Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4354 del 21/02/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4354 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

SENTENZA
sul ricorso 27401-2007 proposto da:
AEROPORTI DI ROMA S.P.A. 13032990155, in persona del legale
rappresentante Dott. ANTONIO ABBATE nella qualità di Direttore
Centrale “Affari Generali, Legale e Immobiliare”, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 10,
presso lo studio dell’avvocato GHIA LUCIO, che la rappresenta e
difende giusta procura in atti;

– ricorrente contro
FONDIARIA SAI ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale
rappresentante e dirigente pro tempore Dr. IVANO CANTARALE,

Data pubblicazione: 21/02/2013

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA MELORIA 52,
presso lo studio dell’avvocato BEVIVINO FRANCESCO, che la
rappresenta e difende giusta procura in atti;

– controricorrente –

ROMA, depositata il 06/09/2006, R.G.N. 6614/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/12/2012 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
udito l’Avvocato ANDREA PIVANTI per delega;
udito l’Avvocato FRANCESCO BEVIVINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La SAI S.p.a., premesso di aver assicurato anche per il furto l’auto Fiat
Croma tg. AR 463854, di proprietà di Tratos Cavi S.p.a. e trafugata in
data 27 febbraio 1996, mentre era parcheggiata all’interno del
parcheggio a pagamento P7 dell’aeroporto di Fiumicino, gestito dalla
Società Aeroporti di Roma S.p.a., conveniva in giudizio, dinanzi al
Pretore di Roma, la società da ultimo indicata, chiedendone la
condanna ex art. 1916 c.c. a rimborsare all’attrice l’importo di £
20.700.000 corrisposto all’assicurata a titolo di indennizzo, oltre
interessi e rivalutazione monetaria.
La convenuta si costituiva contestando la domanda e chiedendone il
rigetto.
Il Tribunale di Roma, con sentenza del 26 giugno 2001, accoglieva la
proposta domanda.
Avverso tale decisione la società soccombente proponeva gravame, cui
resisteva la Fondiaria SAI Assicurazioni S.p.A..
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avverso la sentenza n. 3726/2006 della CORTE D’APPELLO di

La Corte di appello di Roma, con sentenza del 6 settembre 2006,
rigettava il gravame proposto.
Avverso la decisione di secondo grado la Società Aeroporti di Roma
S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378
c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente ha chiesto, ai sensi degli artt. 164
e 177 del Trattato CE, di sottoporre al giudizio della Corte di Giustizia
delle Comunità Europee l’asserito contrasto tra l’art. 1322 c.c. – in
relazione al contratto tipico di parcheggio nella prospettazione ed
interpretazione assunta dalla Corte di appello di Roma con la sentenza
impugnata — e gli artt. 50 e sgg. del Trattato CE.
Assume la ricorrente che tra le varie interpretazioni di una norma deve
essere preferita quella che consente di superare “eventuali dubbi di
legittimità comunitaria”, stante la supremazia del diritto comunitario su
quello interno. Ad avviso della indicata parte, nella specie, se le si
attribuisse, nella sua qualità di gestore dei parcheggi siti presso l’area
aeroportuale della capitale, un obbligo di custodia, nonostante le
modalità e le condizioni del contratto di parcheggio in questione e
sebbene l’art. 7 del vigente CdS preveda e regolamenti il parcheggio
senza custodia, tale obbligo, non codificato, sarebbe incompatibile con
gli art. 50 e sgg. del Trattato CE, in quanto “scoraggerebbe, di fatto,
tutti quegli operatori internazionali di settore che volessero operare nel
nostro paese”, traducendosi “in un serio ostacolo alla libertà di
stabilimento e all’esercizio della relativa attività per tutti gli operatori di
un qualsiasi Stato membro che volessero estendere e/o intraprendere
la loro attività nel nostro Paese”.
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La Fondiaria SAI Assicurazioni S.p.A. ha resistito con controricorso.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa
applicazione delle norme e dei principi nell’interpretazione dei contratti
(art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) nonché omessa ed insufficiente
motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, primo
comma, n. 5, c.p.c.). Sostiene la ricorrente che i giudici del secondo

in causa come contratto atipico di parcheggio al quale si
applicherebbero le norme relative al deposito con conseguente obbligo
di custodia da parte del gestore, in quanto il preponente non
offrirebbe, nel caso all’esame, la custodia dell’auto del cliente ma
porrebbe a disposizione un luogo predisposto per il parcheggio ed il
cliente, pur potendo rifiutare, accetterebbe, ritirando lo scontrino, le
condizioni di locazione dello spazio nello stesso descritte e regolate.
Ad avviso della Società Aeroporti di Roma S.p.A., la tesi della Corte di
merito, secondo cui il gestore del parcheggio multipiano sito presso
l’aeroporto di Fiumicino assumerebbe anche un’obbligazione di
custodia, disattenderebbe alcune circostanze di comune esperienza e
nella specie peraltro documentate, quali il calcolo delle tariffe
pressoché esclusivamente con riferimento al tempo di sosta e la
mancanza di contatti tra il personale del gestore, provvedendo il cliente
personalmente ad introdurre l’auto nell’area, a collocarla nel posto che
preferisce, a chiuderla e a trattenere le chiavi. In presenza di tali
caratteristiche, ricollegare alla specifica tipologia di parcheggio in
questione un’obbligazione di custodia degli autoveicoli,
indipendentemente dall’esistenza di accordi anche verbali in tal senso e
prescindendo da circostanze di fatto particolarmente significative, quali
il tipo di tariffa, la presenza o meno di mezzi meccanici (telecamere,
sensori) di personale di vigilanza, come fatto dalla Corte di merito,

