Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4371 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 23/02/2010, (ud. 01/12/2009, dep. 23/02/2010), n.4371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA GIUSEPPE VERDI N. 10, presso lo studio dell’Avvocato TURCO

CHIARA, (c/o l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che

raPPresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.G.;

– intimato –

e sul ricorso 27273-2006 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato ANGELOZZI GIOVANNI, che lo

rappresenta e difende giusta delega margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4306/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/09/2005 R.G.N. 6500/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

01/12/2009 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato TURCO CHIARA;

udito l’Avvocato ANGELOZZI GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento per quanto

di ragione, del ricorso principale, assorbito l’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 7 maggio 2002 il Tribunale del lavoro di Roma dichiarava la nullità del ricorso con il quale T.G. aveva chiesto l’inclusione, nella base di calcolo dell’indennità di anzianità e del t.f.r., della 13a e 14a mensilità e ferie, dei compensi percepiti per il lavoro straordinario continuativamente prestato e dell’indennità predeterminata di “10 minuti”, e la conseguente condanna dell’Istituto al pagamento della somma di L. 32.251.422, oltre accessori. Con atto depositato il 26 luglio 2002 il T. proponeva appello avverso detta sentenza, chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda già proposta in primo grado.

Parte appellata si costituiva per resistere e chiedeva il rigetto del gravame.

La Corte di Appello di Roma con sentenza 12.4-19.10.05 accoglieva l’impugnazione, ritenendo insussistente la nullità del ricorso e rigettando l’eccezione di prescrizione. Sosteneva, inoltre, che i miglioramenti retributivi (pari a 60 minuti della retribuzione dell’operaio litografo) pattuiti con l’accordo aziendale 22.6.74 andassero a compensare l’aumento di produttività del 10% e non l’eliminazione dello straordinario continuativo, che, sulla base delle buste paga prodotte, risultava praticato anche successivamente all’accordo. La clausola di assorbimento, prevista per il caso di vertenze del personale e pattuita in detto accordo, era riferita al compenso in questione ma non al lavoro straordinario ed a quanto erogato a suo compenso. La Corte di merito escludeva, pertanto, che essa impedisse il ricalcolo di t.f.r. e i.d.a. e che in sua esecuzione l’Istituto avesse pagato somme prive di causale, da portare in compensazione con quanto chiesto dal dipendente o da ottenere in ripetizione con la domanda riconvenzionale.

Sulla base della disciplina degli artt. 2120 e 2121 c.c. e della L. n. 297 del 1982, affermava, pertanto, il diritto al ricalcolo dell’i.d.a. e del t.f.r. con inclusione nella relativa base del compenso percepito per il lavoro straordinario continuativamente prestato e del compenso pari a 10 minuti di lavoro straordinario giornaliero (cd. indennità carte valori).

La Corte di merito affermava, inoltre, l’incidenza di detti compensi anche sulla tredicesima e quattordicesima mensilità e sulla retribuzione per ferie, sulla base dell’art. 21 c.c.n.l., grafici del 1989, che fissava una nozione onnicomprensiva della retribuzione e del regolamento del personale del 1991.

La soccombenza dell’Istituto era quantificata sulla base delle conclusioni di una consulenza tecnica di ufficio disposta dalla Corte territoriale.

Questa sentenza è impugnata per cassazione dalla s.p.a. Istituto poligrafico e Zecca dello Stato con quattro motivi. Si è costituito l’intimato con controricorso recante ricorso incidentale condizionato ed è stata depositata memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente debbono essere riuniti i due ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., onde procedere al loro esame in unico contesto.

Con il primo motivo l’IPZS deduce violazione degli artt. 414, 164 e 156 c.p.c., contestando che dal ricorso introduttivo possano enuclearsi il petitum e la causa petendi e che nello stesso fossero presenti elementi tali da assegnare allo straordinario carattere di non occasionalità, di modo che sarebbe mancata la prova della continuità dello straordinario, cui non aveva sopperito neppure la disposta consulenza tecnica di ufficio.

Con il secondo motivo è dedotta carenza di motivazione a proposito della reiezione della domanda riconvenzionale (o eccezione di compensazione) e violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonchè dell’art. 2120 c.c., testo vigente, che si divide in due censure.

Sotto un primo profilo, è contestata l’affermazione che la clausola di assorbibilità prevista dall’accordo del 1974 sia riferibile solo ai compensi previsti per aumento della produttività e non anche a quelli conseguenti all’effettuazione dello straordinario, in quanto porterebbe all’illogica conclusione che il datore avrebbe corrisposto l’aumento senza nessuna contropartita sul piano della prestazione, a fronte di una semplice disponibilità ad aumentare la produttività, pattuendo la clausola di assorbimento solo con riferimento alla proposizione di vertenze in punto di produttività. Il Giudice di merito avrebbe dovuto, invece, valutare l’accordo nella sua interezza, tenendo conto che il suo obiettivo era anche quello di evitare che in futuro potessero nascere controversie in punto di inclusione nel calcolo dell’i.d.a. e del t.f.r. dello straordinario.

