Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4363 del 23/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2011, (ud. 21/09/2010, dep. 23/02/2011), n.4363

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.T., elettivamente dom.ta in Roma, via Siacci 4,

presso lo studio dell’avvocato Voglino Alessandro, dal quale è

rappresentata e difesa, unitamente all’avvocato Benincasa Renato, per

procura speciale in margine al ricorso per revocazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, via dei

Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la ordinanza n. 16889/07 della Corte di Cassazione, sezione

5^ civile, emessa il 6 giugno 2007, depositata il 31 luglio 2007, nel

procedimento R.G. 11061/02 proposto da:

S.M. e B.T., rappresentati e difesi dagli

avvocati Renato Benincasa e Alessandro Voglino ed elettivamente

domiciliati presso lo studio del secondo, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrenti –

nei confronti di:

Ministero dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio in Roma via dei Portoghesi 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 20/14/01 della C.T.R. di Roma pronunciata il

23 gennaio 2001 e depositata il 4 aprile 2001, R.G. 4923/00;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 21 settembre

2010 dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito l’Avvocato Sabina Maroncelli (per delega avv.to Voglino) per i

ricorrenti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I contribuenti S.M. e B.T. ricorrevano avverso l’accertamento dell’Ufficio del Registro di Roma che elevava, ai fini dell’INVIM e dell’imposta di registro, da L. 225.000.000 a L. 581.700.000 il valore di un terreno in (OMISSIS) oggetto della sentenza del Tribunale civile di Roma n. 1588/95 registrata il 5 giugno 1995.

I ricorsi dei contribuenti venivano respinti dalla C.T.P. mentre la C.T.R. accoglieva solo parzialmente l’appello operando una modesta riduzione del valore accertato.

I contribuenti ricorrevano per cassazione contro la sentenza della C.T.R. affidandosi a quattro motivi di impugnazione. Si difendevano con controricorso il Ministero dell’Economia, e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.

Con ordinanza del 6 giugno 2007, depositata il 31 luglio 2007, la Corte di Cassazione dichiarava estinto il processo sulla base dell’istanza depositata dall’Avvocatura Generale dello Stato attestante la regolarità della domanda di definizione della controversia e il pagamento integrale di quanto dovuto ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 8.

Contro tale ordinanza ricorre per revocazione B.T. deducendo che l’ordinanza è stata emessa sull’erroneo presupposto di fatto della integrale chiusura della lite pendente mentre è stato il solo S., relativamente alla sola INVIM, a proporre istanza per la definizione e a provvedere al pagamento del dovuto. La ricorrente ripropone quindi i motivi di impugnazione già proposti con il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della C.T.R..

Si difende con controricorso l’Agenzia delle Entrate rilevando che il comportamento dei contribuenti aveva indotto l’Amministrazione finanziaria ad aderire alla richiesta di estinzione del giudizio.

Infatti, in data 20 maggio 2002, la B. aveva provveduto al pagamento di quanto dovuto per imposta di registro, interessi e sanzioni. Inoltre i contribuenti avevano impugnato l’avviso di liquidazione notificato il 28 marzo 2002 e la C.T.P. di Roma aveva provveduto a ridurre il debito di imposta e le sanzioni conformemente a quanto deciso dalla C.T.R. con la sentenza impugnata per cassazione dal S. e dalla B.. Tale sentenza della C.T.P. non era stata impugnata passando conseguentemente in giudicato. Quanto ai mezzi di ricorso relativi alla fase rescissoria l’Agenzia delle Entrate ne chiede il rigetto eccependo altresì l’efficacia di giudicato esterno formatosi sull’impugnazione dell’avviso di liquidazione.

La causa è stata rimessa alla udienza camerale del 4 novembre 2009 e rinviata alla pubblica udienza ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. civ., comma 3.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Per quanto riguarda il giudizio rescindente deve rilevarsi come l’ordinanza che ha dichiarato l’estinzione del processo sia il frutto di un errore di fatto rilevante ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 perchè si basa sull’erronea supposizione di una circostanza di fatto pacificamente smentita dalle risultanze documentali agli atti del giudizio. Risulta infatti chiaramente e inequivocamente che la chiusura della lite fiscale, pendente ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, è stata chiesta e perfezionata dal solo S. M. e non anche dalla ricorrente B.T.. Inoltre la predetta richiesta di chiusura della lite si è riferita esclusivamente all’imposizione INVIM e non anche agli altri tributi oggetto del giudizio (imposta di registro, catastale e di trascrizione con accessori).

