Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4352 del 04/03/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4352 Anno 2016
Presidente: BIELLI STEFANO
Relatore: SCODITTI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso 14280-2009 proposto da:
TRENTO CAR SRL in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE
PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO
D’AYALA VALVA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato FRANCESCO MOSCHETTI

giusta

delega a margine;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato

in

ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 04/03/2016

STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente nonché contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI TRENTO;

– Intimato –

TI GRADO di TRENTO, depositata il 15/10/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/07/2015 dal Consigliere Dott. ENRICO
SCODITTI;
udito per il controricorrente l’Avvocato COLELLI che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 81/2008 della COMM. TRIBUTARIA

Svolgimento del processo

Trento Car s.r.I., esercente l’attività di commercio di autoveicoli, propose
ricorso avverso l’avviso di accertamento in rettifica della dichiarazione
presentata per l’anno 2000. Con l’atto impositivo si recuperava VIVA detratta
su acquisti di autovetture dalle società Inter Trade s.r.I., Star Trade s.r.I.,
Salvagnin s.r.l. e Iubet s.r.I., per operazioni soggettivamente inesistenti

società cartiere, e si recuperavano i costi relativi al “conto lavoro eseguiti da
terzi”, e la relativa IVA detratta, non essendo nelle fatture indicato il numero di
targa o telaio delle vetture sulle quali tali lavori erano stati eseguiti. La CTP
accolse il ricorso della contribuente. L’appello dell’Ufficio venne accolto dalla
Commissione Tributaria Regionale del Trentino-Alto Adige, con rigetto
dell’appello incidentale della contribuente, sulla base della seguente
motivazione.
L’affermazione che le fatture provenissero da società cartiere, e quindi
fossero soggettivamente inesistenti, risulta documentata dall’accertamento in
sede penale con due sentenze passate in cosa giudicata, ed in particolare la
sentenza condanna di Salvagnin Elvio e Cristofotetti Fabrizio, con
l’accertamento che “la Pinewood Comercio International LDA e la Salvagnin SA
si sovrappongono solo cartolarmente tra il cedente estero e l’ultimo effettivo
acquirente in Italia che poteva acquistare con IVA a credito. Il primo passaggio
in Italia era costituito dalla cessione alla Inter Trade s.r.l. priva di reale
organizzazione che ometteva di pagare VIVA a debito maturata, per arrivare,
dopo altri passaggi, alla Star Trade s.r.l. che giocava il ruolo di ‘filtro’ di
secondo livello in Italia. Ciò attraverso un sistema fraudolento con
l’implicazione di più società (di primo e secondo livello) costituite allo scopo di
moltiplicare i passaggi nella speranza di nascondere la evasione d’imposta. Una
delle prove è fornita dal fatto che, nonostante le richieste di auto fossero
indirizzate al signor Fabrizio Cristofoletti (a mezzo fax intestato a ‘Fabrizio’), la
documentazione relativa alla fornitura di auto arrivava da parte di altre società
come emerge dai p.v.c. della G.d.F. Ne consegue che i signori Cristofoletti e
Salvagnin, di fatto, gestivano le società cartiere di primo e secondo livello

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relative ad una frode fiscale per scambi intracomunitari di vetture fra varie

come sancito dalla sentenza citata del Tribunale di Trento (n. 115 del 2004).
Tale meccanismo è ulteriormente confermato dalla testimonianza di un
dipendente della società incaricata dei trasporti dalla Germania in Italia presso
il pubblico ministero inquirente. Si può quindi asserire che, sia le società prime
acquirenti in Italia (Unika – inter Trade – 0.S.) sia le prime società ‘filtro’
(Jubet – Globai) sia quelle `filtro’ di secondo livello (Star Trade) altro non erano

