Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4369 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 23/02/2010, (ud. 21/10/2009, dep. 23/02/2010), n.4369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CREDITO BERGAMASCO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso

lo STUDIO VESCI & PARTNERS, rappresentato e difeso dagli

avvocati

VESCI GERARDO, BRIOLINI LUISA, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.B., V.I., M.G., già

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LANCELLOTTI 18, presso lo

studio dell’avvocato DOTTI VITTORIO, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati PONTI CHRISTIAN, PAOLO FRANCO, giusta delega

a margine del controricorso e da ultimo d’ufficio presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 98/2005 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/04/2005 R.G.N. 216/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

21/10/2009 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato SCHITTONE NICOLO’ per delega VESCI GERARDO;

udito l’Avvocato MARIANO ROSAMARIA per delega PONTI CHRISTIAN;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 10 aprile 2004, il Credito Bergamasco S.p.A. proponeva appello contro la sentenza n. 119/03 del Tribunale di Bergamo, con la quale era stato condannato al pagamento in favore degli ex dipendenti C.B., V.I. e M.G. rispettivamente delle somme di Euro 20.358,49, Euro 22.043,37 e di Euro 85.296,79 a titolo di riscatto della posizione individuale nel Fondo di Trattamento integrativo aziendale (TIA), maturata all’atto delle dimissioni, successive alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 10 e anteriori alla trasformazione del Fondo TIA, gestito dalla banca, nel Fondo Pensioni per il personale del Credito Bergamasco, soggetto autonomo. Lamentava l’appellante l’erronea interpretazione delle norme di legge applicate per i seguenti motivi: a) perchè vi era una assoluta incompatibilità fra l’immediata applicazione del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 10 e la struttura e il funzionamento del TIA, in quanto fondo a prestazioni definite e non a contribuzione definita, rispetto al quale era impossibile enucleare posizioni individuali suscettibili di trasferimento o riscatto, con la conseguenza della irrilevanza della formulazione letterale del successivo art. 18; b) perchè l’interpretazione sistematica dell’art. 18, in relazione all’art. 10, evidenziava che quest’ultima norma doveva rientrare necessariamente fra quelle ad applicazione differita, a seguito dell’intervento delle fonti istitutive per la trasformazione dei fondi di previdenza complementare a ripartizione. Eccepiva, inoltre, l’appellante il proprio difetto di legittimazione in quanto il diritto potestativo di riscatto era stato esercitato solo successivamente alla costituzione del Fondo Pensioni, divenuto soggetto autonomo distinto dalla banca, nonchè l’errata interpretazione e applicazione dell’art. 13 del regolamento TIA, con il quale era stata espressamente prevista la perdita del diritto al trattamento previdenziale per gli ex dipendenti che si fossero occupati, come gli appellati, presso aziende di credito o finanziarie operanti nella stessa zona. Infine, dopo avere contestato le tesi sostenute dalla controparte in primo grado e non accolte nella sentenza impugnata, chiedeva in via subordinata la riforma della sentenza per l’erronea determinazione quantitativa dei crediti riconosciuti.

Si costituivano in giudizio gli appellati contestando sotto vari profili gli argomenti svolti a sostegno della impugnazione, riproponendo le difese già svolte in primo grado e chiedendo, con appello incidentale, la riforma del capo di sentenza con il quale erano stati liquidati i crediti facendo riferimento alla dotazione finanziaria del TIA al momento delle loro dimissioni, anzichè alla dotazione finale del Fondo Pensioni dei dipendenti del Credito Bergamasco, così come concordato con le organizzazioni sindacali in sede di trasformazione del Fondo medesimo in soggetto autonomo erogatore di un trattamento previdenziali a contribuzione definita.

Con sentenza del 24 febbraio – 15 aprile 2005, l’adita Corte di Appello di Brescia rigettava entrambi gli appelli.

La Corte territoriale riteneva di riconoscere l’immediata applicabilità della norma del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 10, alla fattispecie del TIA e di confermare su questa base il diritto al riscatto delle “posizioni individuali” da parte degli ex dipendenti, pur dimessisi dopo l’entrata in vigore della legge ma prima trasformazione del TIA nel Fondo Pensioni, in tal modo determinando, secondo il regolamento del TIA, il venir meno dei requisiti di partecipazione allo stesso.

