Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4365 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. un., 18/02/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 18/02/2021), n.4365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente di Sezione –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sezione –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 410-2019 proposto da:

BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NAZIONALE 91 presso il

Servizio di Consulenza legale della Banca stessa, rappresentata e

difesa dagli avvocati DONATO MESSINEO e MARCO MANCINI;

– ricorrente –

contro

B.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI

51, presso lo studio dell’avvocato ENZO CARDI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati ANDREA DI PORTO e MARCELLO CARDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5800/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 09/10/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/11/2020 dal Consigliere SCARANO LUIGI ALESSANDRO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale CARDINO ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

uditi gli avvocati Donato Messineo e Marcello Cardi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 9/10/2018 il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, in accoglimento del gravame interposto dalla sig. B.C. e in conseguente riforma della pronunzia Tar Lazio 5/3/2018 (declinatoria della giurisdizione in favore del giudice ordinario sull’opposizione da quest’ultima spiegata avverso il provvedimento della Banca d’Italia n. (OMISSIS) del 1/3/2016 di irrogazione D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 145, di sanzione amministrativa pecuniaria per “alcune violazioni del testo unico bancario e delle disposizioni di attuazione” riscontrate all’esito di “accertamenti ispettivi svolti dalla Banca d’Italia tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015”), nonchè in ragione di contestate (“con nota del 28 aprile 2015, comunicata il 12 maggio successivo”) irregolarità relative a svolte “funzioni di consigliere di amministrazione della Banca” Popolare dell’Etruria e del Lazio, ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo sul solo atto regolamentare presupposto, a monte del provvedimento sanzionatorio, rimettendo gli atti al giudice di prime cure per l’esame del merito.

Avverso la suindicata pronunzia del giudice amministrativo d’appello la Banca d’Italia propone ora ricorso ex art. 111 Cost. e art. 362 c.p.c., affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la B..

Con requisitoria scritta del 26/10/2020 il P.G. presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia violazione degli artt. 102,103 e 113 Cost., art. 145 TUB 7, artt. 133 e 134 c.p.a. (nel testo risultante all’esito della sentenza Corte Cost. n. 94 del 2014).

Si duole non essersi dal giudice amministrativo d’appello considerato che “la materia, cui attiene la presente controversia, delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia per violazioni della normativa bancaria e finanziaria è espressamente devoluta dalla legge al giudice ordinario. L’art. 145, comma 4, TUB (sia nel testo, applicabile ratione temporis al caso che ci occupa, anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 72 del 2015, sia, comunque, anche nel testo ad esse posteriore) attribuisce infatti alla giurisdizione ordinaria… le opposizioni a sanzioni amministrative inflitte per inosservanza del testo unico bancario e delle relative disposizioni attuative”.

Lamenta non essersi considerato che la “devoluzione della predetta materia alla giurisdizione ordinaria” è invero “coerente con l’indiscussa qualificazione come diritti soggettivi delle situazioni giuridiche tutelate, in capo al privato, attraverso il rimedio dell’opposizione a sanzione amministrativa”.

Si duole non essersi del pari considerato che “il tradizionale assetto della giurisdizione sulle sanzioni amministrative nel settore bancario e finanziario (rinvenibile, anteriormente al TUB, già nel R.D.L. n. 375 del 1936, art. 90, conv. in L. n. 141 del 1938, c.d. legge bancaria) era stato modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, all. 1 (codice del processo amministrativo): detto codice, all’art. 133, comma 1, lett. I e art. 134, comma 1, lett. c, aveva attribuito alla giurisdizione esclusiva e di merito del giudice amministrativo le impugnazioni dei provvedimenti sanzionatori della Banca d’Italia”; e che “tale innovazione è… venuta meno per effetto della sentenza della Corte Costituzionale 15 aprile 2014, n. 94, la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo in parte qua, per eccesso di delega, la precedente disposizione del codice amministrativo, così determinando la piena reviviscenza del disposto dell’art. 145, comma 4, TUB e 95, comma 4, TUF”, analogamente a quanto disposto da Corte Cost. n. 162 del 2012, che “aveva ripristinato la giurisdizione ordinaria sulle analoghe sanzioni irrogate dalla Consob, altra Autorità di vigilanza del settore finanziario”.

