Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4367 del 21/02/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4367 Anno 2013
Presidente: MASSERA MAURIZIO
Relatore: D’AMICO PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 2798-2010 proposto da:
CHIANETTA GESUA CHNGSE38B600514Y, CASTELLANA PASQUALE
CSTPQL71H10A089G,
CSTGLN73H03D514A,

CASTELLANA
CASTELLANA

GERLANDO
BENEDETTA.

CSTBDT81P56A089H, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA COLA DI RIENZO 8, presso lo studio dell’avvocato
2013
108

ANDREOZZI ANTONIO, rappresentati e difesi dagli
avvocati SCHILLACI LUCIANO, ARNONE GIUSEPPE giusta

delega in atti;
– ricorrenti contro

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Data pubblicazione: 21/02/2013

COMUNE DI FAVARA 80004120848, in persona del Sindaco
pro tempore Avv. DOMENICO RUSSELL°, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 6, presso lo
studio dell’avvocato DOMINICI GIULIANO, rappresentato
e difeso dall’avvocato TRIOLO GIACOMO giusta delega in

controricorrente –

avverso la sentenza n. 1580/2008 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 01/12/2006, R.G.N.
1072/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/01/2013 dal Consigliere Dott. PAOLO
D’AMICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO SPESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

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atti;

Svolgimento del processo

Gesua

Chianetta,

Pasquale

Castellana,

Gerlando

Castellana e Benedetta Castellana convennero dinanzi al
Tribunale di Agrigento il Comune di Favara chiedendo il
risarcimento dei danni subiti dal fabbricato di loro

relativi alla rete idrica comunale.
Il Comune sollevò eccezione di prescrizione in
relazione ai danni verificatisi negli anni 1991 e 1994 e
chiese nel merito il rigetto della pretesa.
Con sentenza del 9-13 aprile 2004 il Tribunale di
Agrigento, disattesa la preliminare eccezione di
prescrizione, condannò il Comune di Favara al pagamento, in
favore degli attori, dell’importo di C 12.229,70, oltre
accessori, per i2 deterioramento dei cereali contenuti nel
fabbricato di proprietà degli attori; rigettò invece, per
mancanza di prova, la domanda di risarcimento dei danni
strutturali del fabbricato.
Proposero appello i Chianetta – Castellana.
Il Comune resistette al gravame e propose impugnazione
incidentale.
La Corte d’Appello di Palermo ha respinto il gravame
proposto avverso la sentenza del Tribunale di Agrigento.

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proprietà a seguito dei lavori di scavo e di riparazione

Propongono ricorso per cassazione Gesua Chianetta,
Pasquale Castellana, Cenando Castellana e Benedetta
Castellana, con due motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Favara.
Motivi della decisione

erronea valutazione degli elementi di prova disponibili:
contraddittoria illogica e insufficiente motivazione in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. – Conseguente violazione
e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. 2043

e

2697 cod. civ.»
Il motivo si conclude con i seguenti quesiti di
diritto:
A) «Dica la Suprema Corte se il Giudice d’Appello,
nella ricostruzione del fatto controverso, oggetto di
specifica impugnazione, riguardante la censurata
circostanza che la Sentenza del Tribunale aveva rigettato
la domanda di risarcimento dei danni alle fondazioni ed
alle strutture murarie di un immobile, accogliendo invece
quella dei danni ai cereali e ad alcune attrezzature nello
stesso contenuti, abbia commesso il denunciato errore
motivazionale, violando le norme processuali ex artt. 115 e
116 c.p.c. (disponibilità e valutazione delle prove), per
avere, sulla base delle stesse evidenze probatorie,
erroneamente

ritenuto

provato

non
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il

diritto

Con il primo motivo parte ricorrente lamenta «Omessa ed

risarcimento del danno alle fondazioni ed alle strutture di
un immobile, e provato, invece, quello al contenuto di
esso, mentre avrebbe dovuLo, sulla base degli stessi
elementi, ritenere parimenti provato anche il diritto al
risarcimento dei danni alle fondazioni e alle strutture

