Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4356 del 24/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4356 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: TRIA LUCIA

ORDINANZA
sul ricorso 10696-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE S0078750537, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA
17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,
rappresentato e difeso dagli avvocati PULII CLEMENTINA,
PATTERI ANTONELLA, MAURO RICCI giusta procurala margine,
del ricorso;

– ricorrente contro
LOMBARDI MARIA TERESA; HLS7

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– intimata avverso la sentenza n. 211/2010 della CORTE D’APPELLO di
GENOVA del 10/03/2010, depositata il 13/04/2010;

Data pubblicazione: 24/02/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
12/12/2013 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA TRIA;
udito l’Avvocato Mauro Ricci difensore del ricorrente che si riporta
agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI che

aderisce alla relazione.

Ric. 2011 n. 10696 sez. ML – ud. 12-12-2013
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Sesta sezione — Sotto Sezione Lavoro
Udienza del 12 dicembre 2013 – n. 15 del ruolo
RG n. 10696/11
Presidente: Curzio – Relatore: Tria

Ritenuto che la causa è stata chiamata alla adunanza in Camera di consiglio del
3 ottobre 2013 ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ. sulla base della relazione
redatta a norma dell’art. 380-bis cod. proc. civ., avente il seguente tenore:
«1. La sentenza attualmente impugnata, in riforma dell’appellata sentenza n.
21/2007 del Tribunale di La Spezia, che aveva respinto il ricorso con cui Maria
Teresa Lombardi chiedeva il riconoscimento del proprio diritto ad ottenere la
pensione di inabilità, ha accolto la domanda nei termini in cui essa era stata
ridotta dalla stessa appellante in corso di giudizio e, conseguentemente, ha
condannato l’Inps a corrispondere in suo favore l’assegno di assistenza con
decorrenza dal primo giorno successivo alla domanda amministrativa (del
dicembre 2005) e ha compensato tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.
2.- La Corte d’appello di Genova, con la sentenza n. 211/10, depositata in data
13 aprile 2010, per quel che qui interessa, precisa che: 1) il giudice di prime
cure ha respinto il ricorso della Lombardi in quanto il suo reddito, cumulato con
quello del marito, era superiore a quello previsto dalla legge in relazione
all’anno di riferimento; 2) l’Inps, a sua volta, ha chiesto il rigetto dell’appello
sostenendo che il principio del cumulo dei redditi tra coniugi, già affermato in
primo grado, era basato sul disposto di cui all’art. 14 septies della legge n. 33
del 1980, alla luce del quale solo per l’assegno mensile tale cumulo era escluso,
e non anche per la pensione di inabilità; 3) all’esito della CTU l’appellante ha
tuttavia ridotto la propria domanda, insistendo per la concessione dell’assegno
di assistenza; 4) tale domanda, pertanto, nei termini in cui essa è stata ridotta, è
fondata, essendo risultato dall’espletata CTU un’invalidità a suo carico
dell’80%; 5) oltre al prescritto requisito sanitario, sussistono, peraltro, gli altri
requisiti di legge, ossia quello reddituale e quello della mancata collocazione al
lavoro della ricorrente, attestato dalla documentazione prodotta dall’appellante.
3.- Per la cassazione della suindicata sentenza l’Inps propone ricorso, sulla base
di due motivi; Maria Teresa Lombardi e il Ministero dell’economia e delle
finanze (contumace in entrambi i gradi del giudizio) non hanno svolto attività
difensiva.
4.1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia la “violazione e falsa
applicazione degli arti. 12 e 13 L. 30.03.1971 n. 118, nonché dell’art. 1 della L.
21.02.1977, n. 29 e dell’art. 14septies della L. 29.02.1980, n. 33”, anche in
Ric. 2011 n. 10696 sez. ML – ud. 12-12-2013
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ORDINANZA
FATTO E DIRITTO

4.2.- Con il secondo motivo di ricorso l’Istituto denuncia la “omessa e
insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia”, in relazione
all’art. 360, n. 5 cod. proc. civ., lamentando l’assoluta insufficienza
dell’apprezzamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza
degli elementi costitutivi del diritto richiesto.
In particolare, il ricorrente rileva come la carenza di ogni riferimento alla
consistenza reddituale della Lombardi non consenta di vagliare la correttezza
dell’iter logico-giuridico seguito dal Collegio che, a parere dell’Istituto, non si
sarebbe pronunciato nemmeno implicitamente sul punto, essendosi limitato ad
affermare, nella parte motiva della pronuncia, che “sussistono inoltre gli altri
requisiti di legge, quello reddituale … e quello della mancata collocazione al
lavoro della ricorrente, attestato dalla documentazione prodotta”. Pertanto, alla
luce di tale motivazione, non risulta possibile stabilire né quale sia la
documentazione presa in considerazione dal collegio, né, soprattutto, in quale
grado di giudizio essa sia stata prodotta.
5.- I due motivi di ricorso, da analizzare congiuntamente, non meritano
accoglimento.
5.1- Questa Corte ha già avuto modo di affermare che, al fine di stabilire se la
domanda di assegno di invalidità ex art. 13, legge n. 118 del 1991 possa
ritenersi implicitamente ricompresa nella domanda avente ad oggetto la
pensione di inabilità ex art. 12 della stessa legge, e se, di conseguenza, il
giudice investito della domanda di pensione, anche in mancanza di espressa
richiesta dell’interessato, possa riconoscere al richiedente l’assegno di invalidità
in quanto implicitamente compreso nella più ampia domanda di pensione,
occorre verificare se nella fattispecie concreta ricorrano i peculiari requisiti
socio economici richiesti dalla legge per l’assegno – necessari al pari dei
requisiti sanitari per l’insorgenza del diritto — ossia, più specificamente, il
requisito della “incollocazione al lavoro”, espressamente previsto solo per
l’assegno di invalidità e non richiesto, invece, per la pensione di invalidità, in
ragione della totale inabilità al lavoro che ne costituisce il presupposto, ed il
Ric. 2011 n. 10696 sez. ML – ud. 12-12-2013
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riferimento all’art. 2697 cod. civ. (in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ.),
per avere il Collegio giudicante verificato la sola sussistenza del requisito
sanitario, e non anche quella degli altri requisiti necessari ai fini del
riconoscimento dell’assegno di assistenza, ossia dei requisiti
dell’incollocamento al lavoro e della titolarità di redditi personali inferiori al
limite di legge, considerato che tale beneficio spetta agli invalidi di età
compresa tra i 18 e i 65 anni, nei cui confronti venga riconosciuta una riduzione
della capacità lavorativa in misura non inferiore al 74%, che siano incollocati al
lavoro e che non superino un determinato reddito personale annuo diverso e
inferiore rispetto quello previsto per la pensione di invalidità.

