Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4377 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. I, 20/02/2020, (ud. 22/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4377

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36119/2018 proposto da:

I.F., elettivamente domiciliato in Roma, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato Paolo Alessandrini del Foro di Ascoli Piceno,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Per il Riconoscimento Della Protezione

Internazionale Ancona;

– intimato –

e

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 741/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 24/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/11/2019 da Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza n. 741/2018, ha respinto il gravame di I.F., cittadino della (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di L’Aquila che, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, aveva respinto la richiesta dello straniero di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.

In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che: nell’atto di appello, mancava alcun riferimento alla vicenda personale narrata in sede amministrativa ed il gravame concerneva esclusivamente il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ed umanitaria; in ogni caso, la vicenda narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per sfuggire ad alcuni parenti che lo accusavano, a suo dire falsamente, di avere ucciso uno zio) era del tutto generica ed inattendibile, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato; con riferimento ai presupposti di tutela di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a), b) e c) la regione di provenienza del richiedente, l'(OMISSIS) in (OMISSIS), non era interessata da violenza indiscriminata, come emergeva dai Report Amnesty International 2015-2016 e COI ed EASO 2017, essendo riscontrabili episodici fenomeni di criminalità comune e politica (e l’appellante non risultava avere mai svolto attività politica); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero nè rilevando una situazione di particolare integrazione in Italia (stante la mera disponibilità di un Hotel locale di assumerlo quale addetto alle cucine).

Avverso la suddetta pronuncia, I.F. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si costituisce al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 4 Direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, art. 10 Direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 in relazione alla ritenuta non credibilità delle dichiarazioni del ricorrente in merito alle sue vicende personali, dovendo comunque la Corte d’appello attivare ogni accertamento istruttorio officioso, anche attraverso nuova audizione del richiedente; 2) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, degli 3, 5, 7 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27 in relazione alla ritenuta insussistenza del rischio di subire un danno grave ai fini della chiesta protezione sussidiaria; 3) con il terzo motivo, in relazione al rigetto della richiesta di protezione umanitaria, sia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 4 Direttiva 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, art. 10 Direttiva 2013/32/UE, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1.

2. La prima censura è infondata.

Vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534), ma la Corte di merito ha attivato il potere di indagine nel senso indicato. Come chiarito da questa Corte (Cass. 29358/2018), una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente.

In relazione poi alla mancata audizione, questa Corte, nella recente pronuncia n. 5973/2019, ha affermato, in riferimento al giudizio di primo grado, che “nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, ancorchè non obbligatoria in base alla normativa vigente “ratione temporis” (anteriore alle modifiche intervenute con il D.L. n. 13 del 2017 conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017), all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero”.

Sempre questa Corte ha poi chiarito che, nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, quale quello in oggetto, “non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza” (Cass., Sez. VI-I, 07/02/2018, n. 3003; Cass. 14600/2019). Si tratta, per vero, di una scelta discrezionale che compete al giudice di appello operare in base alle concrete circostanze di causa ed alla necessità di vagliarle anche alla luce delle dichiarazioni rese in sede di audizione personale.

Nella specie, la Corte d’appello, sulla base della valutazione delle dichiarazioni rese dal richiedete in sede amministrativa e del contenuto dell’atto di appello, ho ritenuto non necessario procedere ad una nuova audizione.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

Il ricorrente si duole perchè la Corte d’appello non ha ritenuto integrare il rischio di danno grave, ai fini della protezione sussidiaria, sia le persecuzioni e minacce di morte subite da parte dei familiari dello zio deceduto sia la grave situazione di conflitto presente elle regioni meridionali della (OMISSIS).

Il ricorrente propone dunque una censura di violazione di legge per dissentire, nel merito, dalla valutazione espressa dalla Corte territoriale sulla base della consultazione di fonti internazionali della situazione generale del paese di provenienza, che ha condotto i giudici di L’Aquila ad escludere motivatamente, sulla base delle fonti ufficiali consultate ed indicate, sia la sussistenza di una minaccia grave ed individuale alla persona (stante l’inverosimiglianza del racconto) sia l’attuale sussistenza di una situazione di conflitto armato, di violenza indiscriminata, di insicurezza generalizzata o comunque di allarme sociale, nella regione dell'(OMISSIS), tale da giustificare la richiesta protezione sussidiaria.

4.11 terzo motivo è parimenti inammissibile, essendo prospettate generiche considerazioni circa i presupposti della protezione umanitaria e circa l’obbligo del giudice di attivare il dovere di cooperazione istruttoria. Nella specie, la Corte d’appello ha congruamente motivato circa l’assenza di una situazione di vulnerabilità soggettiva meritevole di tutela attraverso il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Nè vengono dedotte condizioni di vulnerabilità e di inserimento nel territorio italiano non esaminate in sede di merito.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità (cfr. Cass. 4455/2018) in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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