clausole vessatorie. Altra evidentemente è la fattispecie in esame, in cui vi sono due sottoscrizioni del contraente per adesione, una in calce al contenuto del contratto, unitamente alla sottoscrizione del contraente che l’ha predisposto, e l’altra in calce all’elencazione numerica e per titolo delle clausole vessatorie, preceduta dalla dichiarazione unilaterale di approvare specificamente queste clausole.

La clausola derogatoria della competenza per territorio, stabilita da uno dei contraenti a proprio favore, è valida quando l’altro contraente abbia sottoscritto la dichiarazione con la quale approva specificamente la clausola vessatoria, senza che sia necessaria anche la sottoscrizione di questa dichiarazione da parte del contraente che ha predisposto le condizioni generali di contratto.

Il ricorso va perciò rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 3 Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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