Lamenta non essersi considerato che “l’odierna parte intimata ha chiesto l’annullamento non soltanto di due atti amministrativi nominativamente indicati (i provvedimenti del 27.6.2011 e del 18.12.2012 disciplinanti la procedura sanzionatoria…), ma anche di “ogni altro atto connesso e presupposto o applicativo””, essendo invero “indubbio che fra gli atti “connessi e applicativi” va annoverato, in primis, proprio il provvedimento di irrogazione delle sanzioni per cui è causa (doc. 16 fasc. 1^ grado cit.)… la cui impugnazione… ricade pacificamente entro la giurisdizione del giudice ordinario”, tant’è che “la stessa Dott.ssa B., non a caso, aveva in precedenza impugnato proprio davanti alla Corte d’Appello di Roma, per motivi in parte coincidenti con quelli poi dedotti dinanzi al Tar; la Corte di Appello medesima ha frattanto respinto l’impugnazione con la cennata sentenza del 5.11.2018 n. 6980”, sicchè “inspiegabilmente” la “sentenza del Consiglio di Stato qui impugnata nega al paragrafo 7 che il provvedimento sanzionatorio fosse fra quelli impugnati innanzi al G.A. dalla Dott.ssa B…. contraddicendo il chiaro tenore letterale dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e delle relative conclusioni… (v. ancora doc. A cit., pp. 2 e 21, per il riferimento a “ogni altro atto connesso e presupposto o applicativo”) e afferma la giurisdizione del giudice amministrativo “in relazione al solo atto presupposto” (così, testualmente, il paragrafo 8 della sentenza, con espressione invero poco comprensibile, giacchè… gli atti presupposti impugnati erano comunque più d’uno)”.

Si duole non essersi considerato che “la cognizione degli atti presupposti di un provvedimento asseritamente illegittimo segue necessariamente le regole di giurisdizione relative all’impugnazione del provvedimento stesso”, come affermato per la Consob e valido anche per la Banca d’Italia, giacchè “il petitum sostanziale del ricorso alla giurisdizione non può che essere la caducazione del provvedimento medesimo, dal quale è derivata la concreta lesione degli interessi del soggetto sanzionato e che in ogni caso assorbe e compendia in sè le eventuali violazioni nelle quali l’amministrazione sia potuta incorrere nell’esercitare il proprio potere sanzionatorio”.

Lamenta non essersi d’altro canto considerato che “anche con riferimento agli atti amministrativi generali il giudice ordinario dispone del potere di disapplicazione di cu alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, all. E (legge di abolizione del contenzioso amministrativo)”, e “può pertanto disapplicare il regolamento sanzionatorio ove lo giudichi illegittimo, così come può pronunciare l’annullamento o la riforma del provvedimento sanzionatorio anche per vizi derivati da uno o più atti endoprocedimentali”, sicchè il “riconoscimento della giurisdizione… sugli atti presupposti in capo al giudice ordinario competente a conoscere del provvedimento finale… non menoma in alcun modo i diritti e gli interessi del privato interessato”, essendo anzi “del tutto idonea ad assicurare la tutela effettiva della ricorrente”, in quanto “estesa al giudizio sull’atto concretamente produttivo di lesione, cioè il provvedimento sanzionatorio”.

Del pari, che “nel caso che ci occupa la Dott.ssa B. ha adito il giudice amministrativo al fine di far valere asseriti vizi dei regolamenti sulla procedura amministrativa sanzionatoria della Banca d’Italia e di alcuni atti endoprocessuali ad essa relativi solo dopo che era già stata sanzionata e dopo che… aveva già impugnato la sanzione -anche per quegli stessi vizi poi riproposti al G.A.- dinnanzi al Giudice Ordinario munito per legge della giurisdizione su di essa”, nel “tentativo… di ottenere una pleonastica duplicazione di tutela” rimettendo “impropriamente in discussione innanzi a G.A. il rigetto dell’opposizione già pronunciato dalla corte d’Appello di Roma… e di aggirare le regole di giurisdizione, mediante la sottoposizione a diverso giudice delle stesse questioni, ma con diverso apparente petitum”, laddove “tale azione è inammissibile, ove si consideri… la causa petendi, cioè l’intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio”, avendo “nel caso di specie il soggetto sanzionato… chiesto l’annullamento dei regolamenti non già per far meglio valere i propri diritti di difesa nel procedimento sanzionatorio… bensì al solo scopo di ottenere la caducazione in via derivata della sanzione adottata in base a quei regolamenti: questo, e solo questo, è il petitum sostanziale, che è il criterio determinante la giurisdizione”.

