Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4351 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. I, 10/02/2022, (ud. 25/01/2022, dep. 10/02/2022), n.4351

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

G.R., rappr. e dif. dall’avv. Rosalba Padroni,

rosalba.padroni.pecavvocaticivitavecchia.it, elett. dom. presso lo

studio dell’avv. Daniela Etna, c/o studio legale EFGP &

Partners, daniela.etna.pecavvocaticivitavecchia.it, come da procura

allegata in calce all’atto;

– ricorrente –

FONDO PENSIONI PER IL PERSONALE DELLA BANCA COMMERCIALE ITALIANA IN

LIQUIDAZIONE, in persona dei liquidatori, rappresentato e difeso

dagli avvocati Pietro Ichino, Francesco Brugnatelli, Enrico

Brugnatelli, elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’avvocato Massimo Pallini, in Roma via Marcello Prestinari n.

13, studiopallini.pec.it, come da procura allegata in calce all’atto

ed integrata da memoria successiva;

– controricorrente –

per cassazione del decreto Trib. Milano 23.12.2015, n. 14701/2015, in

R.G. n. 84866/2013;

vista la memoria del Fondo;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 25.1.2022.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. G.R., già dipendente bancario, impugna il decreto Trib. Milano 23.12.2015, n. 14701/2015, in R.G. n. 84866/2013 che ne ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del FONDO PENSIONI PER IL PERSONALE DELLA BANCA COMMERCIALE ITALIANA IN LIQUIDAZIONE (FONDO), nel quale aveva formulato il 10.6.2013 istanza di ammissione in privilegio per Euro 32.683 e, in via subordinata, il riconoscimento della minor somma di Euro 6.214,75, quale importo conseguente all’accordo tra le associazioni di lavoratori UNC e ANPEC del 12.7.2010, non conseguendo alcun accoglimento della domanda;

2. il tribunale ha premesso, ricostruendo la storia del fondo, che: a) esso, eretto come ente morale con R.D. 11 agosto 1921, n. 1201, implicava che i dipendenti della banca vi erano iscritti sin dall’assunzione, operando fino al 1954 in sostituzione di un regime previdenziale obbligatorio, poi mutato e attuato con il sistema a prestazione definita (cui erano correlati i contributi versati), precluso dal D.Lgs. n. 124 del 1993, ai dipendenti assunti dopo il 28 aprile di quell’anno con l’effetto di separazione dei contributi versati dai nuovi iscritti; b) a seguito di un picco dei pensionamenti anticipati, da trattare secondo il vecchio regime, la banca e le maggiori organizzazioni dei sindacati (cd. fonti istitutive) raggiunsero un accordo il 16 dicembre 1999, già preceduto da una Delib. del c.d.a. del fondo con cui il 28.6.1999 erano stati ridotti i coefficienti di calcolo delle pensioni maturate al 1.1.1998, così attuando il passaggio ad un nuovo sistema a contribuzione definita e capitalizzazione individuale, riducendo ancora il predetto coefficiente, facendo cessare la obbligatorietà dell’iscrizione ed infine rimettendone la scelta di possibile perdurante appartenenza ai dipendenti anteriori al 28 aprile 1993 ed ancora in servizio al 1.1.2000; c) per il caso di mantenimento volontario dell’iscrizione, a ciascun dipendente veniva collegato un conto individuale, con accredito di una quota del fondo al 31.12.1997, accumulabile con i nuovi contributi e i rendimenti annuali del patrimonio dell’ente, mentre chi optava per l’uscita maturava il diritto al riconoscimento immediato del medesimo cd. zainetto; d) nel nuovo statuto, approvato da COVIP il 20.12.2000 venne poi introdotto un meccanismo compensativo dei sacrifici subiti dai citati vecchi iscritti, ammessi a godere delle plusvalenze immobiliari realizzate nel patrimonio del fondo dal 2000, da iscrivere in una riserva per la sua confluenza nei rispettivi conti individuali; e) in prosieguo, tuttavia, le citate fonti istitutive (soggetti stipulanti l’accordo) concordarono sull’avvio della liquidazione dell’ente speciale e dunque la vendita dei cespiti immobiliari, così da permetterne la ripartizione ai pensionati, pervenendo all’accordo del 10 dicembre 2004 che soppresse la facoltà di conseguire anticipi e le pensioni di reversibilità, sospendendo con effetto dal 1.1.2005 gli esborsi ai creditori dei citati zainetti, fissando invece solo la possibilità di erogare acconti sulla liquidazione delle posizioni individuali; f) la liquidazione ebbe corso negli anni 2005-2006, con un ricavato di 1.106 mln Euro e plusvalenza di 536,2 mln Euro, avviandosi così la fase volta alla estinzione del fondo e la ripartizione tra iscritti attivi e pensionati secondo zainetti e riserve; g) il c.d.a. del fondo ne deliberò la formale estinzione il 21.11.2006 per la impossibilità di conseguire il vecchio scopo ed invece per la realizzazione dello scopo derivante dalla trasformazione, promuovendo la richiesta al tribunale della nomina dei liquidatori per la liquidazione del residuo patrimonio; h) dichiarata l’estinzione dal prefetto il 20.12.2006, il presidente del tribunale, facendo applicazione dell’art. 30 c.c. e art. 11 disp. att. c.c., nominò i liquidatori che il 24.2.1999 depositarono il piano di riparto secondo la L. Fall., art. 213, oggetto d’impugnazione avanti al Tribunale di Milano che ne dichiarò la nullità, confermata dalla corte d’appello, cui è seguito ricorso per cassazione rigettato da Cass. sez. lav. 4540/2013 (n.m.) condividendo la valutazione di “omesso espletamento delle integrali formalità previste dall’art. 16 disp. att. c.c.”;

