Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4372 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. I, 20/02/2020, (ud. 30/10/2019, dep. 20/02/2020), n.4372

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32714/2018 proposto da:

A.U., elettivamente domiciliato in Roma Via Emilio Faà

Di Bruno, 15, presso lo studio dell’avvocato Di Tullio Marta che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 379/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 24/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/10/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Perugia, con sentenza depositata il 24 maggio 2018, ha rigettato l’appello avverso il decreto con cui il Tribunale di Perugia aveva rigettato la domanda proposta da A.U., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, sul rilievo che la vicenda dallo stesso narrata, indipendentemente dalla credibilità delle sue dichiarazioni, non rientrava in nessuna delle ipotesi di persecuzione individuale contemplate dalla Convenzione di Ginevra.

Al richiedente è stata inoltre negata la protezione sussidiaria in relazione alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b), sul rilievo che non vi erano elementi per affermare la sussistenza di gravi danni alla persona in caso di rimpatrio, o di essere sottoposto a pena di morte, a tortura o a trattamenti detentivi inumani o degradanti.

Il ricorrente non è stato, infine, ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari per carenza di una condizione di vulnerabilità.

Ha proposto ricorso per cassazione A.U. affidandolo a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, art. 3, comma 3, lett. a) e b), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Lamenta il ricorrente che nonostante lo stesso avesse nell’atto di appello censurato il provvedimento di primo grado con riferimento al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c), il giudice di secondo grado non aveva proceduto alla valutazione di tutti i fatti pertinenti al paese d’origine..

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Lamenta il ricorrente che la valutazione del giudice d’appello in ordine alla credibilità del suo racconto non è stata effettuata nel rispetto dei criteri di cui alla norma sopra citata. Il giudice di secondo grado lo ha ritenuto non credibile nonostante lo stesso avesse ampio conto del proprio vissuto ed avesse reso dichiarazioni compatibili con la situazione del paese.

3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Lamenta il ricorrente che il giudice d’appello ha applicato erroneamente i criteri di cui alla norma sopra citata con riferimento, in particolare, alla definizione di conflitto armato interno.

4. Il primo ed il terzo motivo, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta relazione delle questioni trattate, sono inammissibili.

A fronte della affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui il ricorrente non aveva fatto alcun cenno nel proprie difese a possibili situazioni di insicurezza generale (comprendendo quindi implicitamente anche quelle situazioni riconducibili alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)), il ricorrente, nel proprio ricorso, nel dedurre di aver già censurato nell’atto di appello il mancato riconoscimento della protezione internazionale sussidiaria in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non ha minimamente precisato con quali modalità e in quale parte dell’atto di appello avesse formulato una tale doglianza, di talchè non risulta rispettato il principio di autosufficienza e specificità del ricorso.

In proposito, è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate – come nel caso di specie – questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonchè il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

Come sopra anticipato, il ricorrente non ha adempiuto ad un tale onere di allegazione.

5. Il secondo motivo è inammissibile.

Va osservato che la Corte d’Appello ha ritenuto che il racconto narrato dal richiedente non rientra in nessuna delle fattispecie di protezione internazionale, indipendentemente dalla credibilità delle sue dichiarazioni. Dunque, il giudice di secondo grado non ha affatto fondato il proprio convincimento sulla non credibilità del suo racconto, con la conseguenza che le censure formulate in tale motivo non sono conferenti.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, non essendosi il Ministero intimato costituito in giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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