Ancora, che “l’attività sanzionatoria in materia bancaria” è “attività amministrativa vincolata e non discrezionale”, essendo “assolutamente pacifico, nella giurisprudenza in materia di sanzioni amministrative, il principio per il quale la cognizione del giudice della sanzione si estende… sia alla validità sostanziale della pretesa sanzionatoria (cioè alla sussistenza degli elementi, oggettivi e soggettivi, costitutivi dell’illecito), sia alla legittimità della sequenza procedimentale funzionale alla costituzione di detta pretesa”, sicchè “la delibera sanzionatoria è soggetta esclusivamente allo scrutinio del Giudice ordinario (opposizione ex art. 145 TUB)”, cui pertanto “spetta la cognizione di tutte le controversie concernenti le fasi procedimentali prodromiche a detta delibera”, non potendo dubitarsi che la “potestas iudicandi dell’organo giurisdizionale chiamato a conoscere dell’atto finale del provvedimento, avente efficacia esterna e fonte diretta di lesione, attragga anche la controversia afferente agli atti infra procedimentali ed a quelli “regolamentari a monte”. D’altra parte, vale l’elementare canone logico secondo cui “il più contiene il meno”: la cognizione demandata al Giudice ordinario sul provvedimento sanzionatorio finale non può che ricomprendere anche le censure afferenti agli atti presupposti, procedimentali o regolamentari, trattandosi di aspetti che incidono unicamente sulla accoglibilità della domanda (ossia sul merito), valutabile esclusivamente dal Giudice fornito di potestas iudicandi… Di talchè, accessorium sequitur principale”.

Si duole non essersi considerato che, “ritenendo sussistente la giurisdizione amministrativa su atti meramente prodromici e strumentali all’esercizio della potestà sanzionatoria, e quindi presupposti del provvedimento sanzionatorio”, si “finisce con l’aggirare la sottoposizione di quest’ultimo alla giurisdizione ordinaria sancita dalla legge e dalla Corte Costituzionale, sostituendo surrettiziamente ad essa una sorta di doppia giurisdizione amministrativa sugli atti presupposti e ordinaria sul provvedimento finale- e dando luogo così da un lato a un’indebita deminutio della giurisdizione ordinaria, e dall’altro al concreto rischio di contrasto di giudicati o, comunque, di conflitto fra gli effetti delle rispettive decisioni”.

Con il 2 motivo denunzia violazione degli artt. 102,103 e 113 Cost., 145 TUB 7, 133, 134 c.p.a. (nel testo risultante all’esito della sentenza Corte Cost. n. 94 del 2014), art. 24 e 111 Cost..

Si duole non essersi considerato che “il procedimento di cui la Dott.ssa B. lamenta l’illegittimità costituisce… il modus attraverso cui si esplica la potestà punitiva”, e che “non esiste” invero “potestà amministrativa senza procedimento nè, di converso, procedimento amministrativo senza potestà”, il “procedimento” costituendo “la sede necessitata di esplicazione del potere, per il tramite del quale si snoda lo ius puniendi, sfociante nell’adozione del provvedimento sanzionatorio ovvero nell’archiviazione (cioè in una sorta di “non luogo a provvedere”)”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti nei termini di seguito indicati.

E’ rimasto nel caso accertato che, all’esito di accertamenti ispettivi effettuati tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, con provvedimento n. (OMISSIS) del 1/3/2016 adottato D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 145, la Banca d’Italia ha irrogato all’odierna controricorrente B. sanzione amministrativa pecuniaria in ragione di “alcune violazioni del testo unico bancario e delle disposizioni di attuazione”, e in particolare di: “a) carenze nel governo, nella gestione e nel controllo dei rischi e connessi riflessi sulla situazione patrimoniale da parte dei consiglieri di amministrazione in carica nell’ultimo biennio; b) carenze nel governo, nella gestione e nel controllo dei rischi da parte dei componenti del Consiglio di amministrazione in carica fino ai primi mesi del 2014; c) carenze nel governo, nella gestione e nel controllo dei rischi da parte dell’ex Direttore generale; d) inosservanza delle disposizioni in materia di politiche e prassi di remunerazione e incentivazione da parte dei consiglieri di amministrazione; e) carenze nei controlli da parte dei componenti del Collegio sindacale”

La Banca d’Italia ha altresì (“con nota del 28 aprile 2015, comunicata il 12 maggio successivo) alla medesima contestato irregolarità relative a “funzioni di consigliere di amministrazione” della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio dalla medesima svolte.