l’IVA. In ultima analisi l’interposizione fittizia delle società ‘cartiere’ (il soggetto
interposto acquista beni da un fornitore comunitario senza versare VIVA che
però indica in fattura con cui li cede al cliente italiano che porta in detrazione
VIVA) implica ovviamente la indetraibilità oggettiva dell’IVA. Ciò anche ai sensi
dell’art. 19 del d.p.r. 633/72 che prevede il diritto alla detrazione dell’IVA nel
momento in cui diviene esigibile e cioè quando le operazioni si considerano
effettuate e l’imposta versata. Poiché nessuna delle due circostanze si è
avverata nel caso di specie, si ribadisce che l’IVA è indetraibile”. Quanto al
condono fiscale proposto ai sensi degli artt. 8 e 9 I. n. 289/2002, legittimo è il
diniego dell’Agenzia delle Entrate perché l’istanza di condono e la dichiarazione
integrativa risultano incomplete, mancando di voci imponibili ai fini ILOR
(1997) e IRAP (1998). Per quanto attiene al recupero dei costi e dell’IVA
detratta sugli stessi, la CTR ritiene corretto l’operato dell’Ufficio trattandosi di
spese per lavori di terzi non sufficientemente documentate. “Nelle fatture
infatti mancano elementi formalmente (ma non solo) indispensabili
(identificazione del numero di targa) tali da consentire di giustificare l’inerenza
di tali costi con l’attività d’impresa. L’appello incidentale del contribuente va
respinto considerata la legittimità dell’avviso di accertamento e la sufficienza di
elementi documentativi in esso contenuti al fine di consentire la difesa in
contenzioso”.
Ha proposto ricorso per cassazione la contribuente sulla base di tredici
motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione
Va premesso che in tema di giudizio di cassazione, l’intervenuta modifica
dell’art. 43 legge fall. per effetto dell’art. 41 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5,

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che soggetti vuoti, creati apposta da Cristofoletti e Salvagnin per evadere

nella

parte

in

cui

recita

che

“l’apertura

del fallimento determina

l’interruzione del processo”, non comporta una causa di interruzione del
giudizio in corso in sede di legittimità posto che in quest’ultimo, che è
dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause
di interruzione del processo previste in via generale dalla legge (Cass. 13
ottobre 2010, n. 211/53).

sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che la CTR
contraddittoriamente da un canto sostiene che la natura cartiera delle società
da cui la contribuente avrebbe acquistato gli autoveicoli sarebbe dimostrata
dagli accertamenti del giudice penale, dall’altro afferma che tali accertamenti
riguardano solo Pinewood Comercio International LDA e Salvagnin SA.
Il motivo è inammissibile. Risulta rispettato il requisito di cui all’art. 366
bis c.p.c. stante la chiara indicazione del fatto controverso rappresentato dalla
natura cartiera delle società emittenti le fatture in contestazione. La

ratio

decidendi, incentrata sulla natura cartiera delle società emittenti le fatture nei
confronti della contribuent£, è rappresentata sia dal giudicato penale, che
avrebbe accertato la natura/cartiera di Pinewood Comercio International LDA e
Salvagnin SA, sia dal fatto che Cristofoletti Fabrizio e Salvagnin Stefano,
condannati sulla base del giudicato penale appena citato, gestivano il gruppo di
società cartiere, prime acquirenti e poi di primo e di secondo livello, che
facevano parte del sistema fraudolento, società che, per il fatto che erano state
appositamente create da Cristofoletti e Salvagnin per l’evasione fiscale, “non
erano che soggetti vuoti”, conclude il giudice di merito. L’accertamento in fatto
dy
del giudice di merito, in ordine alla natura/cartiera delle società emittenti le
fatture, non discende quindi meramente dal giudicato penale, ma da tale più
complesso apprezzamento, che vede i soggetti condannati penalmente creatori
dell’insieme di società interessate dai diversi passaggi della merce. La censura
non intercetta pertanto la ratio decidendi della decisione.
Con il secondo motivo si denuncia insufficiente motivazione ai sensi
dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Lamenta la ricorrente che nella rtivazione risulta un
salto logico, nella parte in cui si fa discendere la naturaXartiera delle società