E’, inoltre, contestato l’accoglimento della pretesa di ricalcolo della tredicesima e quattordicesima e della retribuzione per ferie (istituti collaterali) sino al 1994 in quanto il Giudice di merito non avrebbe considerato che per consolidata giurisprudenza il compenso per il lavoro straordinario, anche se erogato in misura fissa e continuativa, non entra a far parte della retribuzione ordinaria posta a base degli istituti retributivi indiretti, salva la diversa volontà delle parti contraenti. Nel caso di specie, invece, il compenso per tredicesima e quattordicesima mensilità deve essere quantificato alla stregua della disciplina collettiva del rapporto con riferimento alla retribuzione per la prestazione lavorativa normale.

Con il terzo motivo è dedotta omessa pronuncia circa la questione sollevata dall’Istituto in via subordinata in ordine alla limitazione del ricalcolo del t.f.r. al novembre 1992, atteso che in base al C.C.N.L. del 1992 è da escludersi la computabilità dello straordinario, per volontà delle parti espressa in sede di esercizio di autonomia collettiva consentita dall’art. 2120 c.c. Infatti l’aggiunta nella clausola contrattuale (art. 21, “nomenclatura”) del 1992 e del 1996 delle parole “nell’orario normale”, rispetto all’identica formulazione della clausola del C.C.N.L. del 1989, che tali parole non conteneva, manifesterebbe l’intento dei contraenti di escludere l’incidenza di quanto percepito fuori dall’orario normale nel calcolo del t.f.r..

Con il quarto motivo è dedotta carenza di motivazione e violazione della L. n. 297 del 1982, dell’art. 2120 c.c. e degli artt. 2934 e 2935 c.c., in quanto il Giudice di appello si sarebbe inadeguatamente pronunziato sull’eccezione di prescrizione del diritto al computo dello straordinario ai fini della quantificazione degli istituti di fine rapporto, pervenendo alla non condivisibile conclusione di ravvisare nell’atto di cessazione del rapporto un elemento costitutivo del diritto al t.f.r. e non un mero momento di esigibilità. In costanza di rapporto di lavoro, invece, si prescriverebbe non il diritto all’esigibilità del t.f.r., ma (nel sistema normativo introdotto dalla L. n. 297 del 1982) il diritto di vedere computate le voci di calcolo indicate che, anno per anno, debbono essere inserite nella base di calcolo. Con il ricorso incidentale l’intimato – riprendendo eccezioni già formulate nel giudizio di merito – chiede che venga dichiarato inesistente il credito vantato dall’Istituto in quanto i compensi percepiti per la soppressione della cd. ora politica hanno avuto la loro specifica causale nell’incremento della produttività del 10%. Eccepisce, inoltre, la prescrizione del credito ai sensi dell’art. 2955 c.c. (prescrizione breve) e la decadenza dell’Istituto stesso dall’azione di annullamento dell’accordo aziendale del 1974.

Tanto premesso, procedendo all’esame dei mezzi di impugnazione in ordine logico, deve rilevarsi innanzitutto l’infondatezza del primo motivo del ricorso principale.

Il Giudice di appello, nell’accogliere un esplicito motivo di impugnazione al riguardo formulato dal lavoratore, ha infatti ritenuto sufficientemente enucleabili nel ricorso sia il petitum che la causa petendi, traendo conforto alla sua interpretazione dell’atto introduttivo dalla circostanza che parte convenuta avesse svolto compiute difese di merito circa le richieste di controparte. La valutazione della nullità del ricorso introduttivo per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto sulle quali questa si fonda, implica una interpretazione dell’atto introduttivo della lite riservata al giudice del merito, censurabile in cassazione solo per vizi di motivazione. Essendo le ragioni esposte nella sentenza in esame per affermare che il ricorso introduttivo non era affetto dal vizio denunciato congruamente e logicamente articolate, deve rigettarsi il motivo.

Procedendo a trattazione separata dei motivi attinenti alle due diverse questioni dedotte nella presente controversia e iniziando dalla richiesta di ricalcolo dell’i.d.a. e del t.f.r., deve per primo esaminarsi il quarto motivo di ricorso, con il quale si lamenta l’erroneo rigetto della eccezione di prescrizione, secondo al quale nel corso del rapporto si prescriverebbe il diritto al computo delle voci di calcolo che, anno per anno, debbono essere inserite nella base di calcolo, ferma restando l’esigibilità del maturato alla conclusione del rapporto stesso.