In ordine all’opposizione dalla B. spiegata avverso il suindicato provvedimento della Banca d’Italia, in riforma della pronunzia Tar Lazio 5/3/2018 declinatoria della giurisdizione in favore del giudice ordinario, con l’odiernamente impugnata sentenza il Consiglio di Stato ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo sul solo atto regolamentare presupposto, a monte del provvedimento D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 145, irrogativo della sanzione amministrativa pecuniaria in argomento, rimettendo gli atti al giudice di prime cure per l’esame del merito.

Attesa l’impugnazione formulata dall’odierna ricorrente, la questione sottoposta all’attenzione di queste Sezioni Unite è se al giudice che ha giurisdizione sull’asseritamente illegittimo provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa spetti la cognizione anche dei relativi atti amministrativi e regolamentari presupposti.

La risposta è affermativa.

Come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare, le controversie relative all’applicazione delle sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 145, per violazioni commesse nell’esercizio dell’attività bancaria sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, la cui cognizione si estende agli atti amministrativi e regolamentari presupposti che hanno condotto all’emissione del provvedimento finale, i quali costituiscono la concreta e diretta ragione giustificativa della potestà sanzionatoria esercitata nel caso concreto ed incidono pertanto su posizioni di diritto soggettivo del destinatario (v., con riferimento a precedente in termini, Cass., Sez. Un., 2/10/2019, n. 24609).

Atteso che la giurisdizione va determinata sulla base della domanda, e ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non già la prospettazione compiuta dalle parti bensì il petitum sostanziale, si è posto al riguardo anzitutto in rilievo che quest’ultimo va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronunzia che si chiede al giudice bensì in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati (v. Cass., Sez. Un., 23/9/2019, n. 23551; Cass., Sez. Un., 14/7/2017, n. 17547; Cass., Sez. Un., 25/2/2016, n. 3732; Cass., Sez. Un., 7/4/2015, n. 6916; Cass., Sez. Un., 5/7/2013, n. 16883; Cass., Sez. Un., 11/10/2011, n. 20902; Cass., Sez. Un., 25/6/2010 n. 15323).

In altri termini, il petitum sostanziale va identificato non solo in base al provvedimento che si chiede al giudice ma anche dalla causa petendi, dovendo il giudice indagare sulla effettiva natura della controversia in relazione alle caratteristiche del particolare rapporto fatto valere in giudizio ed alla consistenza delle situazioni giuridiche soggettive in cui esso si articola e si svolge (v. Cass., Sez. Un., 8/5/2007, n. 10375; Cass., Sez. Un., 1/8/2006, n. 17461; Cass., Sez. Un., 30/11/2006, n. 25521; Cass., Sez. Un., 11/4/2006, n. 8374).

Si è ulteriormente precisato che, a tale stregua, la giurisdizione del giudice ordinario, con riguardo a una domanda proposta dal privato nei confronti della P.A., non può essere invero esclusa nemmeno allorquando contenga la richiesta di annullamento di un atto amministrativo, giacchè ove tale richiesta si ricolleghi alla tutela di una posizione di diritto soggettivo in considerazione della dedotta inosservanza di norme di relazione da parte dell’Amministrazione, quella giurisdizione va affermata, fermo restando il potere del giudice ordinario di provvedere alla sola disapplicazione dell’atto amministrativo nel caso concreto, in quanto lesivo di detto diritto soggettivo (v. Cass., Sez. Un., 30/11/2006, n. 25521; Cass., Sez. Un., 22/2/2005, n. 3508).

Si è d’altro canto osservato che, anche nelle ipotesi in cui in particolari materie la giurisdizione risulta normativamente attribuita al giudice amministrativo, essa non si estende ad “ogni controversia” in qualche modo concernente la materia devoluta alla relativa giurisdizione esclusiva, non essendo sufficiente il dato della mera attinenza ad essa della controversia, ma soltanto alle controversie che abbiano in concreto ad oggetto la valutazione di legittimità di provvedimenti amministrativi espressione di pubblici poteri (cfr., con riferimento a differente ipotesi, Cass., Sez. Un., 23/9/2019, n. 23551; Cass., Sez. Un., 25/2/2011, n. 4614. Cfr. altresì Cass., Sez. Un., 25/2/2016, n. 3732).

