Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4377 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. I, 18/02/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 18/02/2021), n.4377

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4366/2019 proposto da:

K.N., elettivamente domiciliato in Roma, Via Giacinto Carini

58, presso lo studio dell’avvocato Ferdinando Tota, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 4204/2018 della Corte d’appello di Roma,

depositata il 19/06/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il processo trae origine dalla domanda di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ovvero della c.d. protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, proposta da K.N. cittadino del (OMISSIS);

– egli ha allegato di essere fuggito dal suo paese per il timore di essere arrestato in quanto suo fratello, al quale è stato già riconosciuto lo status di rifugiato, svolge attività politica a sostegno del partito di opposizione a quello al governo;

– l’adito Tribunale di Roma, avanti al quale il richiedente asilo ha impugnato il diniego emesso dalla Commissione territoriale, ha respinto la domanda e la decisione è stata appellata dal ricorrente avanti la corte d’appello capitolina che ha confermato l’insussistenza dei requisiti per il riconoscimento delle forme di protezione richieste;

– la cassazione della sentenza di secondo grado è chiesta dal cittadino straniero con ricorso affidato ad un unico motivo;

– non ha svolto attività difensiva l’intimato Ministero dell’interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo ed unico motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 22, art. 8, comma 2, del considerando n. 36 dell’art. 4, comma 4, della direttiva 2011/95/UE nonchè l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della sua condizione personale, sociale e di quella del fratello in quanto rilevante ai fini del riconoscimento della protezione domandata;

– in particolare il ricorrente censura la statuizione della corte territoriale laddove il diniego del riconoscimento dello status di rifugiato è stato fondato sull’assunto che la vicenda narrata afferisce alla posizione individuale di suo fratello con la conseguente esclusione che l’appellante, il quale non ha dedotto di svolgere attività politica, possa subire ripercussioni personali in relazione ai fatti narrati;

– la censura è fondata in relazione al profilo dell’omesso esame della persecuzione e del danno grave cui il ricorrente esposto quale familiare di oppositore politico;

– è stato, infatti, chiarito dalla Corte di giustizia (Seconda Sezione) nella sentenza del 4 ottobre 2018 emessa nella causa C-652/2016, punto n. 51, che l’art. 4 della direttiva 2011/95 – anche alla luce del considerando n. 36 della medesima direttiva, a mente del quale ” i familiari, semplicemente per la loro relazione con il rifugiato, sono di norma esposti ad atti di persecuzione al punto che tale circostanza potrebbe costituire la base per beneficiare dello status di rifugiato”, – deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito dell’esame su base individuale di una domanda di protezione internazionale, si deve tener conto delle minacce di persecuzione e di danni gravi incombenti su un familiare del richiedente, al fine di determinare se quest’ultimo, a causa del legame familiare con detta persona minacciata, sia a sua volta esposto a siffatte minacce;

– inoltre, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,22, art. 8, comma 2, in recepimento dell’art. 4, comma 4 della direttiva 20911/95, indica quale specifico criterio per l’esame dei fatti e delle circostanze allegate dal richiedente alla domanda di protezione internazionale, quello che il richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di persecuzioni o danni, precisando come ciò costituisca un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o del rischio effettivo di subire danni gravi, a meno che non siano individuabili motivi per ritenere che le persecuzioni o i danni gravi non si ripeteranno e purchè non sussistono gravi motivi umanitari che impediscono il ritorno nel paese di origine;

– ciò posto, deve rilevarsi che nella sentenza impugnata la Corte ha trascurato le circostanze allegate dal richiedente asilo circa il timore di essere perseguitato quale familiare di un oppositore politico, avendo, viceversa, ritenuto decisiva al fine di escludere la sussistenza della persecuzione rilevante ai fini della protezione internazionale la circostanza che il ricorrente aveva dichiarato di non svolgere attività politica;

– così argomentando la corte territoriale non ha tenuto conto del rischio cui il richiedente asilo ha allegato di essere esposto quale fratello di K.A., oppositore politico del partito al potere, cui peraltro risulta essere stato riconosciuto lo status di rifugiato, trascurando di approfondire, anche mediante l’attivazione della cooperazione officiosa, una volta ritenuto credibile il racconto, l’effettiva sussistenza ed attualità del rischio paventato rispetto alla situazione politica del Gambia al momento della decisione;

– allo stesso modo, la corte ha omesso di valutare la vicenda personale là dove il ricorrente ha sostenuto che dopo l’allontanamento del fratello A. la polizia si era recata a casa ed aveva prelevato il fratello maggiore E., di cui non avevano avuto più notizie, e che egli era stato, invece, condotto nella stazione di polizia, gli era stato sequestrato l’internet point che gestiva nonchè il passaporto ed era stato convocato avanti al giudice in relazione al rapporto di parentela con il fratello attivista politico, convocazione cui si era sottratto fuggendo dal Gambia;

– si tratta in definitiva, e diversamente da quanto sostenuto dalla corte territoriale, di circostanze rilevanti nell’ambito del criterio fissato nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4, sopra citato e potenzialmente decisive ai fini dell’apprezzamento della domanda, con la conseguenza che l’omesso esame configura una violazione dei criteri di valutazione della domanda di protezione internazionale così come interpretati nella giurisprudenza conformatrice della Corte di giustizia;

– va, dunque, accolto il ricorso e cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione affinchè riesamini la domanda di protezione formulata da K.N. alla luce del seguente principio di diritto: “nell’ambito dell’esame su base individuale di una domanda di protezione internazionale, si deve tener conto, ove ritenuto credibile, del riferimento alle minacce di persecuzione e di danni gravi per ragioni politiche incombenti su un familiare del richiedente, al fine di determinare, previa verifica dell’attualità della minaccia, se quest’ultimo, a causa del legame familiare con detta persona minacciata, sia a sua volta esposto a siffatte minacce, non potendosi escludere che il mancato svolgimento di attività politica da parte del richiedente escluda a priori la sussistenza nei suoi confronti della minaccia”;

– il giudice del rinvio provvederà anche alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

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