Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4372 del 24/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4372 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: BIANCHINI BRUNO

SENTENZA

sul ricorso 6912-2013 proposto da:
BRUSCHI

SILVANO

BRSSVN43E09Gi1C,

elettivamente

domiciliato in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE 140, presso lo
studio dell’avvocato GAGLIARDI ANDREA, rappresentato e
difeso dagli avvocati FUMAROLA MAURO MAURIZIO,
GIANDOMENICO DANIELE;
– ricorrente –

2014
113

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE;
– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

Data pubblicazione: 24/02/2014

depositate il 17/08/2012/

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udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/01/2014 dal Consigliere Dott. BRUNO
BIANCHINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

l’accoglimento del primo motivo (prima parte) del
secondo motivo e del terzo motivo del ricorso.

Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per

Svolgimento del processo
1

Silvano Bruschi, con atto depositato il 15 dicembre 2011, agendo nella dichiarata

qualità di erede di Egisto Bruschi, propose ricorso innanzi alla Corte di Appello di
Genova per sentirsi riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale, ai sensi

lamentando l’asserito mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, § 1, della
Convenzione Europea, ratificata dall’Italia con legge 848/1955, per l’eccessiva durata di
una causa innanzi alla Corte dei Conti , sezione giurisdizionale per la Regione Toscana tesa ad ottenere il riconoscimento del diritto ad una pensione di guerra- iniziata con
ricorso del defunto genitore Egisto Bruschi, depositato il 7 gennaio 1972 ; interrotta per
morte del ricorrente all’udienza del 19 maggio 1999 e nuovamente all’udienza del 31
marzo 2011 a’ sensi dell’art. 5 della legge 205/2000; riassunta da Silvano Bruschi il 5
maggio 2011 e pendente al momento del deposito del ricorso ex lege 89/2001.

2

La Corte genovese, pronunziando decreto depositato il 17 agosto 2012, accolse

parzialmente la domanda, riconoscendo il diritto di Silvano Bruschi -quale erede
dell’originario ricorrente- ma espungendo dalla base di calcolo gli anni intercorrenti tra il
decesso di Egisto Bruschi, avvenuto il 31 maggio 1981, ed il deposito del ricorso per
riassunzione — in data 5 maggio 2011- nonché i primi due anni del procedimento — sul
presupposto che essa avrebbero rappresentato la durata “fisiologica” dello stesso- ,
liquidando curo 500,00 per ogni anno di non giustificata durata del processo
pensionistico; ritenne altresì la Corte distrettuale che, non essendosi dedotta la prova
della sussistenza di altri eredi ed in considerazione della natura parziaria del diritti di
credito entrati nel patrimonio del defunto, l’indennizzo spettante a Silvano Bruschi nella
qualità, dovesse essere liquidato nei limiti della (determinanda) quota ereditaria, sulla
complessiva somma di euro 3000,00 aggiungendovi euro 500,00 in relazione
all’irragionevole durata del procedimento presupposto, a partire dal momento in cui
Silvano Bruschi sarebbe stato in causa in proprio, dopo la riassunzione; condannò infine
il Ministero resistente al pagamento delle spese di lite, nella misura di euro 900,00.

della legge 24 marzo 2001 n. 89, da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze,

3 — Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso il Bruschi , sulla base di tre
motivi di annullamento; il Ministero intimato non ha svolto difese.

Motivi della decisione
I — Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2 della legge 89/2001
e dell’art. 6 della CEDU non avendo, la Corte del merito, applicato i criteri di

legittimità: deduce in particolare , da un lato, che la “posta in gioco” non avrebbe potuto
esser considerata di non particolare importanza, dal momento che si trattava del
riconoscimento di un trattamento pensionistico richiesto per infermità contratte durante
il periodo bellico; dall’altro, che la sottolineata mancata presentazione di una istanza
sollecitatoria sarebbe stata irrilevante, atteso che il R.d. 1038/1933 non prevedeva la
presentazione della c.d. istanza di prelievo ( per lo meno sino alla riforma del 2000)