A parere del Giudice di Appello, l’omesso richiamo da parte del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, dell’art. 10, fra le norme per le quali è stata prevista o differita l’applicazione ai fondi preesistenti, avrebbe “un significato ben preciso e univoco, indicativo di una volontà legislativa di immediata applicazione dell’art. 10 anche ai fondi preesistenti”. Rispetto a tale conclusione sarebbero irrilevanti sia il fatto che il TIA fosse un fondo a prestazione definita, sia il fatto che fosse alimentato solo da erogazioni del datore di lavoro.

Avverso questa sentenza, il Credito Bergamasco s.p.a., propone ricorso per Cassazione per dieci motivi.

Resistono il C., il V. ed il M. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il proposto ricorso articolato in dieci motivi, la società ricorrente, denunciando, sotto vari profili, la violazione e falsa applicazione della normativa di riferimento (D.Lgs. n. 124 del 1993, artt. 10 e 18, Direttiva 98/49/CE, artt. 2117 e 1367 c.c.) nonchè vizi di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, deduce, come argomento centrale, l’erronea soluzione adottata dalla Corte di Appello di Brescia alla questione oggetto del presente giudizio, concernente la possibilità, nel contesto normativo appena richiamato, di riscatto, da parte dei tre lavoratori, attuali controricorrenti, della posizione dagli stessi goduta nel Fondo di Trattamento Integrativo Aziendale (TIA), maturata all’atto delle dimissioni, successive alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 10, e anteriori alla trasformazione del Fondo TIA, gestito dalla banca, nel Fondo Pensioni per il personale del Credito Bergamasco, soggetto autonomo.

La ragione di fondo della ricorrente, su cui si incentrano le proposte censure – ad avviso del Collegio – va condivisa.

Va in proposito puntualizzato che in tema di previdenza complementare la giurisprudenza di legittimità, (v. tra le tante, le sentenze n. 13111 del 2007; n. 17532 del 2002; n. 17657 del 2002), ha già avuto modo di occuparsi del problema dell’ambito di applicazione del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, art. 10, affermando il seguente principio di diritto:

“Le tre opzioni previste dal D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, art. 10, in favore degli iscritti che abbiano cessato il rapporto, senza maturazione del diritto a pensione (trasferimento del capitale accumulato ad altro fondo chiuso, trasferimento a fondo aperto e riscatto), in epoca successiva all’entrata in vigore della legge stessa, si applicano all’intera posizione individuale, comprensiva di tutti gli accantonamenti previsti dal cit. decreto, art. 8, sia del lavoratore, sia del datore di lavoro, effettuati anche nel periodo antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, per i fondi a capitalizzazione preesistenti, anche nel caso in cui gli statuti prevedano modalità di rimborso dei capitali accantonati difformi dalla norma legale”.

A tale conclusione questa Corte è pervenuta dopo un attento esame della norma sia sul piano dell’interpretazione letterale che su quello dell’interpretazione funzionale. Sul piano dell’interpretazione letterale si è notato che le opzioni previste dall’art. 10, tra cui il riscatto, e cioè il rimborso delle quote versate, riguardano la posizione individuale, quale risulta dai finanziamenti indicati dal precedente art. 8, e cioè sia del lavoratore, sia del datore di lavoro. E’ stato altresì osservato che la successiva precisazione dell’art. 3 bis, introdotto dalla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 10, secondo cui deve trattarsi dell’intera posizione individuale, è su tale punto meramente esplicativa, e non innovativa, perchè tale norma si limita a consentire il trasferimento della posizione individuale ad altro fondo pensione anche al di fuori delle condizioni di cui ai commi precedenti (e cioè ai fondi cd. aperti oltre che ai fondi chiusi); e poichè la legge considera le tre opzioni paritetiche e volontarie, il riferimento alla posizione individuale non può che essere sempre intesa come riferimento alla intera posizione individuale. Sul piano dell’interpretazione funzionale la Corte ha rilevato il profondo mutamento di prospettiva e di ruolo che la Legge Delega 23 ottobre 1992, n. 421, e la successiva attuazione ad opera del D.Lgs. n. 124 del 1993, hanno portato nel sistema della tutela pensionistica complessiva, ed ha osservato che il legislatore, con il complesso di leggi successivamente emanate in materia (L. 22 ottobre 1992, n. 421, D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, D.Lgs. 30 dicembre 1993, n. 585, L. 8 agosto 1995, n. 335), ha istituito un collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare, collocando quest’ultima nel sistema dell’art. 38 Cost., comma 2, sicchè, dopo queste leggi, le contribuzioni degli imprenditori al finanziamento dei fondi pensionistici aziendali non possono più definirsi “emolumenti retributivi con funzione previdenziale”, ma costituiscono, strutturalmente, contributi di natura previdenziale, come tali estranei alla nozione di retribuzione.