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Con il primo motivo si denuncia contraddittorietà della motivazione ai

emittenti la fattura dall’ipotizzata esistenza di un’unica regia che avrebbe
diretto tutte le società presenti nella catena distributiva, dato che tale unicità
di regia non implica l’inesistenza delle società.
Il motivo è inammissibile. Il momento di sintesi finale illustra le
specifiche ragioni per le quali l’insufficienza della motivazione la rende inidonea
a giustificare la decisione. Anche con riferimento a tale censura la ricorrente

filiera di società che della creazione delle stesse allo scopo di moltiplicare i
passaggi e così celare l’evasione d’imposta.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.
112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. Lamenta la ricorrente che la CTR
ha omesso di pronunciare in ordine alla questione dell’inesistenza dell’asserito
vantaggio fiscale della società contribuente per il fatto di aver partecipato
all’asserita frode fiscale.
Il motivo è inammissibile. Il rapporto tra le istanze delle parti e la
pronuncia del giudice, agli effetti dell’art. 112, cod. proc. civ., può dare luogo a
due diversi tipi di vizi: se il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una
domanda od un’eccezione, ricorrerà un vizio di nullità della sentenza per “error
in procedendo”, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod.
proc. civ.; se, invece, il giudice si pronuncia sulla domanda o sull’eccezione,
ma senza prendere in esame una o più delle questioni giuridiche sottoposte al
suo esame nell’ambito di quella domanda o di quell’eccezione, ricorrerà un
vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod.
proc. civ.; l’erronea sussunzione nell’uno piuttosto che nell’altro motivo di
ricorso del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità,
comporta l’inammissibilità del ricorso (Cass. 11 maggio 2012, n. 7268). La
questione dell’inesistenza del vantaggio fiscale della società contribuente
rappresenta non un’autonoma domanda o eccezione, ma è una questione
posta nell’ambito dell’impugnativa dell’avviso di accertamento, nella parte
relativa al recupero di detrazione dell’IVA per operazioni soggettivamente
inesistenti, tendente a dimostrare, nell’insieme delle deduzioni poste dalla

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non intercetta la ratio decidendi, la quale è nel senso sia della gestione della

contribuente, l’estraneità di quest’ultima all’ipotizzata frode fiscale. La censura
andava quindi posta come vizio motivazionale.
Con il quarto motivo si denuncia omessa motivazione ai sensi dell’art.
360 n. 5 c.p.c. Lamenta la ricorrente che il giudice di merito non ha illustrato le
ragioni per le quali la contribuente avrebbe ricavato un vantaggio fiscale dalla
partecipazione alla frode IVA.

rispettato per la chiara indicazione del fatto controverso rispetto al quale la
motivazione sarebbe omessa, e cioè l’indebito vantaggio fiscale. La
circostanza, rispetto alla quale viene denunciato il vizio di motivazione, è priva
di decisività, e ciò sia alla stregua di quanto reputato dal giudice di merito, sia
di quanto emerge dal significato che la stessa circostanza può astrattamente
assumere. Ciò che rileva, alla stregua della valutazione del giudice di merito, è
la partecipazione del soggetto ad una frode per evasione fiscale. E’ sufficiente
secondo il giudice di merito, per accogliere l’appello dell’Agenzia delle entrate,
l’esistenza del sistema fraudolento, costituito dalla moltiplicazione dei livelli di
passaggio della merce. La circostanza della mancanza di un vantaggio fiscale
non è, poi, un elemento che con certezza avrebbe condotto ad un diverso esito
la valutazione della CTR posto che, astrattamente, non c’è incompatibilità fra la
partecipazione ad un sistema concepito per l’evasione di imposta e la
mancanza di vantaggio fiscale per l’ultimo acquirente della filiera, potendo il
vantaggio essere configurato in termini di abbassamento del prezzo di vendita
della merce, grazie al mancato versamento dell’IVA, come dedotto nel
controricorso.
Con il quinto motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione
c.p…,
all’art. 360 n. 4./Crmenta la ricorrente che la CTR ha omesso di pronunciare in
ordine all’esistenza o meno di un accordo simulatorio cui avrebbe preso parte
anche la contribuente.
Il motivo è inammissibile. Così come rilevato a proposito del terzo
motivo, la questione dell’esistenza o meno di un accordo simulatorio
rappresenta non un’autonoma domanda o eccezione, ma è una questione
posta nell’ambito dell’impugnativa dell’avviso di accertamento, nella parte