3. questa Corte, nella citata pronuncia e ad integrazione correttiva della sentenza d’appello, sulla premessa di applicazione dell’art. 30 c.c. – trattandosi di persona giuridica estinta e dunque dovendosi dar corso alla liquidazione del patrimonio secondo le norme del codice, cioè gli artt. 11 disp. att. c.c. e segg., diede atto che: a) il rispetto della concorsualità, pur previsto più ampiamente per la cd. liquidazione generale di cui all’art. 16 disp. att. (in ragione dell’incapienza dell’attivo), sussiste anche nel diverso caso in cui, pur mancando il riconoscimento della incapienza del fondo, non sia praticabile il pagamento dei creditori, secondo l’art. 15 disp. att. c.c., a mano a mano che si presentano; b) si tratta infatti di un iter procedimentale compatibile con i soli crediti predeterminati o predeterminabili (cioè prescindenti dalla misura di altri crediti), diversamente dall’ipotesi in cui la più parte delle pretese concerne posizioni soggettive che presuppongono la fissazione preliminare della somma da distribuire, cioè l’ammontare dei crediti predeterminati e con reciproca influenza tra le categorie di partecipanti a seconda del criterio seguito nella ripartizione; c) la conseguente applicazione del regime della liquidazione generale, di cui all’art. 16 disp. att. c.c., e con più ampio richiamo alle norme sulla l.c.a., deriva dunque dalla necessità di accertare le somme dovute per ripartire le eccedenze ai singoli partecipanti secondo un unitario criterio e dall’impiego di modalità di garanzia per i creditori, ammessi a far valere le rispettive pretese in via giudiziale ove non riconosciute; d) le norme da applicare erano dunque non solo la L. Fall., art. 213, bensì anche la L. Fall., artt. 207 e 209, dichiarandosi assorbita ogni questione relativa all’applicabilità agli ex dipendenti dell’accordo UNP-ANPEC del 12.7.2010, alla cui stregua il piano di riparto – dichiarato nullo per vizio procedimentale – era stato modificato, tanto più che trattavasi di questione ulteriore e nuova;

4. il decreto qui impugnato rileva poi che: a) a seguito della citata

pronuncia Cass. 4540/2013, i liquidatori riformavano lo stato passivo del fondo, depositato il 7.11.2013, dandone notizia agli interessati sia con raccomandata via PEC sia con pubblicazione in Gazzetta ufficiale; b) il ricorrente G., non ammesso, coltivava opposizione allo stato passivo, che veniva respinta;

5. il tribunale ha così ritenuto: a) applicabile la L. Fall., art. 209, ma non nella versione anteriore al 2007, allorché il termine per l’impugnazione era di 15 giorni di contro ai successivi 30 del regime riformato, poiché – nonostante la liquidazione fosse stata dichiarata all’epoca del previgente regime, il 20.12.2006 – alla data della formazione del passivo già erano subentrate le modifiche alla L. Fall., artt. 98-99, del cd. decreto correttivo D.Lgs. n. 169 del 2007 ed il rinvio dell’art. 16 disp. att. c.c., vertendosi in una liquidazione volontaria, concerneva non l’intera liquidazione ma solo l’accertamento del passivo, applicandosi pertanto le norme vigenti al momento di quelle operazioni contestate; b) nel merito, nessuna contestazione era stata recata al presupposto di operatività della rideterminazione della disciplina delle prestazioni e del finanziamento del fondo pensionistico, essendo sufficiente anche solo uno squilibrio esterno prevedibile, non necessariamente uno squilibrio interno, così operando lo strumento del D.Lgs. n. 124 del