Va pertanto revocata l’ordinanza impugnata dalla B..

Per quanto riguarda invece la fase rescissoria la ricorrente ha riproposto, come si è detto, i quattro originari motivi di ricorso per cassazione.

Con il primo motivo di ricorso ha infatti dedotto la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52 della L. n. 241 del 1990, art. 3 e dell’art. 24 Cost., nonchè la insufficiente e/o contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia riguardante il difetto di motivazione dell’accertamento.

La ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se incorra nella violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, della L. n. 241 del 1990, art. 3 e dell’art. 24 Cost., l’accertamento di maggior valore che sia privo dell’indicazione degli effettivi criteri determinativi del maggior valore enunciato e delle specificazioni richieste dalla concreta fattispecie presa in esame, che indichi un criterio di valutazione diverso da quello utilizzato dall’U.T.E. nella redazione della sua stima asseritamente recepita e che dichiari di basarsi su quest’ultima stima senza però allegarla allo stesso accertamento nè averla precedentemente portata a conoscenza dei contribuenti interessati e se conseguentemente sia incorsa nella violazione o falsa applicazione delle suddette norme di diritto la sentenza tributaria che abbia mancato di rilevare l’illegittimità dell’avviso di accertamento affetto dalle sopra specificate manchevolezze.

Il motivo è infondato.

L’Amministrazione finanziaria ha indicato gli elementi ricavati dalla stessa dichiarazione dei contribuenti in base ai quali ha ritenuto di elevare il valore del terreno oggetto di compravendita in base al criterio del reddito netto capitalizzato. Ha inoltre fatto riferimento a una stima comparativa dell’U.T.E. che è stata prodotta nel corso del primo grado del giudizio. Non vi è contraddizione fra i due metodi che – come ha rilevato nel controricorso l’Amministrazione finanziaria vengono entrambi usati per verificare ed eventualmente elevare i valori dichiarati dai contribuenti – e il riferimento alla stima dell’U.T.E. null’altro può significare se non che l’Amministrazione è pervenuta al medesimo risultato sulla base di entrambi i metodi comunemente usati.

La mancata allegazione della perizia all’accertamento pregiudica la legittimità di quest’ultimo. Va infatti seguito l’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte secondo cui, in tema di accertamento tributario, nel quadro della disciplina anteriore all’entrata in vigore della L. 27 luglio 2000, n. 212 (recante lo statuto dei diritti del contribuente) – applicabile nella specie “ratione temporis” -, può ritenersi sufficientemente motivato un avviso di accertamento che rinvii, senza tuttavia allegarla, ad una relazione di stima redatta dall’ufficio tecnico erariale (UTE), in quanto il contribuente, essendo in grado di conoscere il contenuto di siffatto elemento extratestuale, è posto in condizione di identificare compiutamente i termini e le ragioni dell’accertamento e, quindi, di approntare la difesa.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi regolatori dell’onere della prova della pretesa impositiva nonchè la insufficiente e/o contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia riguardante il difetto di prova sia dei presupposti di rettifica, sia della congruità del maggior valore accertato.

La ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se incorra nella violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi regolatori dell’onere della prova della pretesa impositiva l’accertamento di maggior valore a sostegno del quale non sia stata ritualmente addotta alcuna obiettiva e valida prova da parte dell’ufficio finanziario a ciò onerato e se, conseguentemente, sia incorsa nella violazione o falsa applicazione delle suddette norme e principi di diritto la sentenza tributaria che abbia mancato di rilevare la censurata mancanza di prova, tanto in ordine ai presupposti dell’accertamento quanto in ordine alla congruità dei valori rettificati, attribuendo alla stima dell’U.T.E. che ne è del tutto sprovvista e spingendosi addirittura ad affermare un’inesistente presunzione di legittimità dell’accertamento tributario tale da rovesciare l’onere di prova contraria in capo al contribuente (Cass. Civ. n. 586 del 13 gennaio 2006).