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Il motivo è inammissibile. Il requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c. risulta

relativa al recupero di detrazione dell’IVA per operazioni soggettivamente
inesistenti, tendente a dimostrare, nell’insieme delle deduzioni poste dalla
contribuente, l’estraneità di quest’ultima all’ipotizzata frode fiscale. La censura
andava quindi posta come vizio motivazionale.
Con il sesto motivo si denuncia omessa motivazione ai sensi dell’art. 360
n. 5 c.p.c. Lamenta la ricorrente che il giudice di merito non ha illustrato le

accordo simulatorio trilaterale, costituente elemento imprescindibile per
ritenere che vi sia stata interposizione fittizia.
Il motivo è inammissibile. Ha affermato il giudice comunitario (Corte
giust. 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e 142/11) che va negato il
beneficio del diritto a detrazione dell’IVA ove sia dimostrato, alla luce di
elementi oggettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati forniti i beni o i
servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto
sapere che tale operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o
da un altro operatore a monte. Per la corte comunitaria è legittimo “esigere
che un operatore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente
richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a
partecipare ad un’evasione fiscale”, ma la diligenza esigibile dall’operatore
dipende essenzialmente dalle circostanze della fattispecie. Così “qualora
sussistano indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di
evasioni, un operatore accorto potrebbe, secondo le circostanze del caso di
specie, vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore,
presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della
sua affidabilità”. Fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell’IVA non è
dunque soltanto la consapevolezza dell’iscrizione dell’operazione, a fondamento
del diritto a detrazione, in un’evasione a monte nella catena di prestazioni, ma
anche il fatto che l’operatore, sulla base della diligenza esigibile dall’operatore
accorto in relazione alle circostanze, avrebbe dovuto sapere dell’esistenza
dell’evasione. La circostanza della prova dell’adesione della contribuente ad un
accordo simulatorio trilaterale non appare quindi decisiva. Pur ipotizzando
l’inesistenza del detto accordo, la conclusione del giudice di merito non sarebbe

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ragioni per le quali doveva ritenersi provata l’adesione della contribuente ad un

stata con certezza diversa, ove si consideri che l’elemento determinante è il
fatto che l’operatore avrebbe dovuto sapere dell’esistenza dell’evasione. Va
comunque precisato, ai fini dell’identificazione della ratio decidendi, che nella
motivazione non si rinviene un affermazione nel senso di una provata adesione
della contribuente ad un accordo simulatorio trilaterale.
Con il settimo motivo si denuncia violazione degli artt. 64 d.p.r. n.

Lamenta la ricorrente che illegittimo è il seguente passaggio motivazionale: “in
ultima analisi l’interposizione fittizia delle società ‘cartiere’ (il soggetto
interposto acquista beni da un fornitore comunitario senza versare VIVA che
però indica in fattura con cui li cede al cliente italiano che porta in detrazione
VIVA) implica ovviamente la indetraibilità oggettiva dell’IVA”. Osserva in
particolare che inconfigurabile è l’ “indetraibilità oggettiva”, in assenza di colpa,
posto che il dovere di controllo da parte del cessionario presuppone che la
frode sia conoscibile.
Il motivo è fondato. L’affermazione della CTR è errata sul piano giuridico.
Come sottolineato con riferimento al motivo precedente, sulla base della
giurisprudenza comunitaria f fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell’IVA è
che l’operatore, sulla base della diligenza esigibile dall’operatore accorto in
relazione alle circostanze, avrebbe dovuto sapere dell’esistenza dell’evasione.
A tale principio si è attenuta questa Corte, affermando che, qualora
l’amministrazione contesti ad un operatore il diritto alla detrazione dell’imposta
sul valore aggiunto in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle
operazioni oggetto dell’accertamento, è onere della medesima amministrazione
provare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato
sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del
diritto a detrazione si iscriveva – per l’esistenza nella specie di indizi idonei ad
avvalorare il sospetto in tal senso indicati dall’amministrazione – in un’evasione
commessa dall’emittente delle fatture contestate o da un altro operatore
intervenuta a monte nella catena di prestazioni (Cass. 20 dicembre 2012, n.
23560). Il giudice del merito, riconoscendo il carattere “obiettivo”
dell’indetraibilità dell’IVA, sulla base del mero dato dell’interposizione fittizia di