B) «Dica la Suprema Corte se la Corte d’Appello abbia
violato le norme di cui agli artt. 115, 116 c.p.c., 2043 e
2697 c.c., per aver rigettato lo specifico motivo di
gravame avverso la sentenza del Tribunale che, pur
sostenuto da sufficienti principi di prova, sia in ordine
al fatto illecito generatore del danno (colposa fuoriuscita
d’acqua dalle condotte idriche comunali), sia in ordine al
danno causato (allagamento dei locali e di ciò che in essi
era contenuto), sia, infine, al relativo nesso causale tra
di essi, ha accolto con grave violazione delle suddette
norme, la richiesta di risarcimento dei danni limitandola
al solo contenuto del fabbricato danneggiato dalle acque,
mentre avrebbe dovuto accogliere anche la domanda di
risarcimento dei danni alle mura e alle fondazioni
dell’immobile.»
Parte ricorrente sostiene che non si comprende perché
il Tribunale, pur avendo accolto, ai sensi dell’art. 2043
c.c., la richiesta di risarcimento dei danni ai cereali

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murarie del fabbricato.»

allagati ha poi rigettato la domanda di risarcimento dei
danni alle strutture murarie ed alle fondazioni del mulino.
In particolare, si afferma che la consulenza tecnica di
parte dell’Ing. Chiarenza avrebbe dovuto costituire, per la
Corte d’Appello, analogamente a guanto avvenuto per i danni

e

sufficiente

ai fini dell’accertamento dei danni alle strutture murarie
ed alle fondazioni del mulino.
Secondo i ricorrenti dalla detta perizia emergeva con
chiarezza come l’aggravamento delle già precarie condizioni
dell’immobile fosse da addebitare ai continui fenomeni di
allagamento del terreno di fondazione che si verificavano
ogniqualvolta il Comune di Favara procedeva
all’effettuazione di lavori alla rete idrica nei pressi
della loro proprietà. Hanno perciò errato i Giudici nel
ritenere non provato il danno alle mura ed alle fondazioni
del mulino.
La Corte territoriale in altri termini, in violazione
degli artt. 2043 e 2697c.c. e 115 c.p.c. cade in
contraddizione allorché, sulla base delle medesime evidenze
probatorie, ha ritenuto provato il danno ai cereali e ad
alcune attrezzature e non provato il danno alle strutture
del fabbricato.
Con il secondo motivo si denuncia «Mancato accoglimento
della istanza di nomina di consulente tecnico d’ufficio:
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ai cereali, un elemento di prova necessario

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in
relazione all’art. 360 n. c.p.c. violazione e falsa
applicazione degli artt. 2697 e 2043 c.c., 115 e 116 e 61
c.p.c.»
Il motivo si conclude con i seguenti quesiti:

ricostruzione del fatto controverso, oggetto di specifica
impugnazione, riguardante la censurata erronea valutazione
da parte del Tribunale in ordine al mancato assolvimento
dell’onere probatorio, abbia omesso ovvero adottato una
motivazione insufficiente e contraddittoria, nell’avere
disatteso l’istanza di ammissione della consulenza tecnica
d’ufficio sull’esclusivo e generico rilievo di una asserita
assenza di prova degli elementi logici antecedenti
l’indagine tecnica, mentre, viceversa, tali elementi erano
stati forniti sulla base di prove documentali (ammissioni
della controparte confermative delle relazioni tecniche di
parte). Cosicché, dipendendo la decisione della
controversia unicamente dalla risoluzione di una questione
tecnica e, dunque, essendo i fatti dedotti dalla parte non
altrimenti definitivamente verificabili ed accertabili, se
non in base all’impiego di conoscenze tecniche, di cui il
Giudice non dispone, la Corte d’Appello ha commesso il
denunciato errore motivazionale su un punto decisivo della
controversia non ammettendo la chiesta consulenza d’ufficio
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C) «Dica la Sprema Corte se la Corte d’Appello nella

pur in presenza delle dimostrate ragioni in ordine
all’indispensabilità di essa.»
D) «Dica la Suprema Corte se la Corte d’Appello abbia
violato le norme di cui agli artt. 115, 116 e 61 c.p.c.,
2043 e 2697 c.c., per aver rigettato lo specifico motivo di

disposto la chiesta CTU, non tenendo, dunque, conto che
erano stati offerti sufficienti elementi di prova
(ammissioni della controparte confermative delle relazioni
tecniche di parte) e che, dipendendo la decisione della
controversia unicamente dalla risoluzione di una questione
tecnica, i fatti dedotti dalla parte non erano altrimenti
definitivamente verificabili ed accertabili, se non in base
all’impiego di conoscenze tecniche. »
I ricorrenti criticano in particolare l’impugnata
sentenza perché quest’ultima non ha rispettato il
principio di adeguata motivazione in ordine al rifiuto di
disporre una consulenza tecnica d’ufficio.
La Corte d’Appello, si afferma, presupponendo non
provato il danno alle strutture murarie ed alle fondazioni
del mulino ha errato nel negare l’ammissione della chiesta
c.t.u. perché, dipendendo la decisione della causa
dall’accertamento di