I.a — Il motivo è in parte inammissibile, perché la valutazione della incidenza della
“posta in gioco” forma oggetto di una valutazione di merito e parte ricorrente non ha
esplicitato — oltre alla mera enunciazione della causa petendi

in qual modo l’originario

ricorso si sarebbe caratterizzato, al fine di superare il giudizio appena esposto; la censura
appare altresì infondata in ordine alla determinazione del quantum debeatur dal momento
che il parametro indennitario adottato dalla Corte territoriale rientra nell’ambito di
variabilità riconosciuto in sede di legittimità: in particolare più volte la Corte di
Cassazione ha ritenuto congrua la medesima misura per giudizi pensionistici innanzi alla
Corte contabile ( v. Cass. Sez

n. 17883/2013; Cass. sez VI-1 n. 14974/2012) in ciò

anche rifacendosi alle determinazioni contenute in sentenze CEDU che, relativamente a
giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative nei quali gli interessati come nella specie- non risultavano aver sollecitato la trattazione e/o definizione del
processo, mostrando di avervi scarso interesse, ha liquidato un indennizzo forfetario per
l’intera durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, ha oscillato tra gli
importi di Euro 350,00 e quello di Euro 550,00 per anno (cfr. procedimenti 675/03;
688/03 e 691/03; 11965/03).

Il — Con il secondo motivo viene denunziata la violazione dell’art. 6 della CEDU , con
riferimento ai criteri di individuazione della durata irragionevole del processo, laddove la

liquidazione dell’indennizzo, alla luce dei parametri identificati dalla giurisprudenza di

Corte di Appello ritenne di espungere dal calcolo di essa tutto il periodo intercorrente tra
il decesso dell’originario ricorrente (1981) e la costituzione del suo erede (2011) senza
darne adeguata motivazione e senza comunque considerare che , depositato il ricorso nel
1972, non fu celebrata alcuna udienza sino al 1994 e quindi non vi sarebbe stata la
possibilità di pronunziare l’interruzione al fine di consentire agli eredi di costituirsi in

II.a — Il motivo suesposto — cui va aggiunto il profilo circa la irrilevanza della mancata
presentazione della istanza di prelievo, enunciata nel mezzo che precede- è infondato
perché la declaratoria di interruzione non condiziona l’attività degli eredi del ricorrente a
chiedere di costituirsi per la prosecuzione del giudizio, evidenziando così la conoscenza
del procedimento e la volontà di proseguirlo: la giurisprudenza citata nel ricorso riguarda
la diversa questione della legittimazione dell’erede a far valere, pur se non costituito nel
giudizio presupposto, il diritto all’indennizzo garantito al suo autore ma non la diversa e
qui ricorrente questione se il periodo ( in questo caso: di trent’anni) intercorso tra la
morte del ricorrente e la costituzione degli eredi possa essere considerato ai fini
dell’indennizzo.

Il.a.1 — Né a diverse conclusioni in merito alla computabilità del periodo tra il decesso
dell’originaria parte nel giudizio presupposto e la costituzione dei suoi eredi potrebbe
pervenirsi, traendo spunto dalla recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n.
585/2014 che, dirimendo un contrasto tra Sezioni semplici in merito alla possibilità che
il contumace nel processo presupposto possa far valere un giudizio all’equa riparazione
per la non congrua durata dello stesso, ha statuito la equiparazione — ai fini della
possibile insorgenza del diritto al ristoro del danno non patrimoniale- tra parti costitute
e parti chiamate a partecipare a quel giudizio, ma in esso non intervenute: ritiene infatti la
Corte che, al di là di una mera analogia ricavabile dall’assenza nel processo presupposto
sia del contumace sia del chiamato all’eredità della parte originaria, le situazioni siano
sostanzialmente differenti in quanto, il ribadito principio che presupposto ineliminabile
per la legittimazione a far valere l’equa riparazione è l’incidenza che la non congrua
durata del giudizio abbia su chi di quel giudizio sia chiamato a far parte, non può trovare
applicazione sin tanto che il chiamato all’eredità , a conoscenza della pendenza di quel