1993, art. 18, comma 7; c) l’originario art. 27 dello Statuto del fondo, con la previsione distributiva di plusvalenze immobiliari a favore dei soggetti già incisi dalla riforma e dunque anche per la fase della liquidazione, era smentito dall’accordo del 10.12.2004, chiuso dalla banca con le fonti istitutive e sostanzialmente abrogativo della citata norma, avendo voluto le parti contraenti destinare il ricavato di liquidazione a chi, alla data della riforma,

era già in pensione e percepiva la rendita e a quanti erano ancora attivi; d) lo stesso accordo 10.12.2004 risultava inoltre idoneo a fissare i criteri della futura liquidazione del fondo, così prevalendo sulle disposizioni statutarie,

secondo l’autonomia negoziale del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 3, tanto più che lo stesso cit. art. 27 non prevedeva un diritto soggettivo prefetto bensì una mera aspettativa di integrazione del trattamento pensionistico complementare in caso di plusvalenze, né sussisteva responsabilità di azione distrattiva del datore di lavoro dall’integrità patrimoniale del fondo, essendone rimasta la funzione previdenziale; e) in ogni caso, l’opposizione andava respinta anche a voler ritenere applicabile l’art. 27 Statuto, poiché l’opponente, già aderente al nuovo statuto dell’ente, cessava dall’iscrizione al fondo il 29.4.2001, conseguiva la liquidazione dello zainetto il 26.6.2003, quietanzando quanto ricevuto in unica soluzione (il capitale maturato sul conto individuale) e così specificando di non avere più pretese per alcun titolo verso il fondo pensioni, ciò determinando l’irrilevanza delle vicende successive a quel momento; f) la domanda era respinta anche per la richiesta subordinata, perché carente di illustrazione oltre la mera istanza monetaria e per il caso di attuazione dell’accordo 12.7.2010, cui era estraneo il fondo, nonostante la sua conclusione da parte di due organizzazioni sindacali, non ratificato però da tutti gli interessati, il difetto di efficacia erga omnes, la mancata prova comunque della rappresentatività maggioritaria dei sindacati contraenti;

6. il ricorso è su sei motivi, ad esso resiste il fondo con controricorso, illustrato con deposito finale di memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si invoca la violazione dell’art. 3 dell’accordo 16.12.1999 fra le fonti istitutive, recepito dall’art. 27 statuto del fondo e dell’accordo 10.12.2004, avendo il tribunale erroneamente predicato l’avvenuta abrogazione dell’art. 27 cit. ad opera del secondo accordo, oltrepassando le stesse difese del fondo che ne aveva invece e solo negato la vigenza per la fase della liquidazione;

2. con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 1362 c.c. e segg., nella parte in cui, erroneamente applicando i criteri sull’interpretazione dei contratti e travisando la condotta delle OO.SS., ha disatteso la finalità reintegratoria e compensatoria dell’art. 27 Statuto, così prevista a favore dei dipendenti ivi indicati, quali iscritti al fondo prima del 28.4.1993 ed in servizio al 1.1.2000, beneficiari delle plusvalenze immobiliari, anche dopo l’accordo del 2004, senza deroghe all’accordo del 1999;

3. con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 2117 c.c., per aver violato la ricostruzione abrogativa dell’art. 27 il principio della indisponibilità patrimoniale delle forme di previdenza istituite su base negoziale, così rendendosi illegittimo il recesso datoriale dall’accordo collettivo;

4. con il quarto motivo si deduce ancora la violazione dell’art. 27 dello statuto del fondo, avendo il tribunale rigettato l’opposizione in base ad una pretesa abrogazione dell’art. 3 dell’accordo 16.12.1999 poi recepito nei contratti individuali, giustapponendo una ricostruzione diversa da quella assunta dal fondo al momento del rigetto dell’istanza di ammissione al passivo, nonché nel corso del giudizio, dato che le parti istitutive dell’accordo del 2004 non erano comunque le stesse di quello del 1999, né vi era stata adesione individuale o approvazione di COVIP; viene poi contestato che G., conseguendo la liquidazione del proprio zainetto il 29.4.2001, abbia rinunciato ad altre pretese, tanto più che vi ha fatto riserva e non ha percepito il capitale in unica soluzione;