Il motivo è da ritenersi infondato sulla base della consolidata giurisprudenza di questa Corte – cui va prestata adesione- secondo cui il diritto al trattamento di fine rapporto (TFR) sorge con la cessazione del rapporto di lavoro e a quel momento può essere azionato (ex plurimis, Cass. 23 aprile 2009 n. 9695). Ne consegue che il termine iniziale di decorso della prescrizione del diritto al TFR va individuato nel momento in cui il rapporto di lavoro subordinato è cessato,e non già in quello in cui sia stato accertato giudizialmente l’effettivo ammontare delle retribuzioni spettanti.

Procedendo ulteriormente nell’ordine logico dei mezzi di impugnazione, deve valutarsi la prima censura sollevata con il secondo motivo, con la quale si contesta l’interpretazione data dal giudice di merito all’accordo sindacale del 1974. Tale accordo, per la parte che qui interessa, fissato lo scopo di “conseguire una ristrutturazione dell’orario di lavoro per l’eliminazione dei tempi morti, per il pieno impiego dei mezzi d’opera, per l’eliminazione delle prestazioni straordinarie continuative e per l’incremento produttivo …”, prevede l’erogazione di vari miglioramenti retributivi, per il primo dei quali (“lett. a – importo pari a 60 minuti primi della retribuzione dell’operaio litografo di la ctg ….”) è precisato che “il compenso in parola è assorbibile in caso di vertenze comunque proposte dal personale che possano ricollegarvisi”. Secondo parte ricorrente la menzionata clausola di assorbibilità avrebbe dovuto dar luogo alla non computabilità dei compensi per lavoro straordinario negli istituti per cui è causa o, quantomeno, in caso di diversa conclusione circa la computabilità, avrebbe dovuto far nascere il diritto alla restituzione degli importi corrisposti alla controparte in esecuzione del contratto aziendale.

La censura non può trovare accoglimento poichè oltre a non spiegare, in relazione alle argomentazioni adottate dal Giudice a quo, le ragioni della violazione degli indicati canoni di ermeneutica negoziale (artt. 1362 e 1363 c.c.), non indica i vizi logici o difetti di indagine in cui sarebbe incorso il secondo Giudice.

Invero, quest’ultimo, dopo avere riportato il testo dell’accordo, per la parte rilevante ai fini della soluzione della questione, è pervenuto alla argomentata e coerente conclusione che la clausola di assorbibilità riguarda i compensi di produttività e in nessun modo è ricollegabile all’effettuazione di lavoro straordinario e all’erogazione di compensi correnti o differiti a fronte del suo effettivo svolgimento oltretutto avvenuto al di fuori del quadro che quella contrattazione aveva inteso realizzare.

E’ altresì infondata al riguardo la censura in punto di violazione della normativa di legge in materia di trattamento di fine rapporto contenuta nella L. n. 297 del 1982. Deve rilevarsi che ai fini del calcolo del t.f.r. i criteri di quantificazione della retribuzione annua fissati dall’art. 2120 c.c., nuovo testo, possono essere derogati solo dalla normativa collettiva intervenuta successivamente all’entrata in vigore della norma di legge e che tale deroga non può essere effettuata mediante il richiamo a norme pattizie previgenti.

Tali norme sono, infatti, mille in quanto la disciplina fissata dalla L. n. 297 è di carattere legislativo, di modo che la loro nullità prescinde dalla difformità o conformità rispetto alla nuova disciplina legislativa. La reviviscenza di dette clausole contrattuali mille può derivare solo da una “manifestazione di volontà delle parti contraenti che evidenzi una previsione diversa, rispetto a quella legale, circa il criterio specifico per l’individuazione della base di computo del trattamento di fine rapporto” (Cass. 24.6.95 n. 7185).

Tale reviviscenza non è qui prospettata per l’accordo aziendale del 1974, atteso che parte ricorrente, pur facendo riferimento ad una generica rinegoziazione, nulla ha dedotto circa uno specifico intervento successivo in tema di calcolo del t.f.r.. Quanto alla reiezione della domanda riconvenzionale, solo genericamente richiamata nel mezzo di gravame, non risulta mossa alcuna specifica censura, nè risulta effettuata specifica discussione, nonostante la tesi sostenuta nel merito dall’Istituto in via subordinata che una eventuale dichiarazione di nullità dell’accordo (peraltro non intervenuta) avrebbe comportato la restituzione da parte del dipendente di quanto percepito in forza delle sue clausole.