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600/1973 e 60-bis d.p.r. n. 633/1972, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.

società cartiere, senza alcuna valutazione del profilo soggettivo, ha violato il
menzionato principio di diritto.
Con l’ottavo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 19
d.p.r. n. 633/1972, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. Lamenta la ricorrente che
contrario a diritto è il seguente passaggio motivazionale nel quale si riconosce
la legittimità della pretesa fiscale “anche ai sensi dell’art. 19 del d.p.r. 633/72

esigibile e cioè quando le operazioni si considerano effettuate e l’imposta
versata. Poiché nessuna delle due circostanze si è avverata nel caso di specie,
si ribadisce che VIVA è indetraibile”. Osserva in particolare che illegittimo è
ritenere irrilevante il versamento dell’imposta da parte della contribuente e che
il meccanismo della detrazione si collega all’assolvimento dell’imposta per
rivalsa da parte dell’acquirente. Aggiunge la ricorrente che la divergenza tra
emittente la fattura e fornitore effettivo è stata meramente asserita
dall’Amministrazione finanziaria e che non risulta provato che le operazioni di
vendita in favore della contribuente fossero fittizie e che la medesima
contribuente avesse consapevolezza degli illeciti compiuti dalle società a
monte.
Il motivo è inammissibile, sotto più profili. In primo luogo il quesito di
diritto è incentrato sull’illegittimità della sentenza per il mancato esame della
circostanza relativa alla consapevolezza del contribuente in ordine agli illeciti
compiuti dai venditori. Trattasi di quesito non pertinente al motivo di censura,
che invece è basato sulla destituzione di fondamento del passaggio
motivazionale nel quale si afferma la mancata verificazione dei due presupposti
di detraibilità dell’IVA, identificati nell’effettuazione delle operazioni e nel
versamento dell’imposta. La mancanza di quesito pertinente rende carente il
requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c. In secondo luogo nel motivo si
contrappongono una serie di assunzioni di fatto, e cioè l’assolvimento
dell’imposta e la mancanza di prova della fittizietà delle operazioni,
all’accertamento di fatto contenuto in sentenza, per il quale le operazioni si
considerano non effettuate e l’imposta non versata. Trattasi di profili di merito
la cui valutazione è preclusa nella presente sede di legittimità.

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che prevede il diritto alla detrazione dell’IVA nel momento in cui diviene

Con il nono motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
2697 c.c., 54, comma 2, d.p.r. n. 633/1972, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Lamenta la ricorrente che la CTR avrebbe dovuto verificare se l’Ufficio avesse
rispettato l’onere della prova inerente l’affermata sussistenza di operazioni
soggettivamente inesistenti, e cioè la fittizietà dell’interposizione e la
consapevole partecipazione del cessionario alla frode, sulla base di quanto

Il motivo è fondato. Come rilevato a proposito dell’esame del settimo
motivo, qualora l’amministrazione contesti ad un operatore il diritto alla
detrazione dell’imposta sul valore aggiunto in ragione di una supposta
inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto dell’accertamento, è onere della
medesima amministrazione provare, alla luce di elementi oggettivi, che il
soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione
invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva – per l’esistenza
nella specie di indizi idonei ad avvalorare il sospetto in tal senso indicati
dall’amministrazione – in un’evasione commessa dall’emittente delle fatture
contestate o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di
prestazioni (Cass. 20 dicembre 2012, n. 23560). Una indagine di merito
disciplinata da tale regola probatoria è del tutto mancata, alla stregua della
motivazione della sentenza impugnata.
Con il decimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli
artt. 132, comma 2, c.p.c. e 36, comma 2, d. leg. n. 546/1992, in relazione
all’art. 360 n. 4 c.p.c. Lamenta la ricorrente che illegittimo è il seguente
passaggio motivazionale: “questa commissione inoltre non condivide altre
affermazioni contenute nella sentenza appellata (elencate a pag. 8-9
dell’appello dell’ufficio) perché oggettivamente controdedotte dall’ufficio con
argomentazioni del tutto condivisibile”. Espone in particolare che le
affermazioni della CTP elencate alle pagine 8 e 9 dell’atto di appello sono le
seguenti: le società sono state qualificate fittizie dall’Ufficio; si ritiene probabile
e non certa la personale conoscenza del Cristofoletti da parte del legale
rappresentante della società contribuente; dal p.v.c. si evince chiaramente che
le società emittenti operavano regolarmente ed erano soggetti a rilievo IVA; le