grado avrebbero erroneamente qualificato il contratto di cui si discute

finirebbe, secondo la ricorrente, per imporre un “contenuto
“socialmente tipico” ad accordi negoziali “per definizione atipici”.
In relazione al secondo motivo di ricorso la Società Aeroporti di Roma
S.p.A. pone il seguente quesito di diritto: “é nella fattispecie legittima

caratterizzato dalla presenza di accordi negoziali atipici, di contenuti
propri di altri contratti tipici e, segnatamente, di quello di deposito ex
art. 1766 e ss. c.c.?”.
3. Con il terzo motivo, lamentando violazione degli artt. 1780 e 1218
c.c. e dei principi di esenzione in tema di responsabilità contrattuale
(art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) nonché omessa ed insufficiente
motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, primo
comma, n. 5, c.p.c.), la ricorrente censura la sentenza impugnata in
relazione al capo afferente al presunto obbligo di custodia in capo alla
stessa. Assume la Società Aeroporti di Roma S.p.A. che, avendo essa
adempiuto l’obbligo assunto di fornire all’utente del parcheggio uno
spazio appositamente allestito, munito di recinzione, ed acdarato che
l’ingresso e l’uscita delle autovetture nel parcheggio in questione
avvengono attraverso un sistema automatico a sbarre, che consente il
prelievo delle autovetture mediante l’utilizzo del solo scontrino, ne
conseguirebbe che l’eventuale perdita dei veicoli non sarebbe
addebitabile al gestore del parcheggio, che sarebbe pertanto esentato
da responsabilità. Sostiene, quindi, la ricorrente che nessun obbligo di
custodia e/o sorveglianza ai sensi del combinato disposto degli arti.
1218 e 1780 c.c. sarebbe stato da essa assunto né la medesima avrebbe
posto in essere alcuna condotta omissiva.
In relazione al terzo motivo di ricorso la Società Aeroporti di Roma
S.p.A. pone il seguente quesito di diritto: “é legittimo, nell’ambito del
contratto atipico di parcheggio, ravvisare altresì in capo al gestore dello
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l’estensione al contratto atipico di parcheggio in aree aeroportuali,

stesso, la responsabilità contrattuale e, segnatamente l’obbligo di
custodia delle autovetture introdotte all’interno del parcheggio,
allorquando il gestore abbia provveduto ad adempiere gli obblighi di
legge ovvero a fornire uno spazio appositamente allestito per la sosta

4. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. inserito nel codice di rito dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed
abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18 giugno 2009, n.
69 – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza
impugnata (6 settembre 2006).
4.1. Questa Corte ha in più occasioni chiarito che, nei casi previsti
dall’art. 360, primo comma, nn. 1, 2, 3 e 4, c.p.c., “i quesiti di diritto
imposti dall’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n.
40, art. 6, comma 1, secondo una prospettiva volta a riaffermare la
cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di
soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite
diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo
stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto
applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica
della Corte di Cassazione, il cui rafforzamento è alla base della nuova
normativa secondo N’esplicito intento evidenziato dal legislatore
all’art. 1 della Legge Delega 14.5.2005, n. 80; i quesiti costituiscono,
pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico
e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti,
inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di
legittimità” (v. Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., 9 maggio
2008, n. 11535; Cass., sez. un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., sez.
un., 29 ottobre 2007, n. 22640; Cass., sez. un., 21 giugno 2007, n.
14385).
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dell’auto ed a munire quest’ultimo di recinzione?”.

Pertanto, affermano le Sezioni Unite di questa Corte, travalicando la
funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità la
risoluzione della singola controversia, “il legislatore ha inteso porre a
carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa

risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale
principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente
risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa
devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la
comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda
con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri
informatori della norma. Incontroverso che il quesito di diritto non
possa essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno
della censura, ma debba essere esplicitamente formulato,
nell’elaborazione dei canoni di redazione di esso la giurisprudenza di
questa Suprema Corte è, pertanto, ormai chiaramente orientata nel
ritenere che ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso
debba consentire l’individuazione tanto del principio di diritto che è
alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, del
principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata
applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una
decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata; id est che il
giudice di legittimità debba poter comprendere, dalla lettura del solo
quesito inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di
diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la
prospettazione del ricorrente, la diversa regola da applicare. Ove tale
articolazione logico-giuridica manchi, il quesito si risolverebbe in
un’astratta petizione di principio che, se pure corretta in diritto,
risulterebbe, ciò nonostante, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la
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mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la

