Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4371 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. I, 20/02/2020, (ud. 30/10/2019, dep. 20/02/2020), n.4371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33319/2018 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico

38, presso lo studio dell’avvocato Marco Lanzilao, che lo

rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione

Internazionale Firenze – Sezione Perugia;

– intimato –

e contro

Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 322/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 10/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/10/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, T.A., cittadino del Senegal, ha adito il Tribunale di Perugia impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il richiedente aveva raccontato di aver lasciato il proprio Paese, in particolare la zona del Casamance, per il timore di essere ucciso dagli attacchi dei ribelli, che avevano già colpito il suo paese e rapito suo padre, che non era stato trovato fra le persone uccise.

Con ordinanza del 3/10/2017 il Tribunale di Perugia ha rigettato il ricorso, ritenendo la non sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

2. L’appello proposto dal T. è stato rigettato dalla Corte di appello di Perugia, a spese compensate, con sentenza del 10/5/2018.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso T.A., con atto notificato il 9/11/2018, svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita con controricorso notificato il 19/12/2018, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia errato esame delle dichiarazioni da lui rese alla Commissione territoriale e delle allegazioni proposte in giudizio.

1.1. Non era stata messa in discussione la provenienza del ricorrente dal Senegal, il che avrebbe dovuto determinare l’approfondimento della situazione generale del Paese, rilevante per la protezione sussidiaria o umanitaria.

La recriminazione è del tutto generica e non si correla al contenuto concreto della decisione e all’apprezzamento di fatto circa la situazione generale del Paese di provenienza.

1.2. Il ricorrente sottolinea di appartenere a categoria debole, di essere assolutamente integrato in Italia, fatto questo da solo rilevante ai fini della protezione umanitaria, e assume di non poter trovare rifugio e protezione dalle autorità del suo Paese.

Era stata del tutto assente la considerazione del fattore di integrazione sociale in Italia.

Anche questa censura appare totalmente priva di specificità volta a dimostrare la sussistenza di una condizione di particolare vulnerabilità soggettiva suscettibile di tutela attraverso l’istituto della protezione umanitaria.

Certamente questa non può essere rappresentata dalla mera integrazione sociale in Italia, rivendicata dal ricorrente, poichè, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Sez. 6-1, n. 17072 del 28/06/2018, Rv. 649648-01; Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298-01).

1.3. Il ricorrente osserva che il Giudice avrebbe dovuto onerarsi di un ruolo attivo nell’istruzione della domanda di protezione prescindendo dalle regole dispositive del processo civile e dalle preclusioni, acquisendo d’ufficio la necessaria documentazione.

L’argomentazione è ancora una volta del tutto teorica e generica, non collegata al contenuto concreto della decisione, basata su di una specifica valutazione delle condizioni socio politiche del Paese di provenienza e quindi a un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, omesso esame delle fonti informative e omessa applicazione dell’art. 10 Cost., con riferimento alla mancata concessione della protezione sussidiaria, a cui il ricorrente aveva diritto in ragione delle condizioni socio politiche del Paese di origine.

2.1. La Corte di appello avrebbe commesso un macroscopico errore, limitandosi a citare alcune fonti informative, mentre la legge prevede la consultazione ed elaborazione delle maggiori fonti informative per valutare la situazione attualizzata del paese di provenienza del richiedente asilo.

2.2. La Corte di appello ha specificamente valutato la situazione socio politica del Senegal, secondo le informazioni attualizzate in suo possesso e debitamente indicate e citate, a fronte delle quali il ricorrente si limita ad esternare il proprio dissenso nel merito dall’accertamento di fatto così compiuto con valutazione insindacabile in sede di legittimità.

Anche la critica sulla “qualità” delle fonti informative utilizzate dalla Corte territoriale è del tutto generica e riversata nel merito, tanto più che la Corte umbra ha fatto ricorso a una ampia cernita di fonti informative tra le quali il Dipartimento di Stato degli USA e a una serie di elementi fattuali assai dettagliati e circostanziati per delineare l’attuale contesto socio politico della regione del Casamance (sentenza impugnata, pag. 4).

2.3. Il ricorrente tiene a ribadire che il rischio corso dal singolo individuo non doveva esser provato quando il grado di violenza indiscriminata che caratterizza la sua zona di provenienza sia così elevato da ritenere che la persona in caso di rientro in patria subirebbe la minaccia.

Era poi del tutto irrilevante che il rischio di danno grave sia sorto solo in un momento successivo alla partenza del richiedente dal suo paese.

Affermazioni queste, l’una e l’altra, puntuali, corrette e condivisibili, ma prive di ogni relazione critica rispetto alla decisione impugnata che non le ha affatto contraddette.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, anche in riferimento al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, L. 14 luglio 2017, n. 110 e ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. e art. 3 CEDU.

3.1. Tali norme vietano di esporre il richiedente asilo al rischio di tortura e trattamenti inumani e degradanti o comunque ad altre minacce alla vita o alla libertà personale, espellendo o respingendo lo straniero verso un contesto dove subirebbe tali condotte.

3.2. Anche in questo caso la critica cade nel vuoto perchè la sentenza impugnata non ha affatto negato tali principi, ma si è limitata ad accertare che il ricorrente, una volta rimpatriato, non avrebbe affatto corso i paventati rischi di tortura e trattamenti inumani e degradanti.

4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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