La Corte ha poi ritenuto che il D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 10, trova applicazione immediata anche rispetto ai fondi preesistenti, atteso che l’art. 18 di detta legge, nel precisare quali norme non si applicano alle forme pensionistiche complementari già istituite e nel determinare i tempi entro i quali i fondi devono adeguarsi ad altre norme, non menziona il disposto dell’art. 10, che pertanto è entrato in vigore al 15 giorno dalla pubblicazione nella G.U., secondo la regola generale fissata dall’art. 19. Di conseguenza la Corte ha ritenuto che la norma legale che ha affermato il diritto degli iscritti a contare sulla triplice opzione opera immediatamente, anche in relazione ai fondi preesistenti, e si sostituisce ad eventuali difformi clausole statutarie, ai sensi dell’art. 1339 c.c..

A questo orientamento giurisprudenziale il Collegio intende prestare adesione, condividendo le motivate argomentazioni che lo sorreggono ancorchè occorre formulare alcune precisazioni in relazione alla fattispecie in esame.

Invero, nel caso di specie, risulta incontestato che il TIA era una forma di previdenza integrativa a “prestazioni definite” nella quale cioè l’ammontare delle prestazioni integrative era prestabilito con riferimento alla retribuzione nel periodo conclusivo del rapporto, nonchè al trattamento pensionistico obbligatorio, in modo che il cumulo dei trattamenti previdenziali raggiungesse una determinata percentuale dell’ultima retribuzione lorda.

E’ altresì incontestato che il TIA era basato sul metodo della ripartizione anzichè su quello della capitalizzazione, nel senso, cioè, che la misura della prestazione erogata non era in alcun modo calcolata in rapporto con l’insieme dei contributi versati nel tempo dal singolo lavoratore o per suo conto (come accadrebbe secondo il sistema della capitalizzazione), essendo il TIA alimentato da un versamento annuale a carico della Banca, senza previsione del versamento di contributi da parte dei dipendenti. Alla stregua di questo sistema la banca unilateralmente costituiva una riserva o un fondo nel passivo del proprio bilancio per far fronte alle prestazioni dovute ai dipendenti che avessero maturato i presupposti per fruire del trattamento e tale stanziamento veniva periodicamente aggiornato sulla base di stime attuariali.

Essendo, dunque, pacifico in causa che il TIA non prevedeva posizioni individuali soggette a capitalizzazione, che il lavoratore non partecipava in alcun modo allo stanziamento e che il fondo era costituito da accantonamenti indivisi, determinati secondo criteri attuariali, alla luce del testo normativo richiamato dalle parti in causa e dalla stessa sentenza impugnata deve escludersi che la regola del riscatto sia dettata per disciplinare la sorte di tutti i Fondi preesistenti. Ed infatti, nel facoltizzare il riscatto, la legge opera un riferimento alla “posizione individuale”, lasciando chiaramente intendere che è possibile riscattare le quote di Fondo quando esse risultino formate da un sistema “a capitalizzazione” e non, come nella specie, quando esse appartengano indivise ad un sistema (attuariale) a ripartizione. Tale interpretazione, del resto, si pone in linea con il disposto dell’art. 2123 c.c., per il quale “se esistono fondi di previdenza formati con il contributo dei prestatori di lavoro, questi hanno diritto alla liquidazione quota, qualunque sia la causa della cessazione del contratto”.

