Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4367 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. un., 18/02/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 18/02/2021), n.4367

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente di Sezione –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37688-2019 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO

3, presso lo STUDIO LEGALE SANASI D’ARPE – LEXIA AVVOCATI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO DAGNINO;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLIO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente –

nonchè contro

PROCURA GENERALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DI APPELLO DELLA

CORTE DEI CONTI PER LA REGIONE SICILIANA;

– intimata –

per revocazione dell’ordinanza n. 11504/2019 della CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, depositata il 30/04/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2020 dal Consigliere RUBINO LINA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. – La Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana conveniva in giudizio l’on. M.L., nella sua qualità di Presidente del Gruppo parlamentare Futuro e Libertà per l’Italia (F.L.I.) dell’Assemblea Regionale Siciliana (A.R.S.), chiedendone la condanna al pagamento della complessiva somma di Euro 65.366,85, oltre accessori, a titolo di danno erariale, patito dall’A.R.S., per le somme erogate a detto Gruppo nel corso della XV legislatura (dal 27 ottobre 2010 al 4 dicembre 2012) e utilizzate per finalità non istituzionali.

2. – Nel contraddittorio con il convenuto, l’adita Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana, con sentenza depositata in data 5 maggio 2016, riteneva indebite, in quanto non ammissibili a rimborso, per la loro natura ovvero perchè erogate in assenza di alcuna giustificazione, le erogazioni contestate, e condannava il M. al pagamento, in favore dell’A.R.S., della complessiva somma di Euro 56.803,21.

3. – Il gravame interposto dal soccombente avverso detta decisione veniva parzialmente accolto dalla Sezione giurisdizionale di appello per la Regione siciliana della Corte dei conti, con sentenza n. 93/A/2017, resa pubblica in data 20 luglio 2017, che rideterminava l’importo della condanna nella minor somma di Euro 49.136,81, oltre accessori dalla data di cessazione della carica avvenuta il (OMISSIS).

4. Il giudice contabile, per quanto rileva in questa sede, osservava che: i Presidenti dei gruppi consiliari, anche prima dell’introduzione ex lege dell’obbligo di rendiconto (per le Regioni ordinarie con il D.L. n. 174 del 2012 e per la Sicilia con regolamento interno dell’Assemblea del 6 febbraio 2014), rispondevano in via amministrativa e contabile “in caso di illecita utilizzazione dei fondi destinati” ai gruppi stessi; le funzioni direttive e organizzative dei Presidente dei gruppi sono state confermate da vari decreti del Presidente dell’Assemblea regionale siciliana (ARS): in particolare, con decreto del presidente dell’ARS n. 654/2003 è stato previsto, ” a decorrere dal 1 gennaio 2003, un contributo “unificato” mensile a favore di ciascun gruppo assembleare, che il D.P.A. n. 82/2006 specifica essere destinato ai gruppi “per l’esercizio della proprie funzioni”, affiancandosi a detto contributo il contributo c.d. per i dipendenti stabilizzati e il contributo c.d. portaborse, poi soppresso dal D.P.A. n. 95 del 2010; dall’esame complessivo dei D.P.A. emerge che, anche prima del 2012, doveva essere chiesta una documentazione giustificativa per l’erogazione dei contributi, con compiti di verifica e di vigilanza sulla concreta utilizzazione dei contributi stessi in capo al Presidente del gruppo; la responsabilità dell’on. M. è quella propria di chi, avendo conseguito la materiale disponibilità del denaro (attraverso i contributi percepiti), ne abbia in qualche modo fatto un uso non accorto, contravvenendo alla corretta destinazione delle risorse gestite, in violazione dei principi generali di contabilità e delle norme disciplinanti la contribuzione pubblica ai gruppi stessi; lo sviamento di risorse qualifica in termini di danno erariale il pregiudizio conseguente alla dimostrazione della non corrispondenza dell’utilizzo di esse alle finalità prestabilite e ricade nell’ambito di cognizione della Corte dei conti, quale giudice naturale costituzionalmente deputato alla tutela del pubblico erario.