Il motivo è infondato.

Occorre in primo luogo ribadire che, in tema di imposta di registro ed INVIM, l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio astratto in base al quale è stato rilevato il maggior valore, con le specificazioni che si rendano in concreto necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando riservati a quest’ultima fase l’onere dell’Ufficio di fornire la prova della sussistenza in concreto dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto, e la possibilità per il contribuente di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (Cass. Civ. n. 25624 del 1 dicembre 2006).

Quanto alla possibilità di fondare il proprio convincimento sulla perizia U.T.E. le osservazioni della ricorrente non sono pertinenti.

E’ vero infatti che, in tema di INVIM e di imposta di registro, poichè dinanzi al giudice tributario l’amministrazione finanziaria è sullo stesso piano del contribuente, la relazione di stima di un immobile, redatta dall’Ufficio tecnico erariale, prodotta dall’amministrazione finanziaria costituisce una semplice perizia di parte, alla quale, pertanto, può essere attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la provenienza, ma non anche per quel che riguarda il contenuto. Nondimeno, nel processo tributario, nel quale esiste un maggiore spazio per le prove cosiddette atipiche, anche la perizia di parte può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente (Cass. Civ. n. 8890 del 13 aprile 2007).

Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, nonchè la omessa o, quantomeno, insufficiente motivazione sul punto decisivo della controversia riguardante l’illegittimità del criterio di stima usato.

La ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se incorra nella violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, l’accertamento di maggior valore che dichiari di procedere alla rettifica con il criterio di valutazione sintetico- comparativo che oltretutto prenda a riferimento solo due stime precedenti dello stesso U.T.E. anzichè gli assimilabili atti di trasferimento immobiliare e divisioni e perizie giudiziarie indicati dal predetto D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3 e se, conseguentemente, sia incorsa nella violazione e falsa applicazione delle suddette norme la sentenza tributaria che abbia mancato di rilevare l’illegittimità di un simile operato dell’ufficio finanziario.

La norma di cui all’art. 51, comma 3, invocata dalla ricorrente, nella parte in cui prevede che, ai fini della rettifica del valore dei beni immobili, debba aversi riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo ed alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni, non comporta l’immodificabilità del valore di mercato risultante da detti atti, ma si limita a ad indicare un parametro certo di confronto in base al quale l’Ufficio deve determinare il valore del bene in comune commercio (cfr. Cass. Civ. n. 21531 del 15 ottobre 2007). Salvo quanto si è detto sul carattere ausiliario del ricorso da parte dell’amministrazione finanziaria al metodo comparativo le censure della ricorrente sono prive di autosufficienza dato che essa non riporta il contenuto della perizia e non consente di valutare se la stima dell’U.T.E. abbia rispettato il predetto criterio di comparazione previsto dall’art. 51 sopra citato.

Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente ha infine dedotto la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in relazione al combinato disposto dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 36, nonchè l’omesso esame, pronuncia e motivazione sulla richiesta di applicazione dello jus superveniens sulle sanzioni tributarie irrogate dall’ufficio finanziario.

La ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se sia incorsa nel vizio di omessa pronuncia e nella correlata violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la sentenza tributaria d’appello che abbia totalmente mancato di pronunciarsi sulla richiesta della parte contribuente di applicazione dello jus superveniens in ordine alle sanzioni tributarie oggetto del contendere.

Rileva correttamente l’Amministrazione controricorrente che nel motivo di ricorso manca completamente il riferimento alla sanzione concretamente irrogata in relazione alla disciplina più favorevole alla contribuente. Nella specie la sanzione concretamente applicata alla B. risulta infatti essere quella più favorevole se comparata con la previsione del decreto legislativo n. 473/1997.

Va ritenuta quindi l’ammissibilità del ricorso per revocazione che va accolto mentre va rigettato l’originario ricorso per cassazione.

Sussistono giusti motivi per compensare interamente le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’ammissibilità e accoglie il ricorso per revocazione, revoca l’ordinanza impugnata e rigetta l’originario ricorso per cassazione. Compensa interamente le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 settembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2011

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