Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4353 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. III, 10/02/2022, (ud. 09/03/2021, dep. 10/02/2022), n.4353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35195/2019 proposto da:

O.F., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria

della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA

BASSAN;

– ricorrenti –

e contro

PROCURATORE GENERALE REPUBBLICA CORTE SUPREMA CASSAZIONE;

– intimati –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 1853/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 07/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. O.F., cittadino della Nigeria (Edo State), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il richiedente dedusse a fondamento delle proprie ragioni di essersi allontanato dal paese di origine per motivi religiosi in quanto “cristiano” si era rifiutato di partecipare a un rituale e per tale scelta era stato minacciato di morte.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento O.F. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Venezia, che con ordinanza del 27 maggio 2017 rigettò il reclamo.

Il Tribunale ritenne:

a) non attendibile la vicenda narrata dal richiedente;

b) infondata la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, perché il richiedente non aveva dedotto alcun fatto di persecuzione grave e personale;

c) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione sussidiaria, perché nella regione di provenienza non era in atto un conflitto armato;

d) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione umanitaria, poiché l’istante non aveva ne allegato, ne provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per se dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.

3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 1853/2019 pubblicata il 7 maggio 2019.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da O.F. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si costituisce senza presentare alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione art. 132, comma 2, n. 4, per motivazione apparente”, in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto verificare d’ufficio la veridicità delle dichiarazioni del richiedente e l’effettivo svolgimento del rituale da lui descritto.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 comma 3, art. 14, lett. b) o c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, per mancato riconoscimento della protezione sussidiaria”. La Corte d’appello avrebbe omesso di considerare il pericolo di persecuzione, determinato dalla comunità del villaggio che voleva uccidere il richiedente per le sue convinzioni religiose.

I due motivi, congiuntamente trattati per la loro connessone, sono infondati. Circa il riconoscimento dello status di rifugiato, la Corte d’appello ha ritenuto, con motivazione esente da vizi logico giuridici, assenti i presupposti – atti o fatti persecutori – necessari e tale giudizio è insindacabile in questa sede, risolvendosi in un accertamento di fatto. A tal fine, il giudizio di non credibilità delle dichiarazioni del richiedente è stata compiuta nel rispetto dei principi di questa Corte, tramite una analisi non frazionata ma unitaria dei fatti narrati, al termine della quale i giudici hanno ritenuto non veritiere le affermazioni del richiedente. Nello specifico poi i motivi lamentano tutti la mancata acquisizione di informazioni adeguate circa la situazione presente in Nigeria che esporrebbe il richiedente, nel caso di rientro, a un grave pericolo per la sua incolumità. Il dovere di cooperazione da parte del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti alla luce dell’obbligo, sancito dall’art. 10, c. 3 lett. b) della cd. Direttiva Procedure, “di mettere a disposizione del personale incaricato di esaminare le domande informazioni precise e aggiornate provenienti dall’EASO, dall’UNHCR e da Organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani circa la situazione generale nel paese d’origine dei richiedenti e, all’occorrenza dei paesi in cui hanno transitato. Spetterà, dunque (all’amministrazione, prima, e poi) al giudice fare riferimento anche di propria iniziativa a informazioni relative ai Paesi d’origine che risultino complete, affidabili e aggiornate”. Anche rispetto a tale profilo, si ritiene che la Corte d’appello abbia correttamente adempiuto ai principi summenzionati: secondo le fonti utilizzate (Refworld aggiornato al novembre 2018) le forti instabilità dovute alla presenza del gruppo terroristico facente capo a (OMISSIS) sarebbero ora limitate alla parte settentrionale del paese e sarebbero assenti nell’Edo State, regione di provenienza del richiedente. Per tale ragione la Corte ha escluso i presupposti anche per il riconoscimento della protezione sussidiaria, data l’assenza di una violenza indiscriminata e generalizzata nel paese di origine del soggetto. Per la stessa ragione e per l’assenza di una situazione di particolare vulnerabilità i giudici di merito hanno escluso il riconoscimento della protezione umanitaria, non riconoscendo la sussistenza dei “seri motivi di carattere umanitario” tramite una motivazione esaustiva.

5.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3) per mancata valutazione della situazione del Paese di origine del richiedente ai fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari”. I giudici di merito non avrebbero adeguatamente considerato il contesto socioculturale in cui ha vissuto il soggetto e la presenza di una violenza indiscriminata e sistematica dei diritti umani in Nigeria.

Il motivo è fondato.

Diversa è la prospettiva del giudice in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale devono ritenersi necessari e sufficienti (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità accertamento da compiersi (anche) alla luce del dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

La valutazione dell’esistenza degli indicati presupposti, giusta l’insegnamento di questa Corte (Cass. 4455/2018 e Cass. S.U. 29460/2019), risulta, nella specie, del tutto omessa (collocandosi ben al di sotto del livello del minimo costituzionale, in parte qua, la motivazione della sentenza impugnata dove afferma a pag. 12 che per valutare la vulnerabilità della persona non si può prescindere dalla credibilità dello straniero. Pertanto la Corte ha ritenuto che nel caso di specie la narrazione del ricorrente non è credibile e non può quindi essere posta a fondamento della domanda di permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria postula – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza sotto il profilo della garanzia dei diritti fondamentali della persona, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine – essendo quel giudice investito di singole vicende aventi ad oggetto proprio i diritti fondamentali della persona, e non di cause cd. “seriali” – affinché ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), con la ulteriore precisazione, che va ripetuta, per la quale l’acquisizione di tali informazioni ha un oggetto funzionalmente diverso, a seconda che essa riguardi la situazione del Paese in relazione ai presupposti della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c), ovvero quella relativa all’esistenza di vulnera lesivi dei diritti umani e tali da renderne impossibile ovvero oltremodo difficoltoso l’esercizio nel loro nucleo essenziale e incomprimibile – costituendo, di conseguenza, un patente errore di diritto l’acquisizione e l’utilizzazione delle prime al fine di formulare il predetto giudizio di comparazione.

In tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione. (cfr. Cass. 13079/2019).

A tal fine il giudice di merito deve osservare il seguente percorso argomentativo:

– non può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano.

– le relative basi normative sono “a compasso largo”: l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria “a clausola generale di sistema”, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione.

-deve essere, pertanto, ribadito l’orientamento di questa Corte (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, e seguito, tra le altre, da Cass. 19 aprile 2019, n. 11110 e da Cass. n. 12082/19, cit., nonché dalla prevalente giurisprudenza di merito) che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

La Corte d’appello non ha applicato nel caso di specie i principi elaborati da questa giurisprudenza compiendo una valutazione fondata sulla non credibilità del richiedente asilo.

6. Pertanto la Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo come in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione, rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo come in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione, rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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