Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4373 del 21/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/02/2017, (ud. 20/12/2016, dep.21/02/2017),  n. 4373

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10359/2015 proposto da:

P.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE DON

LUIGI STURZO 9, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI NAPPI,

rappresentata e difesa dall’avvocato FABIO D’ARGENZIO giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7333/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/12/2016 non partecipata dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.R. proponeva appello avverso la sentenza n. 2161/13 del Tribunale di Latina, con la quale il predetto giudice, pronunciando sulla domanda da lei proposta nei confronti di Nuova Tirrena S.p.A., poi Groupama Assicurazioni S.p.A., di condanna della convenuta al pagamento dell’importo di Euro 6.000,00, oltre che al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali da inadempimento contrattuale, per l’importo complessivo di Euro 15.000,00, oltre rivalutazione e interessi – domanda fondata sulla mancata liquidazione dell’indennizzo per il furto subito dall’attrice assicurata contro tale evento presso la detta socie a assicuratrice, che costituendosi aveva, tra l’altro, rappresentato che l’indennizzo era stato liquidato in Euro 5.850,00 e che il pagamento della somma non era avvenuto per un disguido postale – aveva condannato la società al pagamento del predetto importo di Euro 5.850,00 e compensato le spese.

La Corte di appello di Roma, con sentenza del 26 novembre 2014, dichiarava inammissibile l’appello, condannava l’appellante alle spese di quel grado e dava atto che la predetta era tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.

Avverso la sentenza della Corte di merito P.R. ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi.

L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., del relatore, che ha ravvisato un’ipotesi di manifesta infondatezza del ricorso, il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte con decreto comunicato alle parti e al P.M..

Non sono state depositate memorie.

Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 170 c.p.c., comma 1, artt. 285, 325, 326 e 479 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, la ricorrente deduce che la sentenza impugnata in questa sede è stata notificata, in copia munita di formula esecutiva, in data 4 febbraio 2015 nei suoi confronti presso il procuratore costituito ed assume che tale notificazione sarebbe inidonea a far decorrere, nei confronti della parte notificata, il termine breve, in quanto la notifica del titolo esecutivo deve essere effettuata soltanto nei confronti della parte personalmente e non anche del suo difensore presso il domicilio eletto per il grado di giudizio.

1.1. Pur a voler ritenere che quanto rappresentato dalla ricorrente e sopra riportato costituisca effettivamente un motivo di ricorso, si rileva che sussiste la carenza di interesse al riguardo della ricorrente, avendo la stessa comunque proposto il ricorso nel rispetto del termine breve e che, comunque, la doglianza è priva di fondamento alla luce del principio espresso da questa Suprema di Corte con il Decreto 3 marzo 2015, n. 4260 e secondo cui la notificazione della sentenza in forma esecutiva alla parte presso il procuratore costituito è equivalente a quella eseguita al procuratore stesso, sicchè essa è idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione sia per il destinatario della notifica che per il notificante.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta “violazione o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., art. 134 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., artt. 24 -111 C.; artt. 1175, 1176, 1218, 1223, 1226, 2056 e 2058 c.c.; artt. 91, 92, 96, 99, 112 e 115 c.p.c.; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18, D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 e s.m.i. L. n. 228 del 2012, art. 1, commi 17 e 18, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – nullità della sentenza e/o del procedimento di prime cure in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

2.2. A prescindere dai profili di inammissibilità del mezzo all’esame, alla luce del principio affermato da questa Corte e secondo cui, nel ricorso per cassazione, il motivo di impugnazione che prospetti una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate e dalla deduzione del vizio di motivazione, è inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione (Cass. 20/09/2013, n. 21611, Cass. 14/09/2016 n. 18021), per completezza il Collegio rileva altresì che la ratio decidendi non è stata ben censurata. Ed infatti la Corte di merito ha dettagliatamente indicato le ragioni della ritenuta aspecificità dei motivi di appello mentre, a tale proposito, la ricorrente si è limitata a riprodurre integralmente l’atto di appello e ad affermare genericamente che, “esaminato scrupolosamente e diligentemente l’atto di gravame”, ne conseguirebbe che “l’appellante… indicava le parti della sentenza oggetto del gravame, nonchè le modifiche richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado ed ancora le circostanze da cui derivava la violazione di legge e quindi la loro rilevanza ai fini della decisone impugnata” (v. ricorso p. 16), senza nulla precisare o argomentare al riguardo, così non assolvendo l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifici, invece, i motivi di gravame sottoposti a quel giudice, e non potendo limitarsi a rinviare all’atto di appello.

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

4. Non vi è luogo a provvedere per le spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva in questa sede.

5. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2017

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