fatti

rilevabili unicamente con

l’aiuto di specifiche cognizioni tecnico-scientifiche la

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gravame avverso la sentenza del Tribunale che non ha

stessa avrebbe confermato il nesso di causalità ed i
conseguenti danni subiti.
I motivi sono inammissibili.
Alla luce di una consolidata giurisprudenza di questa
Corte il quesito di diritto previsto dall’art. 366 bis cpc,
al presente ricorso, deve

ratione temporis

costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e
porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere ad
esso con l’enunciazione di una

regula iuris

che sia, in

quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi
ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del
giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.
In difetto di tale articolazione logico-giuridica il
quesito si risolve o in un’astratta petizione di principio
o in una mera riproposizione di questioni di fatto con
esclusiva attinenza alla specifica vicenda processuale o
ancora in una mera richiesta di accoglimento del ricorso,
come tale inidonea ad evidenziare il nesso logico-giuridico
tra singola fattispecie e principio di diritto astratto,
oppure infine nel mero interpello della Corte di
legittimità in ordine alla fondatezza della censura così
come illustrata nell’esposizione del motivo.
Per quanto riguarda, invece, la formulazione dei motivi
nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, si è
sottolineato che, in attuazione di quanto disposto dal
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applicabile

secondo comma dell’art. 366 bis c.p.c., la censura di
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve
contenere un momento di sintesi (che svolge l’omologa
funzione del quesito di diritto per i motivi di cui
all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4) che ne circoscriva

incertezze in sede di formulazione del ricorso e di
valutazione della sua ammissibilità (v. Cass., S.U., n.
20603/07.
Tale momento di sintesi deve, quindi, sostanziarsi in
una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e
riassuntivamente destinata e che si traduca in sostanza in
una sintetica esposizione del fatto controverso, degli
elementi di prova valutati in modo illogico o illogicamente
trascurati, del percorso logico in base al quale si sarebbe
dovuto pervenire, se l’errore non vi fosse stato, ad un
accertamento di fatto diverso da quello posto a fondamento
della decisione (v. Cass., ord., n. 16567/08).
Nel caso in esame i quesiti non formulano un principio
di diritto di cui si chiede l’affermazione, né spiegano le
ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione
ma hanno carattere valutativo.
I motivi sono comunque infondati.

lo

puntualmente i limiti, in modo tale da non ingenerare

Infatti il principio secondo ctO il provvedimento che
dispone la consulenza tecnica rientra nel potere
discrezionale del giudice del merito, incensurabile in sede
di legittimità, va contemperato con l’altro principio
secondo cui il giudice deve sempre motivare adeguatamente

per la definizione della causa; ne consegue che, quando il
giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni
proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune
esperienza, sufficienti a dar conto della decisione
adottata, non può essere censurato il mancato esercizio di
quel potere, mentre se la soluzione scelta non risulti
adeguatamente motivata, è sindacabile in sede di
legittimità sotto l’anzidetto profilo (Cass., 3 gennaio
2011, n. 72)
Nel caso in esame il ricorrente non riferisce come la
Corte d’Appello ha giustificato il rigetto della C.t.u.
Né emerge dal ricorso che abbia fornito prova certa del
nesso causale tra il danno alle strutture murarie del
fabbricato ed i lavori eseguiti dall’amministrazione
comunale.
Ciascuna delle parti ha infatti l’onere di provare i
fatti che allega e dai quali pretende che derivino
conseguenze giuridiche a suo favore, spettando al giudice
di merito, e rientrando nel suo potere discrezionale,
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la decisione adottata su una questione tecnica rilevante

individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le
prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza,
scegliere fra le risultanze istruttorie quelle ritenute
idonee a dimostrare i fatti costitutivi della domanda.
In conclusione, i motivi devono essere rigettati con

cassazione che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna pare ricorrente
alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in C
7.200,00, di cui C 7.000,00 per compensi, oltre accessori
di legge.
Roma, 16 gennaio 2013

condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di

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