Nè può sostenersi che l’applicabilità immediata del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 10, lett. c), discendente dal fatto che la norma in questione non fa parte di quelle prese in considerazione dalle norme finali e transitorie, contenute nel D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, operi in maniera indiscriminata nel senso che tutte le disposizioni del D.Lgs. n. 124 del 1993, con la sola eccezione di quelle per le quali è stata espressamente esclusa dall’art. 18 cit., l’applicazione ovvero è stata prevista un’apposita disciplina transitoria, sarebbero immediatamente applicabili a tutte le forme di previdenza complementare preesistenti, a prescindere dalla loro natura.

Vero è che la norma finale non dichiara le disposizioni dell’art. 10, inapplicabili alle forme preesistenti, ma è altrettanto vero che nemmeno le include nel gruppo di norme per le quali sono previsti precisi termini di adeguamento, sicchè tale situazione non autorizza a concludere che la regola contenuta nell’art. 10 cit., comma 1, lett. c), sia dotata di una precettività in maniera indiscriminata.

La lettura dell’art. 10 cit., induce a ritenere che i suoi vari commi contengono disposizioni dettate espressamente per i “nuovi” fondi pensione, obbligatoriamente informati al principio della capitalizzazione individuale mentre alle singole realtà preesistenti abbia demandato il compito di organizzarsi secondo tale principio, anche attraverso adeguamenti statutari, tenendo conto delle proprie caratteristiche strutturali (comma 1).

Pertanto, nel caso di fondi preesistenti organizzati secondo modelli analoghi a quelli cui è ispirata la disciplina dettata per i nuovi fondi, non sussistono problemi nell’introduzione della previsione del riscatto, giacchè in tal caso è possibile configurare la posizione individuale riconducibile, in linea generale, alla somma dei contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro. E sono queste le fattispecie solitamente sottoposte all’esame di questa Corte e sopra richiamate, ove si fa questione se la quota spettante al lavoratore in sede di riscatto debba essere formata solo dalla parte costituita dai propri versamenti o anche da quella costituita dai versamenti del datore di lavoro (in senso contrario, v., però, Cass. 19 dicembre 2007 n. 26804, che, in tema di riscatto, pur dando rilievo alla posizione del lavoratore comprensiva degli accantonamenti sia del lavoratore stesso che del datore di lavoro, ritiene che il diritto al riscatto sussiste anche quando la dotazione del fondo non sia stata suddivisa in conti individuali).

Diversa è, invece, – come detto – a situazione che viene a configurarsi con riferimento a fondi privi di conferimenti contributivi imputati a conti individuali e che presentano, in quanto tali, elementi di carattere tipicamente solidaristico.

L’impugnata sentenza ha pertanto errato nel ritenere che il D.Lgs. cit., art. 18, disponga l’immediata applicazione dell’art. 10, nei confronti di tutti i fondi preesistenti anche di quelli a ripartizione e senza posizioni individuali.

Nè argomento in senso contrario a tale conclusione può ricavarsi dalla Direttiva 98/49/CE del Consiglio del 29 giugno 1998, tenuto conto che essa prevede un termine di 36 mesi per l’adeguamento degli ordinamenti giuridici nazionali dall’entrata in vigore della stessa, avvenuta il 25 luglio 1998, e che il TIA – come è incontestato – è stato trasformato nel Fondo Pensioni del Credito Bergamasco in data 31 dicembre 1998; pertanto, e senza indagare sul contenuto della Direttiva stessa, il riferimento appare irrilevante.

Per le considerazioni esposte il ricorso va accolto, rimanendo assorbita ogni altra questione. In conseguenza l’impugnata sentenza va cassata e decidendosi nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va rigettata la domanda degli originari ricorrenti.

Le indubbie difficoltà interpretative della normativa di riferimento induce a compensare tra le parti le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda degli originari ricorrenti.

Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

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