Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4366 del 23/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2011, (ud. 20/10/2010, dep. 23/02/2011), n.4366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.G., elettivamente domiciliata in Roma, Via Denza,

n. 20, nello studio degli Avv. Prof. DEL FEDERICO Lorenzo e Laura

Rosa, che la rappresentano e difendono, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze Agenzia delle Entrate;

– intimati –

avverso la sentenza della commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 49/20/05, depositata in data 19 maggio 2005;

sentita la relazione della causa svolta alla Pubblica udienza del 20

ottobre 2010 dal Consigliere Dott. Pietro Campanile;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Maurizio Velardi, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

1. – R.G. proponeva ricorso avverso il silenzio rifiuto formatosi in merito alla propria istanza di rimborso della somma versata a titolo di imposta sostitutiva relativa alla cessione di quote di capitale della S.r.l. Feltam, effettuata con atto del notaio Mattiangeli in data 30 giugno 1998. Si deduceva che con successiva scrittura privata del 25 settembre 1998, autenticata nelle firme, le stesse parti avevano dato atto della nullità della precedente cessione, da intendersi, quindi, risolta con efficacia ex tunc. 1.1 – La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 212 del 2003, respingeva il ricorso.

1.2 – La Commissione tributaria regionale del Lazio, con la decisione indicata il epigrafe, rigettava l’appello proposto dalla contribuente, affermando che, essendosi le cessioni perfezionate con la conclusione del contratto, la plusvalenza non poteva non intendersi realizzata, nè poteva considerarsi elisa per effetto del secondo negozio, qualificato come atto di risoluzione per mutuo dissenso, inopponibile ai terzi, tale dovendosi intendere anche l’Amministrazione finanziaria dello Stato.

1.3 Per la cassazione di tale decisione la R. propone ricorso, affidato a due motivi.

L’Agenzia delle Entrate ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze non svolgono attività difensiva.

Diritto

2. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 81 e 82, dell’art. 1372 c.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per non aversi considerato che lo scioglimento dell’atto di cessione, al quale non era stata data esecuzione, ne aveva travolto gli effetti, facendo venir meno il presupposto della plusvalenza.

Il motivo è infondato.

In primo luogo deve porsi in evidenza come la Commissione tributaria regionale abbia posto in evidenza, da un lato, come nell’atto di cessione delle quote le parti avevano dichiarato di aver ricevuto il pagamento del corrispettivo della cessione rilasciando quietanza, e dall’altro, che il successivo atto, privo di qualsiasi indicazione delle ragioni tali da determinare la nullità dell’atto precedente, era da qualificarsi come nuova convenzione, avente ad oggetto la retrocessione delle quote.

La ricorrente, con riferimento alla qualificazione del secondo atto come contratto di scioglimento per mutuo dissenso (essendo per altro ineccepibili, le argomentazioni contenute nella decisione impugnata in merito all’insussistenza di qualsiasi ipotesi di nullità del primo negozio), ha dedotto che nel caso di specie le parti hanno inteso attribuire efficacia retroattiva a tale risoluzione.

Tale argomentazione non coglie nel segno, in primo luogo perchè la sentenza impugnata ha espressamente qualificato come atto di retrocessione delle quote il secondo negozio (soluzione in linea con il principio secondo cui un vincolo contrattuale che abbia determinato, come nella specie, l’effetto traslativo, non può essere sciolto per mutuo consenso, risolvendosi in un contrarius actus, così come correttamente qualificato dalla Commissione tributaria regionale), e, in ogni caso, perchè il presupposto per la realizzazione di una plusvalenza va individuato nella stipulazione del contratto, occorrendo considerare sia la natura intrinseca e la configurazione giuridica dell’atto che opera il trasferimento del bene, prescindendo dalla natura delle clausole inserite nell’atto stesso quando siano estranee agli elementi essenziali del tipo di contratto concluso, sia agl’onerosità del negozio posto in essere, circostanza che ne determina la tassabilità (Cass., n. 2807/2002).

La decisione impugnata, oltre a rispettare il principio di competenza (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 16051 del 20/12/2001, n. 9667 del 2000), ha in ogni caso correttamente applicato il principio, desumibile dall’art. 1372 c.c., comma 2, secondo cui gli accordi sopravvenuti rispetto all’atto produttivo della plusvalenza sono inopponibili ai terzi, e, quindi all’Erario, (v. anche Cass. 19 dicembre 2008, n. 29745, proprio in relazione a procedimento connesso a quello in esame: in proposito si rileva come la deduzione di un giudicato esterno sia priva di qualsiasi fondamento giuridico).

2.1 – Con il secondo motivo si sostiene violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 e 132 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Si afferma, in termini assolutamente generici, che la Commissione tributaria regionale “ha del tutto pretermesso l’esame di alcune doglianze svolte in appello dall’odierna ricorrente”, osservandosi, poi, che non sarebbe stato considerato che “il corrispettivo pattuito non è stato mai pagato”.

Osserva la Corte che, a prescindere dalla constatazione che tale ultima circostanza è stata opportunamente valutata nell’impugnata decisione, la censura risulta complessivamente prospettata senza il rispetto dei principi di specificità e di autosufficienza che regolano la materia.

Come questa Corte ha costantemente ribadito, perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’ autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (Cass., 9 ottobre 2008, n. 24791;

Cass., 11 giugno 2008, n. 15462; Cass., 19 marzo 2007, n. 6361; la citata Cass. Sez. Un. , n. 15781 del 2005).

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, senza alcuna statuizione in ordine alle spese processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 20 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2011

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