E’ fondato il terzo motivo, con cui, come già rilevato, si deduce l’omessa pronunzia in punto di estensione del ricalcolo del t.f.r. al periodo successivo al novembre 1992, mentre nel C.C.N.L. sottoscritto lo stesso anno la volontà delle parti era nel senso di escludere la computabilità dello straordinario, in ragione dell’aggiunta nel testo contrattuale (art. 21, “nomenclatura”) del 1992 delle parole “nell’orario normale”, rispetto all’identica formulazione della clausola del C.C.N.L. del 1989, che tali parole non conteneva, che manifesterebbe l’intento dei contraenti di escludere l’incidenza di quanto percepito fuori dall’orario normale nel calcolo del t.f.r.. La sentenza di merito, pur riconoscendo il ricalcolo del t.f.r. per il periodo successivo al 1992, non ha trattato la questione, che (seppure in via subordinata) era stata proposta in sede di merito dalla odierna ricorrente. Nella specie è in contestazione il rapporto tra la norma collettiva (il contratto del 1992) e quella di legge (art. 2120 c.c.) ai fini dell’individuazione della disciplina specificamente applicabile al t.f.r. della parte in causa, e, quindi, si verte nella previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto il vizio di motivazione (sotto la specie dell’omessa motivazione) non ha rilievo autonomo, avendo il giudice del merito comunque deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, pur senza dare motivazione. Passando all’esame della questione, deve rilevarsi che in ragione della disciplina fissata, ai fini del calcolo del t.f.r., dall’art. 2120 c.c. (“Salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini del comma precedente, comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”, c. 2), alle parti contrattuali in sede di esercizio dell’autonomia negoziale collettiva è riconosciuta la facoltà di stabilire eccezioni alla regola generale della onnicomprensività della retribuzione annua da prendere in considerazione (“tutte le somme … corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale …”). La norma collettiva deve essere, tuttavia, formulata in termini chiari ed univoci, atteso che “anche le relazioni sindacali, come i rapporti negoziali, devono ispirarsi a buona fede”, per cui, atteso che la deroga al criterio dell’onnicomprensività rappresenta un condizionamento del diritto del lavoratore che cessa dal rapporto di lavoro, “questa limitazione non può essere introdotta in modo indiretto e quasi surrettizio, ma richiede … che la deroga sia dichiarata espressamente o sia comunque desumibile in modo chiaro ed univoco” (v. Cass. 18.9.07 n. 19350, in motivazione).

Sul punto, la Corte di merito non si attiene al senso letterale delle parole adoperate dalle parti collettive (art. 1362 c.c.) nè motiva il proprio convincimento; in particolare non motiva a sufficienza sull’art. 21 c.c.n.l. 1992, espressamente richiamato dell’Istituto ricorrente nella sua doglianza e che limita la nozione di retribuzione a quanto corrisposto al lavoratore per la prestazione resa “nell’orario normale”. L’omessa considerazione della lettera di questa disposizione porta alla cassazione della sentenza in parte qua ed il rinvio alla stessa Corte di Appello per una nuova interpretazione (la sentenza, come si è detto, è del 19 settembre 2005, onde il regime dell’impugnazione in cassazione è quello anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006).

E’ fondato anche il motivo (più precisamente la seconda parte del secondo motivo) attinente 1 computo dei compensi percepiti per straordinario e per indennità carte valori ai fini della determinazione degli istituti collaterali presi in considerazione (tredicesima e quattordicesima mensilità e retribuzione delle ferie). La sentenza impugnata ritiene che l’incidenza dello straordinario continuativamente prestato su tali istituti derivi dall’art. 21 c.c.n.l. del 1989 il quale darebbe della retribuzione una nozione onnicomprensiva, senza che nello stesso contratto esistano altri parametri che consentano di scorporare da tale nozione alcuno degli elementi retributivi percepiti. Ad analoga conclusione giunge a proposito del successivo C.C.N.L. del 1992, ove la diversa formulazione della nozione data dall’art. 21 (“retribuzione è quanto complessivamente percepito dal lavoratore per la sua prestazione lavorativa nell’orario normale”) viene interpretata nel senso che retribuzione sarebbe quanto percepito non solo per l’orario contrattuale, ma anche per lo straordinario fisso e continuativo (che come tale entrerebbe a far parte nello “orario normale”).

Su questi punti l’interpretazione del CCNL è carente per la stessa ragione detta a proposito del terzo motivo di ricorso, non potendo intendersi per lavoro prestato nell'”orario normale”, quello “straordinario”.

In conclusione, debbono essere accolti il secondo motivo di ricorso, nei limiti sopra indicati, ed il terzo, mentre il ricorso incidentale è assorbito.

Di conseguenza l’impugnata sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio al giudice indicato in dispositivo perchè proceda a nuovo esame circa i punti sopra indicati e provveda anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi ed accoglie il 2^ motivo, seconda parte e 3 motivo del ricorso principale e rigetta le restanti censure.

Dichiara assorbito il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

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