fattispecie concreta, l’errore di diritto imputato al giudice a quo ed il
difforme criterio giuridico di soluzione del punto controverso che si
chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione del
principio cui la Corte deve pervenire nell’esercizio della funzione

richiesta d’accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in
ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello
svolgimento dello stesso, ma deve costituire la chiave di lettura delle
ragioni esposte e porre la Corte medesima in condizione di rispondere
ad esso con l’enunciazione d’una regula iuris che sia, in quanto tale,
suscettibile, al contempo, di risolvere il caso in esame e di ricevere
applicazione generale, in casi analoghi a quello deciso” (v., in
motivazione, Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; v. Cass., ord., 24
luglio 2008, n. 20409).
Nella giurisprudenza di questa Corte é stato, inoltre, precisato che,
secondo l’art. 366 bis c.p.c., anche nel caso previsto dall’art. 360, primo
comma, n. 5, c.p.c., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a
pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria,
ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e che la
relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del
quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera
da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di
valutazione della sua ammissibilità (Cass., sez. un., 1° ottobre 2007, n.
20603).
In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al
quale la motivazione si assuma omessa, insufficiente o contraddittoria,
deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò
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nomofilattica. Il quesito non può, pertanto, consistere in una mera

specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è
possibile ritenere rispettato il requisito concernente il motivo di cui al
n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. allorquando solo la completa
lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di

da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito dell’art.
366 bis c.p.c., che il motivo stesso concerne un determinato fatto
controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od
insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui
la motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere la decisione
(Cass., sez. un., 18 luglio 2007, n. 16002; Cass., 27 ottobre 2011, n.
22453).
stato pure affermato da questa Corte che é inammissibile, ai sensi
dell’art. 366 bis c.p.c., per le cause – come quella all’esame – ancora ad
esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione, qualora non sia stato formulato il cd.
quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito
momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo
controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa
la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze
deflattive del filtro di accesso alla suprema Corte, la quale deve essere
posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito,
quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (v. Cass., 18
novembre 2011, n. 24255).
Va, inoltre, rilevato che, secondo il prevalente orientamento della
giurisprudenza di questa Corte, è ammissibile il motivo di ricorso per
cassazione che denunzi sia vizi di violazione di legge che vizi di
motivazione, qualora si concluda con la formulazione di tanti quesiti
corrispondenti alle censure proposte, poiché nessuna prescrizione, che
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un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione

ostacoli tale duplice denunzia, è rinvenibile nelle norme processuali, a
nulla rilevando l’art. 366 bis c.p.c., il quale esige che, nel caso previsto
dal n. 3 dell’art. 360 c.p.c., il motivo sia illustrato con un quesito di
diritto e, nel caso previsto dal n. 5, che l’illustrazione contenga la chiara
indicazione del fatto controverso, in relazione al quale la motivazione

quali la dedotta insufficienza la renda inidonea a giustificare la
decisione ma non richiede anche che il quesito di diritto e gli elementi
necessari alla illustrazione del vizio di motivazione siano prospettati in
motivi distinti (Cass. 18 gennaio 2008, n. 976; Cass. 26 marzo 2009, n.
7621).
5. I motivi secondo e terzo sono inammissibili, per le motivazioni di
seguito indicate.
5.1. Per quanto attiene alle censure sollevate in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 3, c.p.c., si evidenzia che, ai sensi dell’art. 366 bis
c.p.c., i quesiti inerenti a censure in diritto, dovendo assolvere alla
funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del
caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, non
possono essere – come lo sono i motivi all’esame – meramente generici
e teorici, privi di qualunque indicazione sul tipo della controversia,
sugli argomenti addotti dal giudice a quo e sulle ragioni per le quali non
dovrebbero essere condivisi (Cass. s.u. 14/01/2009, n. 565), ma
devono essere calati nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in
grado di poter comprendere dalla loro sola lettura, gli errori
asseritamene compiuti dal giudice di merito e le regole applicabili;
sicché essi non possono consistere in una semplice richiesta di
accoglimento del motivo ovvero, sostanzialmente, nel mero interpello
della Corte in ordine alla fondatezza delle propugnate petizioni di

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si assume che sia omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le

principio o delle censure così come illustrate nello svolgimento dei
motivi (Cass. 7 marzo 2012, n. 3530).
5.2. Difetta, inoltre, nel caso all’esame, il momento di sintesi (cd.
quesito di fatto), in relazione alle censure motivazionali sollevate con i

6. Stante l’inammissibilità dei motivi secondo e terzo, la
questione posta dal primo motivo risulta irrilevante ai fini della
decisione e, conseguentemente, questa Corte non é soggetta
all’obbligo di rimetterla alla Corte di Giustizia delle Comunità
Europee (arg. ex Cass., ord. int., 22 ottobre 2007, n. 22103).
7. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo,
seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente, in favore della
controricorrente, alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in
complessivi curo 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte Sup ema di Cassazione, il 18 dicembre 2012.

motivi di ricorso all’esame.

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