Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4361 del 20/02/2020
Cassazione civile sez. I, 20/02/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 20/02/2020), n.4361
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24070/2018 proposto da:
R.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la
Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso
dall’avvocato Della Mora Giandomenico;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,
domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura
Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il
15/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
08/10/2019 dal cons. Dott. ACIERNO MARIA.
Fatto
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Venezia ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria proposta da R.M. di nazionalità (OMISSIS).
A sostegno della decisione ha rilevato il carattere confuso e non circostanziato del racconto del ricorrente. Lo stesso ha dichiarato di essere fuggito perchè un gruppo di terroristi voleva ucciderlo per il suo rifiuto di arruolarsi nella (OMISSIS). Il gruppo prima aveva un nome ma successivamente lo ha mutato perchè il governo si era accorto della sua attività. Ha aggiunto di aver sporto denuncia alla polizia ma di non aver ricevuto aiuto perchè il gruppo era molto potente.
Il ricorrente non ha saputo descrivere con precisione le attività e le finalità del gruppo che aveva cercato di arruolarlo nè quelle del gruppo antagonista che aveva fondato lui stesso. Neanche davanti al tribunale aveva saputo indicare il nome del gruppo nè lo aveva saputo scrivere neanche con l’aiuto dell’interprete. Anche l’essere rimasto in (OMISSIS) per il mese successivo alle minacce mina la credibilità complessiva delle dichiarazioni. Pertanto venivano esclusi sia il rifugio politico che la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b). La zona di provenienza non era caratterizzata da violenza generalizzata o guerra diffusa.
Non erano, infine, state allegate situazioni di vulnerabilità atte ad integrare il paradigma normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero. Ha depositato controricorso l’Avvocatura Generale dello Stato.
Con il primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per essersi limitato il Tribunale di Venezia a generiche considerazioni sui paesi di origine, a differenza di altri Tribunali di merito che avevano accertato la situazione critica/caotica del (OMISSIS).
La censura è inammissibile per radicale difetto di specificità, non contenendo alcuna specifica indicazione in ordine alla situazione di pericolosità nell’area di provenienza del ricorrente.
Nel secondo motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo consistente nel mancato esame ed applicazione della Circolare 00003716 del Ministero dell’Interno in relazione al diritto d’asilo oltre a non aver tenuto conto delle prescrizioni della giurisprudenza di legittimità. Anche questa censura è del tutto genericamente prospettata senza alcun ancoraggio alle rationes decidendi della decisione impugnata ed alla specifica situazione di persecuzione, pericolosità o vulnerabilità del ricorrente.
Nel terzo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’omissione del criterio dei seri motivi risultanti da obblighi costituzionali, non risultando, in particolare, sufficientemente valorizzata nella decisione l’integrazione lavorativa.
La censura è inammissibile non essendo stato neanche dedotto nel motivo che il profilo dell’integrazione lavorativa, peraltro da porre in comparazione con una situazione di grave compromissione dei diritti umani nel paese di origine, anch’essa da dedurre ed allegare, fosse stato oggetto del ricorso davanti al Tribunale.
In conclusione il ricorso è inammissibile con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parte controricorrente da liquidarsi in Euro 2100 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Sussistono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater in relazione al versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020