5. – Il ricorso per cassazione proposto da M.L. avverso la predetta sentenza, cui resisteva con controricorso il Procuratore generale rappresentante il pubblico ministero presso la Corte dei conti è stato dichiarato inammissibile con l’ordinanza pronunciata dalle Sezioni Unite di questa Corte in data 30 aprile 2019, n. 11504 del 2019, che ha dato continuità ai principi già espressi con l’ordinanza 16 gennaio 2019, n. 1035, in fattispecie sovrapponibile a quella esaminata.

6. Con l’ordinanza n. 11504 del 2019 le Sezioni Unite hanno affermato (richiamando anche Cass., Sez. U., 17 dicembre 2018, n. 32618) che la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei Consigli regionali è soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità erariale; che rimane nell’alveo dei limiti interni della giurisdizione contabile la verifica di difformità, compiuta dalla Corte dei conti, delle attività di gestione del contributo erogato al gruppo consiliare rispetto alle finalità, di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente; che una tale verifica era stata compiuta dal giudice contabile con la sentenza impugnata, siccome imperniata su un giudizio di congruità e di pertinenza tra il concreto utilizzo dei contributi percepiti dal gruppo assembleare nel periodo di presidenza dell’on. M. (dal (OMISSIS)) e i fini per i quali i contributi stessi erano stati erogati, secondo le formali indicazioni recate dai vari decreti del Presidente dell’ARS succedutisi nel tempo (sino al 2012), che tali contributi avevano previsto, regolato e destinato per l’esercizio delle funzioni proprie degli stessi gruppi presenti all’interno dell’Assemblea; che anche un eventuale errore commesso dal giudice contabile nel concreto svolgersi dell’anzidetta verifica non avrebbe consentito di ritenere superati i limiti esterni della giurisdizione spettante al medesimo giudice, essendo ascrivibile a violazioni di legge, sostanziale o processuale, concernenti soltanto il modo d’esercizio della giurisdizione speciale e non inerenti all’essenza di essa o allo sconfinamento dai relativi limiti esterni (secondo quanto già affermato, tra le molte, da Cass., Sez. U., 30 marzo 2018, n. 8045).

7. L’ordinanza n. 11504 del 2019 ribadiva conclusivamente il principio di diritto già espresso da S.U. n. 1035 del 2019, secondo cui il quadro normativo di riferimento in base al quale compiere la verifica di conformità tra i fini per i quali i contributi venivano erogati e il loro concreto utilizzo ben poteva, anche prima della modifica regolamentare del febbraio 2014, essere integrato dalle delibere dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea regionale che, nel tempo (a partire dal marzo 1988, come specificatamente indicato nella ordinanza impugnata in questa sede), hanno previsto e regolato l’assegnazione del contributo ai gruppi assembleari, delineandone i fini e prevedendo compiti di vigilanza del Presidente del gruppo sulla “corretta utilizzazione dei contributi stessi”, essendo dette delibere espressione della potestà spettante all’Ufficio di Presidenza in base al regolamento interno dell’ARS (segnatamente, art. 11), a sua volta autorizzato dallo statuto della Regione siciliana (art. 4) e, dunque, costituendo disciplina cogente secondo il disegno ordinamentale, in linea con l’autonomia differenziata garantita alla Regione siciliana.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che:

8. – Avverso l’ordinanza n. 11504/2019 ha proposto ricorso per revocazione illustrato da memoria M.L., denunciando che la Corte sia incorsa in un errore di fatto, risultante dagli atti o dai documenti della causa, ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, nel decidere il giudizio: in particolare, le Sezioni Unite avrebbero errato nell’identificare i decreti del Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, posti a fondamento del giudizio, come delibere dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea, adottate ai sensi dell’art. 11 del regolamento interno dell’A.R.S., quindi ricostruendo i predetti decreti come provvedimento collegiale dell’Assemblea, idoneo a integrare normativamente il regolamento imponendo il vincolo dei fondi attribuiti ai gruppi a finalità istituzionali, e l’obbligo di vigilanza in capo ai presidenti dei gruppi assembleari stessi, anzichè come mero provvedimento monocratico del suo Presidente, di valore esclusivamente amministrativo.

