Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4368 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. I, 10/02/2022, (ud. 04/06/2021, dep. 10/02/2022), n.4368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28013/2020 r.g. proposto da:

S.K., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato Paola

Urbinati, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla Via Muzio

Clementi n. 51, presso lo studio dell’Avvocato Valerio Santagata.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore.

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI BOLOGNA depositato in data

01/10/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 04/06/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.K., nativo del Pakistan, regione del Punjab, ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso il decreto del Tribunale di Bologna dell’1 ottobre 2020, reso nel procedimento n. 12683/2018, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari). Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

1.1. Quel tribunale ritenne: i) i fatti narrati dal richiedente (che aveva riferito di essere lasciato il proprio Paese temendo per la propria incolumità dopo che era stata scoperta la propria relazione omosessuale con il figlio del datore di lavoro suo

e del padre), inattendibili perché generici ed incoerenti; insussistenti, nel Punjab,

in Pakistan, le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); iii) indimostrati, né dedotti, eventuali fatti o accadimenti giustificativi dell’invocato rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, va dichiarata l’inammissibilità della costituzione dell’intimato Ministero dell’Interno, tardivamente effettuata con un atto denominato “atto di costituzione”, non qualificabile come controricorso, sostanziandosene il relativo contenuto nella mera dichiarazione di costituirsi in giudizio “con il presente atto al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1”. Risulta, infatti, in tal modo, violato il combinato disposto di cui all’art. 370 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in base ai quali il controricorso deve, a pena di inammissibilità, contenere l’esposizione dei motivi di diritto su cui si fonda, costituendone requisito essenziale (cfr. Cass. n. 5400 del 2006). Anche nell’ambito del procedimento camerale di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c. (introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 196 del 2016), alla parte contro cui è diretto il ricorso, che abbia depositato – come nel caso di specie – un atto non qualificabile come controricorso, in quanto privo dei requisiti essenziali previsti dagli artt. 370 e 366 c.p.c., nel periodo che va dalla scadenza del termine per il deposito del controricorso alla data fissata per la discussione del ricorso per cassazione è preclusa, pertanto, qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 378 c.p.c. (cfr. Cass. n. 10813 del 2019; Cass. n. 16261 del 2012; Cass. n. 5586 del 2011).

2. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:

I) “Nullità della sentenza per error procedendi e violazione di legge in relazione ai parametri di verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni del richiedente del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, commi 3 e 5”, contestandosi la ritenuta inattendibilità dell’odierno ricorrente da parte del tribunale;

II) “Nullità del decreto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente in quanto il collegio ha fondato la decisione su fonti non aggiornate o richiamate in modo generico”, censurandosi il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c);

III) “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, cioè non è stato adeguatamente valutato il percorso di integrazione in relazione alle domanda di protezione umanitaria del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6”, criticandosi il rifiuto del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

3. Tali doglianze sono complessivamente inammissibili, risolvendosi, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, da un lato, che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (formalmente invocato dal K. con il terzo motivo), nel testo, qui applicabile ratione temporis (essendo stato impugnato un decreto decisorio reso 11 ottobre 2020), modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (cfr. Cass. n. 395 del 2021, in motivazione; Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 4477 del 2021, in motivazione; Cass. n. 395 del 2021, in motivazione, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017); dall’altro, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 16700 del 2020).

3.1. Va rimarcato, peraltro, che, con orientamento ormai consolidato ed anche di recente ribadito da questa Corte (cfr., ad esempio, Cass. n. 3819 del 2020), il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito. In altri termini, la “motivazione apparente” ricorre allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice. In questo senso possono citarsi numerose pronunce che convergono nella indicata nozione, talora variamente accentuandone i diversi elementi (cfr., ex plurimis, Cass. n. 4891 del 2000; Cass. n. 1756 e n. 24985 del 2006; Cass. n. 11880 del 2007; Cass. n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009; Cass. n. 4488 del 2014; Cass., SU, n. 8053 e n. 19881 del 2014).

3.1.1. In particolare, in tema di valutazione delle prove e soprattutto di quelle documentali, il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (cfr. Cass. n. 14762 del 2019; cfr., anche sulla tipologia del vizio, Cass. n. 22598 del 2018).

3.1.2. Tale non e’, però, la situazione sussistente nel caso di specie, dove, con riferimento alle forme di protezione invocata, il tribunale bolognese ha operato una valutazione del narrato del ricorrente, alla luce di fonti di informazione (puntualmente indicate) da considerarsi sufficientemente aggiornate in rapporto alla data (21 settembre 2020) di deliberazione del provvedimento impugnato.