5. con il quinto motivo si censura la pronuncia per violazione degli artt. 2077,1362,1372,1358 c.c., avendo errato il tribunale ove ha ritenuto l’accordo del 2004 modificativo in senso retroattivo di quello del 1999, sacrificando i diritti acquisiti dall’opponente, prescindendo però da ogni adesione individuale ovvero dal coinvolgimento di tutti i soggetti stipulanti la prima intesa;

6. con il sesto motivo si censura la pronuncia ove, dando per ipoteticamente applicabile l’art. 27 statuto, ha comunque rigettato l’opposizione sull’errato presupposto che dalla cessazione dell’iscrizione al fondo del 29.4.2001 derivasse, per via della liquidazione dello zainetto e di quietanza liberatoria, la perdita di altri diritti, avendo invece il ricorrente fatto espressa salvezza degli stessi e così conservando il credito per l’importo ulteriore soggetto a condizione sospensiva di un’utile realizzazione di plusvalenze immobiliari dal 2000;

7. i motivi, riunibili in trattazione perché connessi, sono infondati per taluni profili ed inammissibili per altri; secondo la statuizione già resa da questa Corte (di recente, Cass. 22267/2021, 36708/2021) e dunque in particolare integrazione esplicativa della stessa motivazione adottata dal tribunale, la questione della sopravvivenza dell’art. 27 dello statuto del fondo Comit nonostante l’accordo del 2004 modificativo in senso retroattivo di quello del 1999, va posta non tanto in termini di abrogazione della disposizione in senso stretto, ma di sua inettitudine a regolare, per la parte qui in discussione, il funzionamento del fondo stesso anche nella sua fase di liquidazione; per tale ragione il dispositivo del decreto impugnato, anche su tale punto conforme a diritto, va però corretto ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c.;

8. è infatti pacifico che la gestione ordinaria del fondo può dirsi cessata in virtù dell’accordo fra le cd. fonti istitutive del 10.12.2004, con cui si dispose la destinazione al processo di liquidazione di tutti gli immobili, sopprimendo la possibilità di ottenere anticipazioni e sospendendo la erogazione dei cd. zainetti (cioè le somme in accumulo nei conti individuali progettate con l’accordo precedente del 1999); alla considerazione il tribunale è peraltro giunto, anche dopo aver valorizzato – con apprezzamento qui insindacabile (Cass. s.u. 8053/2014) – il mutamento del sistema contabile relativo ai movimenti sul patrimonio del fondo e le stesse condotte successive delle associazioni dei dipendenti, da un canto assegnando all’accordo del 2004 una portata regolativa di sostanziale deroga disapplicativa rispetto ai meccanismi di formazione di capitali fondati sulle plusvalenze eventuali da vendite immobiliari, comunque non cogenti rispetto al ministero dei liquidatori, la cui attività non poteva che impegnare l’intero patrimonio dell’ente dichiarato estinto nel 2006; in questo senso, come anticipato, anche la locuzione che fa invece riferimento all’abrogazione dell’invocato art. 27 statuto deve rinvenire una più esatta collocazione categoriale ove sia letta in chiave di sganciamento di tale norma rispetto ad una fase in cui la vendita degli attivi era, in generale, un’attività dovuta dai liquidatori, funzionale ad un’ordinata formazione dello stato passivo e poi ai riparti ex art. 30 c.c. e artt. 11,14 e 16 disp. att. c.c., secondo lo schema garantistico chiarito da Cass. 4540/2013;

9. si tratta di indirizzo già affermato con Cass. 23416/2017 (n.m.) ove questa Corte ha condiviso l’orientamento della Corte distrettuale, la quale “ha ritenuto che l’art. 27 dello Statuto, – nella parte in cui riconosce il diritto ai lavoratori iscritti prima del 28/4/1993 e in servizio alla data del 1 gennaio 2000, nonché ai differiti di cui all’art. 45, le plusvalenze realizzabili, a partire dal 2000, nel comparto immobiliare del patrimonio del fondo, con accredito nei rispettivi conti individuali, se in attività di servizio o differiti, o mediante rivalutazione della prestazione, nel caso in cui abbiano conseguito il diritto a pensione, mentre le ulteriori eventuali plusvalenze avrebbero dovuto essere ripartite a beneficio di tutti i lavoratori interessati dalla Delib. 28 giugno 1999, – si riferisca alle ipotesi di plusvalenze prodotte durante la vita normale del fondo e non anche durante la fase della liquidazione diretta alla sua estinzione”; la pronuncia conferma allora la vigenza, manifestata anche dal tribunale milanese, della primazia regolativa dell’autonomia negoziale, cioè delle fonti istitutive, nella disciplina dei criteri della futura liquidazione impressa all’ente, in coerenza con il D.Lgs. n. 1424 del 1993, art. 3, comma 1, lett. b), ratione temporis vigente, una volta che sia cessata la fase dinamica dei movimenti nei conti individuali e del regime prestazionale pensionistico;

