Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4373 del 22/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4373 Anno 2018
Presidente: SCALDAFERRI ANDREA
Relatore: FALABELLA MASSIMO

ORDINANZA
sul ricorso 1700-2017 proposto da:
SFRISO ELENA, che agisce sia in proprio che quale liquidatore della
B.F. S.R.L. in liquidazione, elettivamente domiciliata in ROMA piazza
Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e
difesa dall’avvocato EMILIANO CHIESA;

– ricorrente contro
INTESA SANPAOLO PROVIS S.P.A. P.I.11564910143, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA OMBRONE 14, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO
CHRISTIAN EAGGELLA PELLEGRINO, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 22/02/2018

difende;

– controricorrente avverso la sentenza n. 1836/2016 della CORTE D’APPELLO di
TORINO, depositata il 25/10/2016;

partecipata del 20/12/2017 dal Consigliere Dott. MASSIMO
FALAB ELLA;
dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento
in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n.136/2016 del
Primo Presidente.

FATTI DI CAUSA
1.

Sfriso Elena, in proprio e nella qualità di liquidatore di BL

s.r.1., opponeva avanti al Tribunale di Torino il decreto ingiuntivo
pronunciato nei suoi confronti su ricorso di Neos Finance s.p.a., oggi
Intesa Sanpaolo Provis s.p.a., per l’importo di 22.022,78. Tale importo
costituiva il residuo del debito nascente dalla locazione finanziaria
relativa a un veicolo iMercedes . L’opponente assumeva che il bene, che
era stato oggetto di un furto e successivamente recuperato, era stato
alienato dalla ricorrente per ingiunzione a un prezzo decisamente
inferiore al corrente prezzo di mercato; asseriva, inoltre, che il quantum
ingiunto dovesse essere ridotto delle «somme eventualmente corrisposte
dall’assicuratore alla Neos Finance s.p.a.» per cui l’importo intimato
avrebbe dovuto essere ridotto.
L’opposta domandava il rigetto dell’opposizione e la condanna
dell’opponente a un importo ulteriore: ciò in quanto il giudice del
monitorio aveva detratto dall’importo domandato il prezzo ottenuto
dalla vendita del bene: prezzo che essa convenuta aveva già dedotto
dalla somma richiesta a titolo di penale.
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udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

Il Tribunale rigettava l’opposizione e condannava l’opponente al
pagamento delle ulteriori somme di f. 18.583,33 (pari all’erronea
detrazione di cui si è detto) e di € 1.399,01 (corrispondente
all’ammontare degli interessi che il giudice della fase monitoria aveva

2. — Proposto gravame, il 25 ottobre 2016 la Corte di appello di
Torino dichiarava inammissibile l’impugnazione.
3. — Elena Sfriso, nelle ricordate qualità, ha impugnato per
cassazione la sentenza della Corte torinese, facendo valere quattro
motivi di ricorso. Resiste con controricorso Intesa Sanpaolo Provis.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. — Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione di
norme processuali o sostanziali di diritto, avendo riguardo all’art. 360,
nn. 3 e 4 c.p.c.. Secondo la ricorrente la tardiva costituzione
dell’appellata comporterebbe non solo il prodursi delle decadenze
previste dalle diverse norme, ma altresì che «tutte le […] le eccezioni
processuali di merito non siano fondate» e che «siano espressamente
inammissibili». L’istante contesta, inoltre, che l’eccezione di
inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi sia
rilevabile d’ufficio.
Il motivo non ha fondamento.
Esso è riferito alla pronuncia della Corte di appello sulla eccezione
dell’odierna ricorrente circa la tardività della costituzione, in fase di
gravame, dell’appellata.
La Corte del merito ha rilevato che, l’appellata non aveva
sollevato eccezioni in senso stretto, né proposto appello incidentale: per
il che non si prospetta, in questa sede, il tema del mancato rispetto delle
preclusioni da parte del giudice del gravame. Detto giudice ha poi
correttamente osservato come l’eccezione di inammissibilità dell’appello
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mancato di liquidare).

sia rilevabile d’ufficio: il che è incontestabilmente ccrretto (per tutte:
Cass. 27 settembre 2016, n. 18932): sicché — come è del tutto evidente
— l’esame di tale eccezione non trovava ostacolo nella tardiva
costituzione della parte che l’aveva sollevata.

norme in tema di mediazione con riferimento all’omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio. La doglianza è incentrata sulla mancata
partecipazione della controparte all’incontro di mediazione fissato per il
giorno 10 marzo 2016, successivamente alla proposizione dell’appello.
Lamenta la ricorrente che la Corte di merito non avrebbe tenuto conto
di tale circostanza, così come non avrebbe considerato che solo dopo
l’esito negativo del procedimento di mediazione l’appellata si era
costituita in fase di gravame.
La censura è inammissibile.
La deduzione della violazione di legge è oggettivamente
incomprensibile, dal momento che la ricorrente nemmeno indica quale
sia, a suo avviso, la norma di legge che la Corte distrettuale avrebbe
mancato di osservare.
La prospettazione del vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. deve pure
ritenersi irrituale. Infatti, nella deduzione dell’omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, il ricorrente deve non
solo indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, ma, altresì,
il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e
il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le
parti e la sua «decisività» (Cass. sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. sez.
U. 7 aprile 2014, n. 8054). Queste ultime indicazioni non sono presenti
nel corpo del motivo: segnatamente, il ricorrente non spiega in che
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2. — Con il secondo motivo viene lamentata la violazione delle