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affermato da Cass. n. 2779 del 2009.

stesse società incassavano e versavano VIVA; l’Ufficio avrebbe dovuto provare
l’accordo simulatorio trilaterale; il legale rappresentante della società
contribuente risulta estraneo all’accordo frodatorio, come risultata dal decreto
di archiviazione del procedimento penale; la contribuente non avrebbe
comunque tratto vantaggio fiscale dalla frode; la giurisprudenza comunitaria
ha chiarito che solo ove l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere della

nullità della sentenza non risultando l’esposizione dei motivi che avrebbero
indotto la CTR a non condividere la decisione di primo grado ed essendosi la
medesima CTR limitata a rinviare alle difese dell’Ufficio.
Il motivo è infondato. Va richiamato quanto di recente affermato dalle
sezioni unite di questa Corte. “E’ ancora da precisare che è destituito di
fondamento l’assunto (apparentemente condiviso dal ricorrente laddove
lamenta la mancata esplicitazione in motivazione delle ragioni della totale
adesione del giudice alle tesi della controparte) secondo il quale, quando
aderisce alle ricostruzioni, impostazioni, argomentazioni poste da una parte a
sostegno delle proprie pretese, il giudice deve poi necessariamente motivare le
ragioni di tale adesione. Il codice prevede infatti solo che il giudice assuma una
decisione ed esponga poi le ragioni di tale decisione (coincidenti o meno che
siano, in tutto o in parte, con quelle esposte da uno dei contendenti a sostegno
delle proprie pretese), ma non prevede altresì che, in una sorta circolo vizioso,
esponga anche i motivi per i quali abbia eventualmente condiviso le ragioni
sostenute da una delle parti, posto che tali ragioni, se valide, sono idonee di
per sé a sostenere la decisione assunta, senza che sia necessaria una ulteriore
motivazione riguardante (non già le ragioni della decisione bensì) le ragioni per
cui le suddette ‘ragioni della decisione’ corrispondono a quelle esposte da una
delle parti a sostegno delle proprie pretese. Certo, è possibile che quanto
affermato da una parte sia ‘contrastato’ (in fatto e in diritto) dall’altra parte, ed
in questo caso la sentenza nella quale il giudice si limitasse a riportare le
ragioni esposte da una delle parti senza prendere in considerazione quelle
contrapposte dall’altra sarebbe censurabile se ed in quanto oggettivamente
incompleta, non certo per la mancata esplicitazione dei motivi di adesione alle

lo

frode si può negare la detrazione. Conclude quindi la ricorrente nel senso della

tesi di una delle parti né tanto meno per il solo fatto che la relativa
motivazione risulta costituita dalla mera riproduzione del contenuto di un atto
di parte. L’unico problema reale di una motivazione siffatta sorge infatti solo se
il contenuto dell’atto riportato a scopo motivazionale non è idoneo e sufficiente
a sostenere la decisione. Esclusivamente in questo caso quindi, e solo per tale
motivo, non per altri, la sentenza sarebbe censurabile” (Cass. 16 gennaio

