Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4374 del 23/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 23/02/2011), n.4374

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26514/2006 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA VIA ANAPO 29,

presso lo studio dell’avvocato DI GRAVIO Dario, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 119/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 07/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/12/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 7/7/2005 la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia respingeva il gravame interposto dalla contribuente sig.ra C.C. nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Varese di rigetto delle riunite opposizioni dalla medesima spiegate in relazione ad avviso di liquidazione a titolo di INVIM e sanzioni emesso dall’Ufficio del registro con riferimento a compravendita immobiliare del 1990.

Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello la C. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico complesso motivo.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va anzitutto dichiarata l’inammissibilità del controricorso, sostanziandosi esso nella mera “riserva di integrare le difese, non appena si disporrà degli atti di causa” e nella mera allegazione secondo cui “il ricorso non pare fondato e se ne chiede la reiezione”, senza che in merito alle censure mosse nel ricorso risulti invero svolta alcuna argomentazione dal controricorrente, che non ha d’altro canto nemmeno preso parte alla discussione della causa alla pubblica udienza.

Con unico complesso motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 17, L. n. 241 del 1990, art. 3, L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che la richiesta fatta di volersi avvalere della L. n. 154 del 1988, art. 12, ha valenza esclusivamente con riferimento dell’imposta di registro, e non anche dell’INVIM, in relazione alla quale il notaio rogante ha correttamente fatto coincidere il valore finale con quello iniziale, atteso che l’immobile, acquistato nel 1990, non ha subito modifiche nel periodo 18/7/1990 – 31/12/1992, essendo stata la stessa concessione edilizia emessa solo in data 15/12/1993, sicchè “la base imponibile è il valore dei beni alla data del 31.12.1992”.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Allorquando con quest’ultimo viene, come nella specie, in particolare denunziato il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto non è infatti sufficiente una doglianza meramente apodittica e non seguita da alcuna dimostrazione, la stessa non consentendo alla Corte di legittimità di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali la pronunzia impugnata è fatta oggetto di censura (v.

Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 15/2/2003, n. 2312; Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Avuto riguardo al pure denunziato vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va per altro verso ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr. Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste invero nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierna ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come la medesima, faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es., all'”atto a rogito Notaio Viglino del 18.7.1990 (Doc. 2), alla concessione edilizia n. 2682, alla denuncia di variazione catastale all’UTE di Novara”, ai “distinti atti (doc. 3- 4-5), a rogito Notaio Lainati” di vendita delle “porzioni immobiliari acquistate nel 1990”, agli “avvisi di liquidazione (Doc. 6-7-8) con i quali incrementava i valori finali dichiarati dalla ricorrente ai fini INVIM (Doc. 9-10-11)”, alla sentenza di 1^ grado, all’atto di appello, al “classamento richiesto a seguito di modifiche apportate all’immobile successivamente al 31.12.1992” di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente rinviare agli atti del giudizio di merito, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso.

Orbene, a parte il rilievo che diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente la possibilità di farsi ricorso alla valutazione automatica è invero senz’altro ammissibile anche con riferimento all’INVIM (cfr. Cass., 23/672003, n. 9956), emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni della ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr., da ultimo, Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., la medesima in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità e infondatezza del motivo consegue il rigetto del ricorso.

Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, attesa la ritenuta inammissibilità del controricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Dichiara inammissibile il controricorso.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2011

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