3.2. In proposito, infatti, è sufficiente rimarcare che il menzionato tribunale: i) ha considerato i fatti narrati dal richiedente (che aveva riferito di essere lasciato il proprio Paese temendo per la propria incolumità dopo che era stata scoperta la propria relazione omosessuale con il figlio del datore di lavoro suo e del padre), inattendibili, perché generici ed incoerenti, dando ampiamente conto (cfr. pag. 5-6 del decreto impugnato) perché generici ed incoerenti; ii) ha escluso, sulla base della consultazione di affidabili ed aggiornate fonti di informazioni (cfr. tra le più recenti, il rapporto EASO 2019), delle quali ha pure dato puntualmente conto nel provvedimento impugnato, che in Pakistan, Regione del Punjab, sia riscontrabile una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che consente il riconoscimento nei confronti dello straniero della forma di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (cfr. amplius, pag. 7-9 del menzionato decreto); iii) quanto alla invocata protezione umanitaria (da scrutinarsi alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis – cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019 di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6), ha evidenziato l’assenza di peculiari situazioni soggettive attestanti condizioni di vulnerabilità del richiedente protezione, nonché di un suo effettivo radicamento sul territorio dello Stato ospitante, determinato da ragioni familiari o di una concreta integrazione lavorativa, letta in connessione con il mancato riscontro di una situazione di grave compromissione dei diritti umani fondamentali nel Paese di origine, così da non consentire di pervenire ad una prognosi positiva quanto all’esposizione del richiedente, in ipotesi di rimpatrio, ad una situazione di negazione della dignità personale.

3.3. Al cospetto di un simile impianto argomentativo, sotteso al diniego di tutte le forme di protezione internazionale e corredato da una spiegazione esauriente delle ragioni atte a suffragare il rigetto delle domande proposte – sicché, come si è già detto, non si ravvisano quei radicali vizi motivazionali che oggi assumono rilievo

in sede di legittimità: “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014) – i formulati motivi sono complessivamente inammissibili, atteso che il tribunale ha fondato il proprio giudizio su di una lettura integrata, siccome stabilito alla disposizione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), delle dichiarazioni rese da S.K., giudicate scarsamente credibili, e delle informazioni circa il suo Paese di origine, siccome ritraibili dalla consultazione di fonti qualificate e sufficientemente aggiornate, e sulla base di ciò ha escluso che ricorressero le condizioni per il riconoscimento sia della protezione maggiore (status di rifugiato e protezione sussidiaria) che di quella minore.

3.3.1. Va altresì rimarcato che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 7112 del 2021; Cass. n. 1501 del 2021; Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui insussistenti, come si è già riferito), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 3340 del 2019). Deve, peraltro, rimarcarsi che, nella specie, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente, presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014; ii) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori investe le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto Decreto (cfr. Cass. n. 7112 del 2021; Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), mentre, quanto a quella proposta giusta la lettera c), del medesimo decreto, il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, ed ha rilevato che, sostanzialmente, il Punjab, nel Pakistan, non si segnala attualmente una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante alcuna significativa instabilità politica. Va solo rimarcato che, come recentemente chiarito da Cass. n. 29056 del 2019, l’eventuale omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poiché, in tal caso, l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando (ma tale ipotesi non è stata minimamente dedotta nell’odierna fattispecie, nemmeno essendo stato allegato che le diverse fonti oggi indicate in ricorso siano state sottoposte all’attenzione del tribunale) costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio.

3.3.2. Nessun decisivo rilievo assume, inoltre, ai fini della corretta applicazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, l’eventuale integrazione socio-lavorativa asseritamente raggiunta dal richiedente, posto che vige nella materia de qua il principio di diritto secondo il quale non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, né il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (cfr. Cass. n. 7112 del 2021; Cass. n. 17072 del 2018).

3.3.3. Approdi interpretativi, quelli riportati, che, di recente, hanno ricevuto l’autorevole avallo della Sezioni Unite di questa Corte, che, con la sentenza n. 29459 del 13 novembre 2019, hanno sancito che “in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”.

3.3.4. Nella specie, il tribunale ha espressamente ritenuto indimostrati, né dedotti, eventuali fatti o accadimenti giustificativi da cui ricavare una situazione di concreta vulnerabilità del ricorrente, del quale ha pure escluso un effettivo radicamento in Italia (cfr. amplius, pag. 9-11 del decreto impugnato). A tanto deve solo aggiungersi (con specifico riferimento a quanto dedotto con il terzo motivo), in ogni caso, che: i) questa Corte ha già ripetutamente chiarito che “il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa” (cfr., ex plurimis, Cass. n. 11844 del 2019; Cass. 16812 del 2018; Cass. 19150 del 2016); ii) nel caso di specie, la documentazione oggi invocata dal ricorrente, lungi dal potersi considerare effettivamente decisiva – nel senso che, se presa in considerazione, avrebbe portato con certezza il giudice del merito ad un diverso esito diverso della corrispondente domanda (non bastando, invece, la prognosi di mera possibilità o probabilità di un differente esito) – al più poteva rappresentare un elemento indiziario da porre a fondamento di un ragionamento presuntivo volto a giungere a conclusioni magari diverse da quelle esposte dal tribunale felsineo, così procedendosi, però, a valutazioni che, impingendo nel merito, sono inammissibili nel giudizio di legittimità.

4. L’odierno ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, atteso che il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato, altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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