In tema non solo di sanzioni amministrative si è pertanto da queste Sezioni Unite affermato che il sindacato del giudice del provvedimento sanzionatorio si estende, in ossequio al principio accessorium sequitur principale, alla validità sostanziale del rapporto presupposto, concernendo tutte le fasi procedimentali in cui lo stesso si scandisce nonchè gli atti presupposti e regolamentari posti a fondamento dell’emissione del provvedimento impugnato, i quali delineano il modus di esercizio della potestas iudicandi (cfr. Cass., Sez. Un., 9/5/2010, n. 11082; con riferimento all’organizzazione e alla gestione dei rapporti di lavoro, cfr. Cass., Sez. Un., 17/12/2018, n. 32625; Cass., Sez. Un., 7/7/2014, n. 15427; Cass., Sez. Un., 15/9/2010, n. 19552; Cass., Sez. Un., 14/4/2010, n. 8836; e già Cass., Sez. Un., 8/11/2005, n. 21592. Cfr. altresì, in tema di tutela dei dati personali, Cass., Sez. Un., 14/4/2011, n. 8487).

A tale stregua, con riferimento al procedimento sfociato nell’emissione della sanzione amministrativa D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 145, giusta provvedimento della Banca d’Italia n. (OMISSIS) del 1/3/2016 in argomento, come invero correttamente osservato (anche) dal giudice di prime cure la cognizione dei relativi atti presupposti spetta al giudice che in ordine al medesimo ha giurisdizione, costituendo i medesimi la concreta e diretta ragione giustificativa della potestà sanzionatoria nel caso esercitata.

In altri termini, la valutazione dell’esercizio dei poteri da parte dell’Autorità spetta al giudice che ha giurisdizione sul provvedimento finale, che di tali poteri costituisce espressione.

La valutazione da parte di tale giudice va infatti estesa agli atti e ai regolamenti presupposti e funzionalmente collegati all’adozione, pretesamente illegittima, del provvedimento sanzionatorio finale, costituendone l’imprescindibile ragione giustificativa, quali specifici presupposti ed elementi costitutivi del rapporto giuridico dato (cfr. Cass., Sez. Un., 11/4/2006, n. 8374), e non già elementi da quest’ultimo avulsi, quali beni della vita su cui possa configurarsi tutela autonoma e diversa da quella assicurata dalla loro eventuale disapplicazione.

Disapplicazione che costituisce, va ribadito, modalità di piena tutela delle posizioni di diritto soggettivo incise dal provvedimento amministrativo illegittimo garantita dal giudice ordinario (cfr. Cass., Sez. Un., 18/6/2008, n. 16540; Cass., Sez. Un., 30/11/2006, n. 25521; Cass., Sez. Un., 5/6/2006, n. 13169), volta al conseguimento del risultato finale perseguito dall’istante (v., da ultimo, Cass., Sez. Un., 2/10/2019, n. 24609).

Un tanto risulta confermato dalla considerazione nella specie del petitum sostanziale della domanda del soggetto sanzionato e odierna controricorrente, che va propriamente ravvisato nella caducazione del provvedimento avente ad oggetto la sanzione amministrativa, asseritamente deliberata e irrogata in base ad atti amministrativi e regolamentari dei quali viene lamentata l’illegittimità e il contrasto con normativa di rango superiore, e non già nella lesione direttamente derivante dai suddetti atti presupposti, i quali ultimi assumono concreta (e non già meramente astratta) e diretta rilevanza solo se e in quanto come nella specie abbiano dato luogo all’emissione di un provvedimento di irrogazione di sanzione amministrativa, del quale pure è stata richiesta l’eliminazione.

Emerge a tale stregua evidente come non possa riconoscersi allora pregio all’argomento secondo cui il giudice ordinario difetta del potere di annullare e disapplicare erga omnes gli atti regolamentari in argomento.

Ne discende altresì, quale corollario, l’irrilevanza e non decisività nel caso della questione dall’odierna controricorrente paventata nei propri scritti difensivi relativa all’introduzione a tale stregua di “un vero e proprio unicum nell’ordinamento” costituito da “una singolare categoria di atti amministrativi -che “vivrebbe nell’esclusivo ambito della disciplina positiva della Banca d’Italia- non autonomamente impugnabili e non annullabili, ma soltanto disapplicabili dal Giudice ordinario”.

