Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4376 del 22/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4376 Anno 2018
Presidente: SCALDAFERRI ANDREA
Relatore: FALABELLA MASSIMO

ORDINANZA
sul ricorso 2466-2017 proposto da:
ZAFARANA CARMELO, elettivamente domiciliato in ROI\L-, VIA
DEL QUIRINALE n.26, presso lo studio dell’avvocato GIULIANO
GRUNER, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA PEDULLA’;
– ricorrente contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. C.F. 00884060526,
in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DI SAN VALENTINO 21, presso lo
studio degli avvocati FRANCESCO CARBONETTI, e FABRIZIO
CARBON ETTI che unitamente e disgiuntamente la rappresentano e
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Data pubblicazione: 22/02/2018

difendono;

– controricorrente avverso la sentenza n. 115/2015 della CORTE D’APPELLO di
CATANIA, depositata il 19/01/2016;

partecipata del 20/12/2017 dal Consigliere Dott. MASSIMO
FALABELLA;
dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento
in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n.136/2016 del
Primo Presidente.

FATTI DI CAUSA
1. — Zafarana Carmelo conveniva la Banca Monte dei Paschi di
Siena s.p.a. innanzi al Tribunale di Catania. Deduceva di aver concluso il
contratto finanziario denominato 4 Y ou e rilevava che l’operazione,
presentata come piano di accumulo, gli era stata proposta presso la
propria abitazione. L’attore assumeva che l’operazione suddetta era
nulla o comunque annullabile per dolo. Oltre alla declaratoria di nullità
e, in subordine, all’annullamento del contratto, chiedeva la restituzione
delle somme versate in esecuzione del contratto impugnato (pari a C
14.468,50) e al risarcimento del danno.
La banca si costituiva e chiedeva il rigetto delle predette domande.
Il Tribunale di Catania respingeva le stesse e compensava le spese
di giudizio.
2.

Proposta impugnazione, la Corte di appello catanese, in data

19 gennaio 2016, la rigettava, condannando Zafarana al pagamento
delle spese processuali.
3. — Lo stesso Carmelo Zafarana ricorre ora per cassazione
facendo valere sei motivi di impugnazione illustrati da memoria. Resiste
2

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

con controricorso Banca Monte dei Paschi di Siena.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. — Con il primo motivo di ricorso si denuncia: nullità del
contratto e violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in

questa Corte, osserva come il contratto denominato

4 You non

realizzerebbe interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c..
Il motivo è inammissibile, in quanto non si confronta con la ratio
decidendi della sentenza impugnata.
Questa ha dichiarato inammissibile la censura, formulata
all’interno del secondo motivo di appello, che risultava incentrata sul
tema qui riproposto. Nell’occasione, la Corte di merito aveva osservato
che l’appellante si era limitato «a richiamare sentenze di merito, senza
tenere in considerazione (e dunque neppure censurare) la precisa
motivazione del primo giudice». La decisione si fonda, quindi, sul
principio, ben noto, per cui nell’atto di appello alla parte volitiva deve
sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, una parte
argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo
giudice (così Cass. 27 settembre 2016, n. 18932).
L’istante non contrasta tale statuizione di inammissibilità
nell’unico modo astrattamente possibile, vale a dire opponendo che,
contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, la censura
proposta in fase di gravame era rispettosa delle prescrizioni contenute
nell’art. 342 c.p.c.: ciò che avrebbe dovuto fare lamentando un error in
procedendo del giudice di appello.
2. — Il secondo mezzo lamenta la nullità del contratto per
mancata indicazione della facoltà di recesso riferita all’intera operazione
contrattuale, violazione e falsa applicazione di norme di diritto e,
segnatamente, dell’art. 30, comma 6 e 7 t.u.f. (d.lgs. n. 58/1998), oltre
3

particolare dell’art. 1322 c.c.. Il ricorrente, richiamando precedenti di

che degli artt. 183 e 346 c.p.c.. Sostiene il ricorrente che la Corte di
appello aveva rigettato l’eccezione

(rectius. la domanda) di nullità

ritenendo erroneamente assolto l’obbligo di comunicazione della facoltà
di recesso dell’investitore. Osserva che detta facoltà doveva essere

riferito a uno o a più contratti: in conseguenza, la relativa previsione
doveva «essere contenuta nel documento contrattuale riguardante
l’intera operazione». Posto che l’accertamento circa il luogo di
conclusione del contratto (se in sede o fuori sede) risultava essere
imprescindibile ai fini del vaglio della contestata nullità, doveva poi
essere ammessa, ad avviso del ricorrente, la prova testimoniale da lui
articolata e, segnatamente, il primo capitolo della stessa.
Il motivo è inammissibile.
Deve premettersi che la Corte di appello ha rilevato che Zafarana,
nella proposta da lui sottoscritta, aveva espressamente dichiarato di
essere stato informato, ai sensi dell’art. 30, comma 6, t.u.f., della propria
facoltà di recesso (pag. 5 della sentenza impugnata).
Ciò posto, si osserva che il ricorrente non chiarisce quando e in
che modo, nella precedente fase di merito, abbia sollevato la questione
relativa alla inidoneità — nei termini specificati in ricorso —
dell’informativa attinente alla facoltà di recesso contenuta nello scritto
menzionato dalla Corte di appello (la quale aveva confermato
l’accertamento del Tribunale secondo cui tale facoltà era riportata nella
seconda pagina della proposta contrattuale). Poiché nemmeno la
sentenza impugnata fa menzione del tema sollevato dall’istante, va fatta
applicazione del principio secondo cui ove con il ricorso per cassazione
siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza
impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una
statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di
4

riferita al piano nel suo complesso, non essendo ipotizzabile un recesso

allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma
anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di
indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto,
onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di

(Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675).
Il motivo è carente di autosufficienza anche perché non riproduce
il contenuto del documento in cui è esplicitata la facoltà di recesso:
carenza — questa — che non porrebbe comunque la Corte nella
condizione di apprezzare nel suo preciso significato la censura svolta.
Non si vede, infine, quale rilevanza potesse assumere, ai fini
dell’accertamento della denunciata nullità, la prova testimoniale della
stipula fuori sede del contratto: ciò che risulta decisivo è, infatti, il dato
della informativa circa il diritto di recesso di cui all’art. 30, comma 6,
t.u.f.: dato di cui i giudici di merito hanno tratto puntuale riscontro.
3. — Con il terzo motivo si lamenta: violazione degli obblighi di
diligenza, correttezza, trasparenza e buona fede ex artt. 21, 28, 29 t.u.f.,
26 ss. reg. Consob n. 11522/1998, 1175 e 1375 c.c.; violazione e falsa
applicazione degli artt. 1439 c.c., 183 e 356 c.p.c.. Assume il ricorrente
che il giudice di appello si sarebbe limitato a valutare il profilo formale
del contratto senza tener conto del comportamento illegittimo e
ingannevole dell’intetinediario, il quale ) oltre ad essere stato reticente,
aveva posto in atto veri e propri raggiri e indotto esso istante all’acquisto
del prodotto finanziario attraverso la prospettazione di dati difformi da
quelli reali. Nel motivo si fa pure menzione del conflitto di interessi
(avendo riguardo alla riferibilità alla stessa banca controricorrente delle
obbligazioni e dei fondi di investimento interessati all’operazione) e alla
non intelligibilità delle caratteristiche del prodotto.
Il motivo è inammissibile.
5

tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione

Esso non veicola il vizio di cui all’art. 360, n. 3 c.p.c., ma tende a
un sindacato incidente sugli accertamenti di fatto posti in atto nella
precorsa fase di merito. E’ noto, in proposito, che il vizio di violazione
di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento

implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa;
viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie
concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione
del giudice di merito la cui censura era possibile, in sede di legittimità,
attraverso il vizio di motivazione (per tutte: Cass. 30 dicembre 2015, n.
26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315).
Il tema del conflitto di interessi — che è pure prospettato senza
tener conto dei limiti della censura della violazione o falsa applicazione
di legge — non risulta peraltro nemmeno menzionato nella sentenza
impugnata, onde il ricorrente, come si 4.os sservato in precedenza, avrebbe
dovuto spiegare se e come esso fosse stato introdotto nei due gradi di
merito.
4. — Il quarto motivo denuncia la nullità della clausola di recesso
anticipato e la violazione degli artt. 1341 c.c., 33 e 36 cod. cons. (d.lgs. n.
206/2005). La censura investe l’affermazione della Corte di appello con
cui è stata esclusa la nullità della clausola sul recesso anticipato e si
risolve nel richiamo di due arresti della giurisprudenza di merito.
Per tale mezzo vale quanto rilevato con riferimento al primo,
giacché la Corte di appello, anche con riferimento al terzo motivo di
gravame (vertente sull’asserita nullità della clausola di recesso anticipato)
ha reso una pronuncia in rito, pronunciandosi nel senso
dell’inammissibilità della censura per difetto di specificità.
5. — Il quinto motivo prospetta la violazione dell’art. 1226 c.c. ed
è palesemente inammissibile, in quanto investe una questione (afferente
6

impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge,

la liquidazione del danno risarcibile) che è rimasta assorbita e su cui,
quindi, il giudice del gravame non ha pronunciato.
6. — 11 sesto mezzo, infine, lamenta la violazione degli artt. 91 e
92 c.p.c.. L’istante si duole del fatto che le spese di giudizio siano state

risultando sussistenti i presupposti per una statuizione in tal senso.
Anche tale motivo, come i precedenti, è inammissibile.
Le spese non potevano naturalmente essere riversate sulla banca,
che era risultata integralmente vittoriosa, né il ricorrente spiega perché
nella fattispecie non dovesse trovare applicazione il criterio di
soccombenza posto dall’art. 91 c.p.c.. Per il resto, va rammentato che il
sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti
violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a
carico della parte totalmente vittoriosa: esula pertanto dai limiti
commessi all’accertamento di legittimità e rientra nel potere
discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di
compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di
soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi
(Cass. 31 marzo 2017, n. 8421; Cass. 19 giugno 2013, n. 15317).
7. — Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
8. — Le spese del giudizio di legittimità sono regolate dal
principio di soccombenza.

P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al
pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate in C 2.000,00 per compensi, oltre alle
spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in C
100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. ’13 comma 1 quater del
7

poste a suo carico, e non a carico della banca o comunque compensate,

d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso.

Civile, in data 20 dicembre 2017.

Il Presidente

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 Sezione

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