10. lo stesso tribunale, tuttavia e d’altro canto, ha aggiunto, come seconda e concorrente ratio decidendi del rigetto dell’opposizione, che comunque il ricorrente era receduto dal fondo il 29.4.2001, conseguendo la liquidazione del proprio zainetto, rilasciando quietanza pienamente liberatoria, così divenendo irrilevante ogni vicenda successiva; nella presente sede, viene avversata la statuita perdita della possibilità di contestare ancora, per altri crediti, detta liquidazione, invocando l’apposizione di una clausola di riserva del tutto alternativa a quella invece accertata dal giudice di merito; si tratta di censura, svolta più in particolare nell’ambito dei motivi nn. 4 e 6, che non trova riscontro nell’attività istruttoria di cui ha dato conto il tribunale, né il ricorrente ha meglio localizzato il documento che, in apparenza, sembrerebbe esser stato trascurato dal giudice di merito, tanto più che il vizio nemmeno è stato dedotto con sicura volontà di censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

11. appare così violato il principio da ultimo ripetuto da questa Corte (Cass. 10126/2021) e cui va data continuità, per cui già il numero 6 dell’art. 366 c.p.c. “esige la specifica indicazione degli atti e dei documenti, oltre che dei contratti e accordi collettivi, sui quali il ricorso si fonda: ed in tal modo sancisce il c. d. principio di autosufficienza da decenni radicato nella giurisprudenza di questa Corte. A tal riguardo è stato in più occasioni chiarito che detta disposizione, oltre a richiedere l’indicazione degli atti e dei documenti, nonché dei contratti o accordi collettivi, posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale tali atti o documenti risultino prodotti, prescrizione, questa, che va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 20 novembre 2017, n. 27475). Per il che occorre in pratica porre in essere un duplice adempimento, consistente, per un verso, nel riassumere o trascrivere, a seconda di quanto necessario, il contenuto dell’atto o del documento invocato, e, per altro verso, nel “localizzare” l’atto o il documento, evidenziando come e quando esso abbia fatto ingresso del processo e dove sia rinvenibile (in quale fascicolo ed a quale numero di affoliazione) nell’incarto processuale”;

12. in ogni caso, anche Cass. 29915/2021 ha ribadito, in tema di previdenza complementare, che “la percezione del trattamento pensionistico in una somma capitale “una tantum” determina l’estinzione della prestazione pensionistica integrativa periodica, con conseguente venir meno, da tale momento, del diritto alla perequazione automatica” (di cui del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 11), così dando continuità ad un principio in generale reso dalla cit. Cass. 22267/2021 proprio con riguardo al fondo Comit;

13. quanto poi alla pretesa violazione del divieto datoriale di distrazione del patrimonio vincolato alla previdenza di cui all’art. 2117 c.c. (terzo motivo), la questione appare meramente accedente la temuta conseguenza dell’avversato principio disapplicativo (già esaminato) dell’art. 27 statuto ed altresì contrastante, con pari profilo d’inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, con l’indirizzo – espresso ancora in tema del medesimo fondo Comit – per cui “nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, per cui le precedenti disposizioni possono essere modificate da quelle successive anche in senso sfavorevole al lavoratore, con il solo limite dei diritti quesiti, il lavoratore stesso non può pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente e ciò in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché, nel caso di successione di contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 c.c.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale” (Cass. 21234/2007, 13960/2014);

14. sul punto, va infine e solo osservato che, in seguito all’ingresso del fondo nella fase di liquidazione e così esaurendosi la portata dinamica del meccanismo accumulativo-prestazionale dell’art. 27 statuto, le fonti istitutive, con nuovo accordo collettivo, hanno finalizzato il patrimonio immobiliare a tale nuova destinazione, mutando i criteri distributivi; né appare irragionevole tale rideterminazione, come osservato, per la coerenza con l’intento di fronteggiare squilibri finanziari incontestati nella vicenda, dalla stessa Cass. 22267/2021, la quale ha negato che il lavoratore possa “pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva che più non esiste perché caducata o sostituita da altra successiva”:

il ricorso va pertanto rigettato; le spese sono regolate secondo soccombenza e liquidate come meglio in dispositivo; va riconosciuta la sussistenza dei presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, nei

confronti del controricorrente, delle spese del procedimento di legittimità, determinate in Euro 5.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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