Orbene, come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di porre in rilievo, anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 205 del 2000 (il cui art. 7 ha introdotto un nuovo testo del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33) le controversie relative all’applicazione delle sanzioni amministrative irrogate ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 145, per la violazione delle norme che disciplinano l’esercizio dell’attività bancaria sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario (v. Cass., Sez. Un., 22/7/2004, n. 13709, e conformemente, Cass., Sez. Un., 24/1/2005, n. 1362).

D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 1, comma 2, ha una portata meramente ricognitiva della giurisdizione del giudice ordinario e della competenza della Corte d’Appello di Roma, posto che il citato D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, (come sostituito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7) non ha determinato l’attribuzione al giudice amministrativo delle controversie in tema di sanzioni amministrative bancarie, emergendo dalla sua formulazione come essa non fosse ricompresa nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto espressamente riferita alle “controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito”, sicchè la giurisdizione e la competenza permangono in capo alla Corte d’Appello di Roma, senza alcuna soluzione di continuità con il regime anteriore alla riforma del c.d. rito societario (v. Cass., Sez. Un., 15/7/2010, n. 16577, Cfr. altresì, da ultimo, Cass., 22/3/2019, n. 8237).

Tale conclusione risulta invero confermata anche dal giudice di legittimità costituzionale delle leggi, che nel dichiarare costituzionalmente illegittimo -per violazione dell’art. 76 Cost., l’art. 4, comma 1, n. 17), dell’Allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, nella parte in cui abrogava il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 145, commi da 4 a 8, ha attribuito alla Corte d’Appello di Roma la competenza funzionale per le controversie in materia di sanzioni inflitte dalla Banca d’Italia (v. Corte Cost., 15/4/2014, n. 94. Analogamente, con riferimento alla Consob, cfr. altresì Corte Cost., 27/6/2012, n. 162).

Alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto, deve dunque ribadirsi che al giudice ordinario va riconosciuta la giurisdizione sia in ordine al provvedimento amministrativo sanzionatorio in materia bancaria che relativamente ai relativi atti amministrativi e regolamentari presupposti.

Gli atti amministrativi e regolamentari costituenti presupposto e fondamento dell’irrogazione del provvedimento amministrativo sanzionatorio da parte della Banca d’Italia non possono essere invero logicamente considerati astrattamente di per sè e in termini avulsi da quest’ultimo, il quale del relativo procedimento costituisce atto finale, ma vanno funzionalmente valutati unitamente al medesimo, di cui nello specifico caso concreto costituiscono il fondamento, connotando la relativa incidenza su posizioni di diritto soggettivo del soggetto sanzionato.

Orbene, nell’affermare che “nel caso di specie risulta esattamente che il ricorso di primo grado ha ad oggetto l’annullamento del Regolamento della Banca d’Italia; mentre non ha assolutamente ad oggetto la sanzione applicata, che infatti è stata impugnata dinanzi al Giudice ordinario. Del resto, l’impugnativa della sanzione consolida l’interesse ad impugnare il Regolamento, essendo la ricorrente titolare di una posizione soggettiva d’interesse legittimo ad ottenerne l’annullamento, anche soltanto in parte qua”; e nel dichiarare la “giurisdizione del giudice amministrativo in relazione al solo atto presupposto, con rimessione della causa al primo giudice per l’esame del merito della controversia”, nell’impugnata sentenza il giudice amministrativo d’appello ha invero disatteso il suindicato principio.

Della medesima, in accoglimento nei suesposti termini dei primi due motivi di ricorso -assorbito il terzo condizionato (con il quale la ricorrente si duole non essersi considerato che controparte ha “sempre rivendicato nel corso dei giudizi a quibus l’asserita violazione di propri diritti fondamentali, e precisamente di inviolabili guarentigie riconducibili al proprio “diritto soggettivo inviolabile e fondamentale alla difesa e ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi garantito dall’art. 24 Cost.” asseritamente connotanti il procedimento sanzionatorio in argomento, e pertanto, “anche nella prospettazione avversaria… l’azione amministrativa contestata, ivi comprese le previsioni regolamentari a monte, è astrattamente suscettibile di incidere, semmai, su posizioni di diritto soggettivo”)-, s’impone pertanto la cassazione in relazione, senza rinvio, con declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario.

Le ragioni della decisione costituiscono giusti motivi per disporsi la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa senza rinvio l’impugnata sentenza e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

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