Tale deducibilità o rilevabilità d’ufficio è da rapportare alle preclusioni
determinatesi nel processo e, in particolare, a quella derivante dal giudicato
interno. Ove possa escludersi la formazione del giudicato interno, la carenza del
requisito economico è deducibile anche per la prima volta in appello, o
rilevabile d’ufficio dal giudice di secondo grado, del quale ben può essere
censurata, con ricorso per cassazione, la decisione — espressa o implicita — in
ordine alla sussistenza dello stesso requisito economico o dell’incollocazione
(Cass. 4 novembre 2011, n. 22899; 17 marzo 2001, n. 3881).
Nel caso in esame (in cui deve escludersi la formazione del giudicato interno),
il ricorrente denuncia l’omessa e insufficiente motivazione della pronuncia
impugnata per non avere il giudice indicato su quali elementi di prova abbia
fondato il suo giudizio in ordine alla sussistenza di tutti i requisiti richiesti ex
lege al fine dell’erogazione del beneficio in esame.
5.2- Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità,
costituisce vizio di omessa o carente motivazione della sentenza, denunciabile
in sede di legittimità, la mancata o insufficiente indicazione da parte del giudice
degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento senza una approfondita
disamina logica e giuridica, rendendo in tale modo impossibile od oltremodo
difficoltoso ogni controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento, e ciò
anche quando vengono in rilievo decisioni su questioni giuridiche condizionate
strettamente da un accertamento e da una valutazione di circostanze fattuali; in
ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito
adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame
(al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti,
ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento,
dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni
logicamente incompatibili con esse (Cass. 4 maggio 2012, n. 6787; 3 luglio
2008, n. 18236; n. 2272 del 2007).
Nel caso in esame, il giudice del merito ha ottemperato a detto onere,
affermando espressamente che la sussistenza degli altri requisiti richiesti dalla
legge per l’erogazione dell’assegno mensile di assistenza risultavano “attestati
dalla documentRzione prodotta dalla Lombardi per il riconoscimento della
provvidenza richiesta”.

Ric. 2011 n. 10696
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sez.

ML – ud. 12-12-2013

requisito economico che, come la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente
affermato, non è mera condizione di derogabilità del beneficio in esame, bensì
elemento costitutivo del diritto, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del
giudizio (Cass. 4 novembre 2011, n. 22899; 6 settembre 2006, n. 19164; 3
marzo 2001, n. 3093; l luglio 1999, n. 6744).

Inoltre, l’Istituto ricorrente, laddove sostiene che dalla sentenza impugnata non
emerga su quali documenti abbia il Collegio basato il suo convincimento in
ordine all’esistenza dei citati requisiti, come nemmeno in quale grado di
giudizio tali documenti siano stati prodotti, omette totalmente di riportare nel
ricorso quei documenti allegati e prodotti dalla controparte nel corso del primo
e del secondo grado di giudizio, e sulla base dei quali si sono pronunciate le due
sentenza intervenute, laddove, di contro, essi avrebbero dovuto essere riportati
testualmente per consentire a questa Corte, cui è inibito l’accesso agli atti della
fase di merito, di prendere contezza delle censure in questione e poter così
valutare se in relazione ad esse la Corte d’appello abbia omesso di motivare
adeguatamente.
6.- In conclusione, per le suesposte ragioni, si propone la trattazione del ricorso
in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc.
civ., per esservi rigettato»;
che sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di
consiglio.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella
relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ.;
che, pertanto, il ricorso deve essere respinto perché infondato;
che nulla si deve disporre per le spese del presente giudizio di cassazione, in
perché gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di
cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile,
il 12 dicembre 2013.

L’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., peraltro, non conferisce alla Corte di cassazione
il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì
solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza
giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è
riservato l’apprezzamento dei fatti. Deriva, da quanto precede, pertanto, che alla
cassazione della sentenza per vizi della motivazione, si può giungere quando
tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice, quale risulta
dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente e illogico.

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