Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4351 del 21/02/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4351 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

SENTENZA
sul ricorso 15962-2007 proposto da:
CRISTINA GIUSEPPE CRSGPP4OPO5C351T, assistito da
CHIARAMONTE Elena Rita in qualità di curatore, e con la stessa
elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA S. ANDREA DELLA
VALLE 3 INT. 2, presso lo studio dell’avvocato ALBANO
ANTONIO, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti;
– ricorrente contro
SOCIETÀ REALE MUTUA DI ASSICURAZIONI 00875360018 in
persona del Dirigente Servizio Affari Legali Avv. GIORGIO MARIA
LOSCO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DARDANELLI

Data pubblicazione: 21/02/2013

13, presso lo studio dell’avvocato LIUZZI ANTONIO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato MORTAROTTI
LORENZO giusta procura in atti;
– controricorrente –

D’ITRIA FILIPPA, GUGLIARA GAETANO;
– intimati avverso la sentenza n. 613/2006 della CORTE D’APPELLO di
TORINO, depositata il 12/04/2006, R.G.N. 1111/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/12/2012 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
udito l’Avvocato ANTONIO ALBANO;
udito l’Avvocato LIUZZI MILENA per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per l’inammissibilità in
subordine per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 27 luglio Cristina Giuseppe, mentre era alla guida del suo
ciclomotore, veniva investito dall’auto Lancia Prisma di proprietà di
D’Itria Filippa, condotta da Gugliara Gaetano e assicurata con la Reale
Mutua Assicurazioni.
Il Tribunale di Torino, adito dal Cristina, condannava la D’Itria, il
Gugliara e la compagnia assicuratrice, in solido tra loro, al risarcimento
dei danni liquidati in € 271.076,15, oltre interessi, con sentenza del 3
aprile 2002.
Avverso tale decisione il Cristina proponeva gravame lamentando
l’errata liquidazione del danno ed in particolare l’omesso risarcimento
deil danno esistenziale, l’illegittimità dell’operata compensazione, per il
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nonchè contro

50%, delle spese di giudizio e, per un terzo, delle spese di ctu nonché
l’erroneo calcolo delle spese sostenute dall’attore.
Il Gugliara e la D’Itria non si costituivano in grado di appello.
La società assicuratrice resisteva al gravame, chiedendone il rigetto, e
proponeva appello incidentale, sollecitando la rideterminazione del

versate in eccedenza.
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 12 aprile 2006/ rigettava
l’appello incidentale e, in parziale accoglimento dell’appello principale,
condannava gli appellati, in solido tra loro, al pagamento, in favore
dell’appellante, della ulteriore somma di € 2.016,15, oltre interessi legali
dalla data dei singoli pagamenti, a titolo di ulteriori spese sostenute dal
Cristina.
Avverso la sentenza della Corte di merito Cristina Giuseppe ha
proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Ha resistito con controricorso la Società Reale Mutua di Assicurazioni.
Gugliara Gaetano e D’Itria Filippa non hanno svolto attività difensiva
in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis cod.
proc. civ. – inserito nel codice di rito dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio
2006, n. 40 ed abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18
giugno 2009, n. 69 – in considerazione della data di pubblicazione della
sentenza impugnata (12 aprile 2006).
2. Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione
degli artt. 1223, 1224, 1226, 2056 c.c., 112 e 345 c.p.c. in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., il ricorrente lamenta che il
Tribunale prima e la Corte di Appello poi, pur avendo espressamente
affermato di far riferimento, per la liquidazione del danno biologico,
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danno patito dal Cristina e la restituzione delle somme a quest’ultimo

alle tabelle elaborate da quel Tribunale, se ne siano poi discostati,
applicando “un valore a punto” inferiore al minimo previsto dalle dette
tabelle senza alcuna motivazione al riguardo.
2.2. Il motivo è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il quesito inerente ad una

punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e
l’enunciazione del principio giuridico generale – non può essere, come
lo è nel caso all’esame, meramente generico e teorico, ma deve essere
calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter
comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamene compito dal
giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può
consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero
nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della
propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata
nello svolgimento del motivo. (Cass. 7 marzo 2012, n. 3530).
3. Con il secondo motivo, il ricorrente lamentando “violazione e falsa
applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 n.
5 c.p.c.”, censura la sentenza impugnata per non aver ritenuto
dimostrate le spese da lui sostenute in corso di ctu, pari a € 8.369,11, e
per non aver riconosciuto l’importo di € 24,27 corrisposto per una
visita risalente al 1996.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Il quesito di diritto formulato è generico ed astratto e al riguardo si
richiama quanto già evidenziato nel § 2.2..
Peraltro, ove si voglia ritenere, al di là della rubrica del motivo
all’esame – che, peraltro, pur lamentando violazione di legge e, quindi,
sia pure implicitamente riferendosi all’ipotesi di cui all’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., richiama tuttavia espressamente il n. 5 del
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censura in diritto – dovendo assolvere alla funzione di integrare il

medesimo articolo – la censura formulata come volta a denunciare vizi
motivazionali, la stessa è parimenti inammissibile. Nella giurisprudenza
di questa Corte é stato, infatti, precisato che, secondo l’art. 366 bis
c.p.c., anche nel caso previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.,
l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di

al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria, ovvero
delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la
renda inidonea a giustificare la decisione, e che la relativa censura deve
contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che
ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare
incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (Cass., sez. un., 1° ottobre 2007, n. 20603).
In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al
quale la motivazione si assuma omessa, insufficiente o contraddittoria,
deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò
specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è
possibile ritenere rispettato il requisito concernente il motivo di cui al
n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. allorquando solo la completa
lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di
un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione
da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito dell’art.
366 bis c.p.c., che il motivo stesso concerne un determinato fatto
controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od
insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui
la motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere la decisione
(Cass., sez. un., 18 luglio 2007, n. 16002; Cass. 27 ottobre 2011, n.
22453).

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inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione

É stato pure affermato da questa Corte che é inammissibile, ai sensi
dell’art. 366 bis c.p.c., per le cause – come quella all’esame – ancora ad
esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione, qualora non sia stato formulato il cd.

momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo
controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa
la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze
deflattive del filtro di accesso alla suprema Corte, la quale deve essere
posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito,
quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (v. Cass., 18
novembre 2011, n. 24255).
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo,
seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente, in
favore della controricorrente, alle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in complessivi euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi,
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte uprema di Cassazione, il 18 dicembre 2012.

quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito

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