modo il dato della mancata comparizione della controricorrente in sede
di mediazione, se esaminato, avrebbe determinato, in termini di
certezza, e non di mera probabilità, un diverso esito della controversia.
3. — Il terzo mezzo censura la sentenza impugnata con

riferita alla disciplina in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.). Vi si
sostiene che risulterebbe erronea l’affermazione della Corte distrettuale
circa la carenza di specificità del predetto motivo di gravame.
Il motivo non può avere ingresso.
La Corte di merito ha ritenuto inammissibile, per l’assenza di
idonea confutazione degli argomenti spesi dal giudice di prime cure, il
primo motivo di appello.
Premesso che tale ratio decidendi non è efficacemente contrastata
dalla denunciata violazione dell’art. 2697 c.c. (giacché il tema dell’onere
della prova si pone in momento logicamente successivo rispetto a quello
della contestata ammissibilità del motivo di gravame), deve osservarsi
che, in ogni, caso, ove il ricorrente censuri la statuizione di
inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha
l’onere di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale
statuizione del giudice del gravame e sufficientemente specifico, invece,
il motivo di impugnazione sottoposto a quel giudice, non potendo
limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma dovendo riportarne il
contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità
(Cass.16 ottobre 2007, n. 21621; Cass. 20 settembre 2006, n. 20405).
Nella fattispecie, la ricorrente non ha riprodotto, nei termini indicati, il
proprio motivo di appello.
4. — Col quarto motivo è dedotta la violazione o falsa
applicazione delle norme in tema di onere della prova in relazione al
secondo e al terzo motivo di appello. Si duole l’istante che la Corte di
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riferimento al primo motivo di appello e oppone la violazione di legge

Torino abbia ritenuto inammissibili il secondo e il terzo motivo di
gravame sul presupposto che attraverso di essi erano stata introdotte
domande nuove: ciò avendo particolare riguardo alla decadenza ex art.
1957, comma 1, c..c. (non avendo il creditore proposto le proprie

cui il risarcimento dei danni arrecati al veicolo M
– ercedes, oggetto del
contratto di leasing, (danni pari a C 1.964,88) avrebbe dovuto chiedersi
alla compagnia assicuratrice del mezzo, sulla base della polizza Kasko.
La censura non ha fondamento.
La motivazione della sentenza impugnata va corretta in diritto, dal
momento che le indicate deduzioni non integrano domande, ma
eccezioni di merito (avendo l’ingiunto, come è noto, la posizione
sostanziale di convenuto nel giudizio di opposizione). Detto ciò, va
osservato che l’eccezione di cui all’art. 1957, comma 1, c.c. é eccezione
di decadenza, come tale non rilevabile d’ufficio (il principio è del tutto
pacifico e risulta affermato da questa Corte fin da Cass. 17 giugno 1963,
n. 1613); è, parimenti, eccezione in senso stretto quella di cui all’art.
1227, comma 2, c.c. (Cass. 2 marzo 2012, n. 3240; Cass.25 maggio 2010,
n. 12714): e a tale eccezione è riconducibile la difesa svolta dall’odierna
ricorrente (difesa intesa a valorizzare una condotta diligente — la
denuncia del sinistro all’assicuratore — che avrebbe consentito di
evitare il danno lamentato).
A fronte di tale emergenza, la ricorrente avrebbe dovuto dedurre
di aver articolato, in modo chiaro e puntuale, entrambe le eccezioni fin
dall’atto di opposizione a decreto ingiuntivo: e ciò le avrebbe imposto di
riprodurre, per quanto di interesse, il contenuto dell’atto stesso, in modo
da consentire alla Corte regolatrice di cogliere la decisività del motivo di
impugnazione proposto. Di contro, l’istante per un verso riferisce che
l’eccezione ex art. 1957, comma 1, c.c. «era stata indicata verbalmente
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istanze contro il debitore nel termine di sei mesi) e alla circostanza per

nel corso del primo grado del giudizio» (non quindi nella citazione in
opposizione); per altro verso rileva che, nell’impugnare il decreto
ingiuntivo, ebbe ad affermare che «non si sapeva se la ingiungente
avesse riscosso somme di denaro dall’assicuratore in seguito al furto di

assoluta genericità, non vale ad integrare la proposizione dell’eccezione
di cui all’art. 1227, comma 2, c.c..
5. — Non è un autonomo motivo di impugnazione quello
rubricato come quinto: la ricorrente deduce che, accolto il ricorso, non
ricorrerebbero i presupposti per l’applicazione dell’art. 13 comma 1

quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n.
228 del 2012 (circa il versamento dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per l’appello). E’ evidente,
infatti, che sul punto venga semplicemente invocata una conseguenza
giuridica derivante dall’auspicato accoglimento del ricorso per
cassazione: accoglimento che, di contro, deve essere escluso.
6. — Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in
favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate in C 2.900,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in C 100,00, ed agli
accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115
del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso.
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cui era stata vittima l’opponente»: locuzione, questa, che, nella sua

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 Sezione
Civile, in data 20 dicembre 2017.

Il Pr esidente

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