riassunzione

procedimento, non si costituisca o non sia quanto meno chiamato in riassunzione:

anche la citata decisione n. 585/2014 pone l’accento più sulla legittimazione del
contumace alla proposizione del ricorso ex lege n. 89/2001 che sull’applicabilità allo
stesso di quella che costituisce la caratteristica qualificante del diritto all’equo indennizzo
– vale a dire l’automatismo probatorio relativo alla presunzione della sussistenza del

costituzione in giudizio del contumace possa influire anche sull’ an debeatur.

II.a.2 – In termini analoghi circa l’essenzialità della costituzione dell’erede come
condizione per far valere la sofferenza morale per l’ingiustificata durata del processo, si è
recentemente espressa anche la Seconda Sezione della CEDU con la sentenza — di
irricevibilità – del 18 giugno 2013, in causa Fazio + altri c Italia, in cui si è statuito che la
qualità di erede di una parte nel procedimento presupposto non conferisce , di per sé, il
diritto a considerarsi vittima della ,eventualmente maturata, durata eccessiva del
medesimo e che l’interesse dell’erede alla conclusione rapida della causa difficilmente è
conciliabile con la sua mancata costituzione nello stesso, dato che solo attraverso
l’intervento nel procedimento l’avente diritto ha l’opportunità di partecipare e di influire
sull’esito dello stesso.
III — Con il terzo motivo ( numerato come secondo) viene denunziata la violazione e la
falsa applicazione degli artt. 727 e 752 cod. civ. laddove si è ritenuto oggetto di
frazionamento pro quota bereditatia il diritto dell’erede all’indennizzo spettante al proprio
dante causa, in ispregio dell’ormai affermatosi indirizzo giurisprudenziale che sancisce la
appartenenza alla comunione dei crediti vantati dal de cujus, limitando la frazionabilità ai
soli debiti ereditari (Cass. Sez. Un. 28 novembre 2007 n. 24657)

III.a — Ritiene il Collegio che il ricorrente sia carente di interesse a sindacare tale metodo
di Liquidazione nel momento in cui non afferma la coesistenza di altri eredi, così che,
rebus sic stantibus, la formulazione del dispositivo della Corte di Appello ( “condanna il
predetto Ministro a corrispondere in favore del ricorrente la somma corrispondente alla
sua quota ereditaria sull’importo di euro 3000”) lascia il Bruschi in una situazione di
indifferenza onerandolo solo, in fase esecutiva, di dimostrare la unicità della sua qualità
di erede.

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L4

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danno per indebita durata del processo- allorquando riconosce che la mancata

III.a.1 — Ciò premesso peraltro non pare alla Corte che l’impugnato decreto si ponesse
in contrasto con la ricordata statuizione delle Sezioni Unite,: ciò in quanto la sentenza n.
24657/2007 era diretta a negare la sussistenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario
tra l’erede agente e gli altri coeredi, consentendo appunto a ciascuno di essi, di far valere
crediti già entrati nel patrimonio del de cujus cosa che, appunto, formò il presupposto
della pronunzia della Corte genovese

applicazione delle norme – artt. 91 e 92 cpc — in materia di ripartizione dell’onere delle
spese secondo quanto stabilito dalla tariffa allegata al d.m. 127/2004 M ragione
dell’impegno difensivo spiegato: il mezzo non è accoglibile perché omette di specificare
quale sarebbe stata la tariffa minima che avrebbe costituito il limite non superabile per la
liquidazione d’ufficio,
V tt

Rigetta il ricorso

Così deciso in Roma il 16 gennaio 2014, nella camera di consiglio della seconda
sezione della Corte di Cassazione
Il consigliere estensore

Il Presidente

IV — Con il quarto motivo ( rubricato come terzo) viene denunziata la violazione e falsa

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