Nel motivo di censura la ricorrente si è limitata a censurare

simpliciter

sic et

l’adesione alle argomentazioni dell’appellante e la mancata

illustrazioni delle ragioni di tale adesione. Non ha denunciato l’incompletezza
della motivazione per non avere il giudice di merito preso in considerazione le
ragioni opposte dalla controparte, e dunque l’inidoneità degli argomenti
dell’appellante a sostenere la decisione. Essendosi la ricorrente limitata alla
mera censura dell’adesione, priva di illustrazione delle ragioni dell’adesione
medesima, il motivo di ricorso non può trovare accoglimento.
Con l’undicesimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli
artt. 8 e 9 1. n. 289/2002, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la
ricorrente, con riferimento al rilievo di incompletezza dell’istanza di condono e
della dichiarazione integrativa per la mancanza di voci imponibili ai fini
dell’ILOR (1997) e dell’IRAP (1998), che l’indicazione nella dichiarazione
integrativa di maggiori imponibili in relazione a ciascuna imposta, al fine di
perfezionare la definizione automatica, non è richiesta dall’art. 8 I. n.
289/2002, trattandosi di indicazione irrilevante della determinazione
dell’importo dovuto dal contribuente per la definizione automatica per gli anni
preg ressi.
Il motivo è infondato. La L. n. 289 del 2002, art. 9, prevede, ai fini del
perfezionamento del condono, la presentazione di una dichiarazione
concernente, a pena di nullità, tutti i periodi d’imposta per i quali i termini per
la presentazione delle dichiarazioni dei redditi sono scaduti entro il termine del
31 ottobre 2002, e ciò proprio in considerazione della natura di “condono
tombale” della fattispecie prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, a differenza
della diversa ipotesi prevista dall’art. 9 bis stessa legge.

11

2015, n. 642).

L’adesione al condono comporta dunque necessariamente la definizione di tutti
i periodi d’imposta indicati dall’art. 9. La definizione agevolata è fondata
sull’essenziale presupposto della sua efficacia omnicomprensiva < (per il periodo considerato) che ne giustifica l'effetto preclusivo, e si estende all'ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione per taluna delle annualità ivi comprese (da ultimo Cass. 8 ottobre 2014, n. 21164). La dichiarazione l'efficacia onnicomprensiva del condono tombale. Con il dodicesimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, d.p.r. n. 633/1972 e 75 (ora 109), comma 5, TUIR, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente, in relazione ai costi relativi ai lavori eseguiti da terzi su veicoli di proprietà della contribuente, che i lavori in esame (carrozzeria, lavaggi, cambio gomme, ecc.) sono talmente insiti nell'attività di rivendita che non è ragionevole metterne in dubbio l'inerenza e che la CTR avrebbe dovuto prendere in esame lo stretto nesso funzionale esistente fra le prestazioni e l'attività esercitata. Il motivo è inammissibile. Ha affermato la CTR che le spese per lavori di terzi non sono sufficientemente documentate, mancando nelle fatture l'indicazione degli elementi (numero di targa) necessari per giustificare l'inerenza di tali costi all'attività d'impresa. Nel motivo di censura si giustappone, in funzione probatoria dell'inerenza, "lo stretto nesso funzionale esistente fra le p- restàzioni e l'attività esercitata". Trattasi di apprezzamento di merito, contrapposto a quello della CTR, il cui esame è precluso nella presente sede di legittimità. Con il tredicesimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7, comma 1, I. n. 212/2000 e 56, comma 5, d.p.r. n. 633/1972, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che nel ricorso di primo grado era stato evidenziato che all'avviso di accertamento non erano state allegate in modo completo le sentenze cui il medesimo avviso faceva riferimento, ma solo i capi di imputazione, e che l'atto non riportava comunque il contenuto essenziale di tali sentenze. Lamenta che la CTR ha erroneamente ritenuto legittima la motivazione dell'atto impositivo. 12 mancante per talune annualità di alcune voci imponibili è in contrasto con • ANIMMEDA ittarntAiztoNE SENSI DEL D.P R. 26/4/19.16 ti. 131 TAW ALL. B.. N.5 MATERIA TRMUTARIA Il motivo è inammissibile. Il motivo muove da un accertamento dei fatti differente da quello del giudice di merito. Quest'ultimo ha accertato che gli elementi documentali contenuti nell'avviso di accertamento erano sufficienti per consentire al contribuente l'esercizio del diritto di difesa. Trattasi di accertamento incensurabile nella presente sede se non per vizio di motivazione. La denuncia di violazione di diritto muove dunque da presupposti P.Q.M. La Corte accoglie il settimo e nono motivo, rigetta il decimo e undicesimo motivo e dichiara per il resto inammissibile il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Trentino-Alto Adige, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il giorno 20 luglio 2015. non in linea con l'accertamento di fatto del giudice di merito.

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