9. – In particolare, il punto in relazione al quale emergerebbe la rilevanza del denunciato errore di fatto si avrebbe laddove le S.U., nel disattendere il secondo motivo di ricorso, hanno osservato che “il quadro normativo di riferimento in base al quale compiere la verifica di conformità tra i fini per i quali i contributi venivano erogati e il loro concreto utilizzo ben poteva, anche prima delle modifiche regolamentari del 2014, essere integrato dalle delibere dell’Ufficio di presidenza dell’Assemblea regionale, che, nel tempo (a partire dal marzo 1988, come specificatamente indicato nella sentenza impugnata in questa sede) hanno previsto e regolato l’assegnazione del contributo ai gruppi assembleari, delineandone i fini e prevedendo compiti di vigilanza del presidente del gruppo sulla “corretta utilizzazione dei contributi stessi”, essendo dette delibere espressione della potestà spettante all’Ufficio di Presidenza in base al regolamento interno dell’ARS (segnatamente, art. 11), autorizzato dallo statuto della Regione siciliana (art. 4), e, dunque, costituendo disciplina cogente secondo il disegno ordinamentale, in linea con l’autonomia differenziata garantita alla Regione siciliana”.

10.- Il ricorrente individua l’errore di fatto nell’aver il provvedimento impugnato affermato, e posto alla base della propria valutazione in diritto, l’esistenza di alcune delibere dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea regionale siciliana, adottate ai sensi dell’art. 11 del regolamento interno, aventi quindi la capacità di integrare il precetto normativo imponendo il vincolo di destinazione dei fondi. Di queste delibere il ricorrente nega l’esistenza, e afferma che i documenti indicati, citati nel provvedimento impugnato e da lui depositati nuovamente in questa sede (i DD.PP.AA. nn. 654/2003 e 82/2006), non fossero in realtà delibere collegiali dell’Ufficio di Presidenza dell’assemblea, ma meri decreti del suo Presidente, non aventi lo stesso valore integrativo della norma di diritto, ma di circolari interne.

11.- Il ricorso aggiunge che non si tratta di un’ipotesi di attività valutativa del giudice, come tale non riconducibile nell’alveo dell’errore di fatto rilevante ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, ma piuttosto di un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti del giudizio di legittimità e tale da aver indotto la stessa Corte a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta esistenza di un fatto, le delibere dell’Ufficio di Presidenza dell’ARS, positivamente inesistente nella realtà processuale.

12. – La supposta esistenza delle delibere avrebbe avuto poi peso determinante nella decisione, portando la stessa ad un epilogo del tutto differente, e l’errore di fatto sarebbe per questo rilevante, perchè la Suprema Corte sarebbe giunta alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proprio sulla base della falsa supposizione dell’esistenza delle delibere dell’Ufficio di Presidenza (che sole avrebbero potuto imprimere il vincolo di destinazione pubblicistica alle risorse assegnate ai gruppi consiliari, essendo espressione della potestà regolamentare spettante all’Ufficio di presidenza sulla base dell’art. 11 del regolamento interno, autorizzato a tanto, a sua volta, dall’art. 4 dello Statuto della Regione Siciliana).

13. – Il relatore, nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato una proposta nel senso della inammissibilità del proposto ricorso per revocazione.

14.- La Procura generale della Corte dei conti resiste con controricorso, argomentando nel senso della inammissibilità del proposto ricorso per revocazione, proposto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4. Sottolinea che l’ipotesi di revocazione per errore di fatto, disciplinata dalla norma richiamata, presuppone una falsa percezione della realtà, dovuta ad una svista immediatamente ed obiettivamente rilevabile, che abbia indotto il giudice a sostenere l’esistenza di un fatto decisivo che risulta incontestabilmente escluso dagli atti o, viceversa, l’insussistenza di un fatto decisivo che dagli atti medesimi risulta incontestabilmente accertato. Nel caso di specie, poichè la Suprema Corte ha ben tenuto conto dei documenti ai quali si riferirebbe l’errore, ovvero dei Decreti del Presidente dell’ARS, tanto esclude l’errore di percezione, potendo al più essere astrattamente ipotizzabile la diversa ipotesi dell’errore di valutazione, che non ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4. Ove mai si ritenesse il ricorso ammissibile, la Procura generale ne evidenzia comunque l’infondatezza.

15. – Il collegio concorda con la valutazione del relatore e dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Alla base del provvedimento impugnato non appare ravvisabile il denunciato travisamento del fatto – consistente, come ipotizzato, nell’aver ritenuto esistenti alcuni provvedimenti del Consiglio di Presidenza dell’Assemblea regionale Siciliana, aventi valore normativo, identificando erroneamente per tali alcuni decreti del Presidente dell’Assemblea, atti di diversa provenienza (in quanto emanati dal Presidente, e non dal Consiglio di Presidenza, dell’ARS), emanati da organo di diversa composizione (monocratica, non collegiale) e dotati di diverso valore (amministrativo, non normativo).

1.6. – Quello che invece emerge chiaramente dall’ordinanza impugnata è che quegli atti siano stati correttamente identificati nella loro materialità (di decreti del Presidente dell’ARS), dapprima a pag. 3 e 4, laddove l’ordinanza n. 11504 sintetizza il contenuto del provvedimento impugnato in quella sede e successivamente a pag. 8 del testo dell’ordinanza impugnata per revocazione.

17.- Tali decreti sono poi stati interpretati e ricondotti all’attuazione della già espressa potestà spettante all’Ufficio di Presidenza, di regolamentare con proprie delibere, in base al regolamento interno dell’A.R.S. (art. 11), autorizzato dallo Statuto, i compiti di vigilanza dei presidenti dei gruppi sull’utilizzo dei contributi. Quindi, gli errori in tesi imputati alla ordinanza della quale è chiesta la revocazione non sono riconducibili all’ipotesi di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391 bis c.p.c.. Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; l’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio; esso presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dal provvedimento oggetto di revocazione, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dal provvedimento non sia frutto di giudizio; ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico o siano frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (v. tra le altre, Cass. n. 8615 del 2017).

18. – Nel caso in esame nessun errore di fatto è intervenuto sulla identificazione dei richiamati decreti come atti provenienti direttamente dal Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, in quanto essi sono stati considerati attuativi di una delibera, a monte, adottata dal Consiglio di Presidenza, nella quale si prevedeva espressamente che alla stessa sarebbe stata data successiva attuazione mediante l’adozione di decreti presidenziali. Si tratta quindi non di una errata identificazione degli atti, ma di una attività di interpretazione e valutazione di essi, in conformità con l’attività valutativa già in precedenza compiuta da questa Corte in relazione ai medesimi decreti del Presidente dell’A.R.S., già in passato qualificati come provvedimenti aventi valore normativo in quanto espressione della volontà dell’intero Consiglio di Presidenza (v. Cass. S.U. n. 1035 del 2019) e non come meri atti interni emanati dal Presidente.

19. – Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.

20. – Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, stante la posizione di parte solo in senso formale del Procuratore generale della Corte dei conti. Il Procuratore generale, infatti, così come non può sostenere l’onere delle spese processuali nel caso di sua soccombenza, al pari di ogni altro ufficio del pubblico ministero, non può essere destinatario di una pronuncia attributiva della rifusione delle spese quando, come nella specie, soccombenti risultino i suoi contraddittori.

21. – Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

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